Nei film di Bong Joon-ho il design e l’architettura degli ambienti, ma anche la gestione degli spazi, raddoppiano sempre il senso della storia. Non solo annunciano quello che avverrà ai personaggi, ma ne ribadiscono lo statuto. Funzionano come un appunto visivo in ogni momento così che, mentre guardiamo la storia, non c’è bisogno di ribadire la situazione dei personaggi, ci pensano gli ambienti a ricordarcelo o ripetercelo. Nei film ambientati nel presente viene fatto creando spesso da zero gli ambienti, come la casa di Parasite, costruita per il film esattamente come doveva essere; in quelli di fantascienza invece avviene immaginando che sia proprio la società del futuro a progettare i suoi edifici e le sue stanze per tenere le persone diseguali. Avveniva in Snowpiercer, il film di Bong Joon-ho del 2013, con i poveri relegati nell’ultimo vagone del treno in cui viaggia tutta l’umanità, ben lontani dai ricchi nei primi, e avviene in Mickey 17, il suo ultimo film.

La storia è quella di uno scemo del futuro che, nel tentativo di arricchirsi in fretta, ha chiesto un prestito a una persona che li concede solo per poi torturare e uccidere chi non restituisce in tempo. E Mickey sta per non restituire in tempo. Decide così di scappare dalla