C’è un momento, nei viaggi di oggi, in cui la meraviglia scompare. Succede quando ci si ritrova a scattare la stessa identica foto vista milioni di volte sui social. Stesso angolo, stessa posa. Delle volte, addirittura, l’immagine che ci aveva affascinati si rivela più bella del luogo reale.
Se per il turista il disincanto è solo momentaneo, per chi quei luoghi li abita ogni giorno, il peso del turismo di massa si fa permanente.

A Lisbona, l’invasione di nomadi digitali e turisti ha fatto salire gli affitti del 37% tra il 2015 e il 2022, espellendo i residenti storici e trasformando quartieri come Alfama in scenografie da cartolina.
Il fenomeno della cosiddetta "Lisbonificazione" ha valicato già da tempo i confini portoghesi. Venezia, ad esempio, è diventata il simbolo stesso dell’overtourism: dal 2024 ha introdotto un biglietto d’ingresso per i visitatori giornalieri, nel tentativo di arginare l'afflusso e proteggere la vivibilità cittadina. Le Isole Baleari hanno appena annunciato misure drastiche contro il turismo di massa: limitazioni agli affitti brevi, stop alle campagne promozionali con influencer e una moratoria sulla costruzione dei nuovi hotel. Decisioni arrivate dopo le proteste dei residenti, scesi in piazza con cartelli che chiedevano ai turisti di "tornarsene a casa".
Instagram e TikTok hanno ridefinito il modo in cui viaggiamo. Non cerchiamo più l’ignoto e nemmeno semplicemente ciò che è noto [...] di fatto, produciamo immagini per confermare un immaginario già esistente.
Hanno finanziato campagne con influencer per promuovere spiagge meno note o piccoli borghi dell’entroterra, nel tentativo di alleggerire la pressione su Ibiza e Palma. Ma la visibilità virale ha avuto l’effetto opposto: orde di turisti si sono riversate negli stessi “luoghi segreti”, causando congestione, degrado ambientale e nuove proteste locali. A Es Caló de Sant Agustí, piccolo villaggio di Formentera, i residenti hanno persino chiesto di bloccare l’accesso alle calette. E sull’isola di Cabrera, un fragile parco naturale, il boom di visitatori ha minacciato gli ecosistemi.
@gzzmtn C’è chi dice questo sia l’anno in cui si è rotto il turismo. Voi che ne pensate? #eurosummer #europeansummer #eurosummeraesthetic #overtourism #turismo #italiansummer #amalficoast #costieraamalfitana #suditalia #viaggiare #traveltok ♬ original sound - Martina | fashion + culture
Questo caso dimostra che oggi anche i luoghi più remoti e fino a poco tempo fa sconosciuti possono essere travolti da un’improvvisa notorietà digitale. Quando i flussi turistici investono luoghi prima sconosciuti, le infrastrutture locali spesso non riescono a reggere l’impatto.
È il caso documentato da uno studio pubblicato sul Journal of Outdoor Recreation and Tourism (Wengel et al., 2022), che analizza l’impatto virale di un video su Hainan, in Cina: una breve clip sulla “magnifica alba e mare di nuvole”, diventata popolare con oltre 65.000 like, ha moltiplicato i visitatori del parco nazionale da 50 a 600 al giorno in appena un mese.
L'improvviso afflusso ha creato congestione del traffico, inquinamento e una pressione insostenibile su infrastrutture inadeguate. L'algoritmo di TikTok, che privilegia i contenuti con molte interazioni nella prima ora, rende impossibile per le destinazioni prevedere questi picchi. E quelli di Hainan sono solo alcuni esempi: tra gli altri, la scalinata di Kiyomizu-dera a Kyoto, il lago di Braies in Alto Adig, la casa di Monet a Giverny e il treno blu del Glenfinnan Viaduct, quello reso celebre dai film di Harry Potter, in una parte sperduta della Scozia.

Instagram e TikTok hanno ridefinito il modo in cui viaggiamo. Non cerchiamo più l’ignoto e nemmeno semplicemente ciò che è noto: cerchiamo un’immagine già codificata e vista, eppure altamente condivisibile, che confermi la nostra appartenenza a una comunità globale. Viaggiamo inseguendo narrazioni costruite da altri, dove l’esperienza si plasma in funzione del racconto digitale più che della scoperta personale. Di fatto, produciamo immagini per confermare un immaginario già esistente.
John Urry, nella sua Tourist Gaze Theory, aveva già intuito come lo sguardo del viaggiatore fosse mediato da codici culturali. Nel Settecento, il Grand Tour formava le élite europee. Nell’Ottocento, ci si curava nelle località termali. I romantici cercavano solitudine e introspezione, mentre il turismo di massa del Novecento diventava rito collettivo. Oggi lo sguardo digitale aggiunge un filtro inedito: la validazione attraverso like e condivisioni. Il paesaggio viene selezionato in base a come apparirà nel feed. Non guardiamo più il mondo ma la sua rappresentazione.
Ma ciò che consideriamo “meritevole” dello sguardo turistico non è mai stato del tutto spontaneo. Non esiste una distinzione fissa tra ciò che è ordinario e ciò che è degno di essere visto: è una soglia mobile, continuamente ridefinita da pubblicitari, fotografi, urbanisti, influencer e creator. Sono proprio questi attori a influenzare ciò che ci aspettiamo di vedere quando viaggiamo – e, allo stesso tempo, ad assecondarlo – in un meccanismo che riproduce e aggiorna di continuo l’immaginario turistico. La progettazione e la rappresentazione dei luoghi – dalle brochure alle Instagram stories – diventa così una forma di potere simbolico: stabilisce quali destinazioni siano desiderabili e legittime, e quali rimangano invisibili.
Il turismo di massa consuma risorse, aumenta l’inquinamento, compromette gli ecosistemi, svuota i centri urbani. Ma soprattutto, svuota anche il senso del viaggio. La logica del contenuto virale ha portato a un consumo compulsivo delle destinazioni, sempre più omologato, sempre meno autentico. I viaggi non hanno solo una funzione ricreativa, ma sono cruciali per la costruzione dell’identità e per l’elaborazione di esperienze trasformative. Eppure, nel momento in cui il viaggio diventa una replica di immagini preconfezionate — e la narrazione prende il sopravvento sull’esperienza — si perde proprio quella componente riflessiva ed emotiva che rende il viaggio significativo. Il viaggio come esperienza personale rischia di scomparire sotto il peso della sua rappresentazione digitale.

Proust scriveva, “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Quegli occhi, oggi, dovrebbero disimparare a vedere secondo un algoritmo. Solo così potremo tornare a viaggiare per scoprire, non per imitare.
Immagine di apertura: iStock