Palazzi, castelli, ville: le architetture siciliane del Gattopardo

Dal film di Visconti del ’63 alla nuova serie di Netflix, il racconto del Gattopardo resta fortemente legato alle sue ambientazioni: ve le raccontiamo

Il tramonto di un’epoca. Sontuoso, struggente, ineluttabile. Tanto il film di Luchino Visconti del 1963 quanto la serie recentemente prodotta da Netflix rivisitano Il Gattopardo, capolavoro letterario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (pubblicato da Feltrinelli nel 1958) con uno sguardo attento a offrire un affresco al tempo stesso affascinato e affascinante del crepuscolo dell’aristocrazia siciliana negli anni che vedono l’annessione dell’isola al nascente Stato unitario italiano. Entrambe le opere cercano di immergere lo spettatore in un mondo di fasto e decadenza, ma al di là delle ovvie somiglianze e analogie, le scelte stilistiche e i luoghi impiegati presentano significative differenze. Sia nel film che nella serie due sono i luoghi principali dell’azione: il palazzo palermitano del Principe Salina e il Castello di Donnafugata.

Il palazzo palermitano del Principe

Nel film di Visconti, la villa palermitana del Principe di Salina era stata ricreata utilizzando Villa Boscogrande, restaurata per le riprese e scelta per la sua imponenza architettonica. Vi si accedeva attraverso un viale rettilineo di terra battuta, fiancheggiato da mezze colonne sormontate da busti erosi dal tempo, che conducevano a un corpo di fabbrica con numerose porte finestre protette da tende da sole bianche e velate da tende impalpabili, ricamate e svolazzanti. Gli interni – realizzati con la collaborazione di Giorgio Pes per gli arredi e di Mario Garbuglia per la scenografia – abbondavano di broccati, affreschi, specchi dorati e arredi in stile impero, con pavimenti in maiolica verde, specchi ovali e pareti rivestite in damasco rosato e verde bosco.

Tom Shankland, Il Gattopardo, 2025. Courtesy Netflix Italia. Foto Lucia Iuorio

Nella serie Netflix, invece, il palazzo – filmato utilizzando diverse location palermitane – mantiene l’imponenza, ma si arricchisce di dettagli più intimi e realistici. Vi si accede passando sotto un arco sormontato da un gattopardo di pietra. Il viale d’ingresso è circondato da bouganville e da una vegetazione rigogliosa, mentre la facciata è semicircolare con una scalinata a doppia rampa simmetrica in pietra. La colazione si svolge in una stanza decorata con affreschi, specchi dorati e trumeau specchiati, con una tavola imbandita di pastiere, cannoli, brioches e dolci di mandorle, illuminata da chandelier e candelabri accesi. Il Principe legge il giornale su un divanetto in legno dorato, mentre una figlia suona il pianoforte. Lo studio del Principe, poi, è un vero scrigno del sapere, pieno di libri impilati, boiserie e telescopi, mentre la stanza dell’amante del Principe nella serie è caratterizzata da un camino acceso e una vasca da bagno illuminata da candelabri, in un’atmosfera intima e sensuale.
 

Il ritiro di campagna

Per quanto riguarda il Palazzo di Donnafugata (che è notoriamente una località immaginaria), entrambe le produzioni lo collocano a Ciminna, con la piazza principale trasformata per ricreare l’atmosfera del tempo. La serie TV enfatizza le dimensioni della residenza di Don Fabrizio con una battuta di Tancredi: "Mio zio ha sempre detto che sarebbe una volgarità contarle", riferendosi alle innumerevoli stanze della villa. Significativamente diverso il dialogo nel film: alla domanda di Angelica “Ma quante stanze saranno?”, Tancredi risponde “Nessuno lo sa. Neppure lo zio. Figurati lui dice che un Palazzo di cui si conoscono tutte le stanze non è degno di essere abitato”.

Nel film di Visconti la residenza di campagna del Principe è caratterizzata da un grandissimo terrazzo con pavimento a spina di pesce in ceramica azzurra e gialla, arredato con poltroncine in midollino e una sedia savonarola. Gli interni sono dominati da tendaggi in velluto, tappezzerie damascate, divanetti a orecchioni, a triclinio, candelabri, vasi cinesi, cuscini ricamati e grandi pouf a isola centrale, mentre la sala da pranzo si distingue per una tappezzeria a strisce rosse e verdi, tavolate imbandite e piatti decorati, a riproporre anche visivamente la sensualità legata al cibo che emana dal romanzo di Tomaso di Lampedusa.

Tom Shankland, Il Gattopardo, 2025. Courtesy Netflix Italia. Foto Lucia Iuorio

Nella serie, invece, il palazzo si arricchisce di un giardino lussureggiante con fontane e fichi d’India, mentre gli interni spaziano dalle sale sontuose agli angoli più decadenti e polverosi. In una scena, Angelica e Tancredi giocano a nascondino e scoprono una stanza segreta, quella delle penitenze, piena di strumenti di tortura e quadri inquietanti, dove Angelica si specchia, come a voler comprendere la storia nascosta di quella casa. La camera da bagno del Principe nella serie ripropone il dialogo con Padre Pirrone presente anche nel film, con dettagli come il paravento fiorato, una vasca in ghisa smaltata bianca e un set da barba con ciotola e pennello.

Il ballo, gli specchi e gli oggetti

Luchino Visconti, Il Gattopardo, 1963

La scena del ballo è un punto focale in entrambe le versioni. Nel film di Visconti è ambientata nel Palazzo Valguarnera-Gangi di Palermo, una sala opulenta illuminata da 10.000 candele, con pareti cariche di specchi dorati e affreschi barocchi. La serie Netflix, invece, ha ambientato e girato la stessa scena a Palazzo Chigi a Roma, scegliendo una scenografia più luminosa e con dettagli meno barocchi ma altrettanto sfarzosi, enfatizzati dalla doppia altezza del salone con una balconata ellittica che amplifica la sensazione di grandiosità.

Un elemento ricorrente nelle scenografie di entrambe le versioni è lo specchio, strumento di introspezione ma anche di presa d’atto – di volta in volta – del proprio fascino o della propria decadenza. Angelica si specchia nella sala da ballo, ammirando la propria giovinezza, mentre durante il ballo nel palazzo della principessa Margherita Don Fabrizio si rifugia nello studio di Don Diego e guarda il quadro “La morte del giusto” di Greuze davanti al qual riflette sulla propria mortalità, ma anche sulla morte di una classe sociale, e poi nella stanza da bagno si guarda allo specchio e piange in silenzio, consapevole della propria mortalità.

Tom Shankland, Il Gattopardo, 2025. Courtesy Netflix Italia. Foto Lucia Iuorio

Nella serie, gli specchi vengono coperti con pizzi neri alla morte del figlio Paolo, a simboleggiare non solo il lutto ma anche la transitorietà della vita.

Un dettaglio potente del film di Visconti è lo scorcio di una stanza di servizio colma di recipienti e orci da camera in ceramica bianca contenenti liquido giallastro, una metafora cruda della decadenza aristocratica, a contrasto con la sontuosità del palazzo.

Ma gli oggetti hanno una valenza simbolica rivelatrice anche nella scena della serie Netflix ambientata a Torino, quando nel dialogo con Chevalley che gli propone di diventare Senatore, il Principe, osservando i doni ricevuti da tutta Italia per la commemorazione dell’Unità – espressione della variegata multiculturalità del Paese – commenta con sconsolato disincanto il dono arrivato dalla Sicilia: “Tutti gli altri hanno regalato qualcosa che abbia una funzione: una sella, una cotta di lana, e noi siciliani cosa andiamo a regalare? Un veliero in corallo che al primo contatto con l’acqua si distruggerebbe. Tutta estetica e vanità”.

Luchino Visconti, Il Gattopardo, 1963

L’architettura come racconto

Nel film come nella serie le architetture, gli oggetti e gli arredi giocano un ruolo essenziale non solo nel far rivivere il gusto di un’epoca, ma anche nel dar forma in modo plastico e vibrante alla visione dei rispettivi autori. Il film di Visconti ci consegna così il malinconico ed empatico ritratto dell’ultimo dei Gattopardi, un aristocratico che corteggia la morte (la sua, e quella di un’intera civiltà che si inabissa), consapevole che dopo di lui verranno solo gli sciacalli e le iene, mentre la serie diretta da Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti valorizza – accanto al personaggio del Principe – quello di sua figlia Concetta (Benedetta Porcaroli), che nel film era molto defilata e che qui raccoglie invece il testimone e l’eredità del padre, quasi a suggerire che solo una sensibilità femminile può traghettare quel mondo fino a noi e farlo dialogare emotivamente con la sensibilità del nostro tempo.

Non a caso è proprio a Concetta che il Principe nel giorno del suo compleanno fa il regalo più bello: le fa recapitare una custodia in pelle che contiene un cannocchiale con un biglietto: “Da quale lente vuoi guardare? Da quella che rende il mondo grande o da quella che lo rende piccolo?”.

Immagine di apertura:  Tom Shankland, Il Gattopardo, 2025. Courtesy Netflix Italia. Foto Lucia Iuorio.

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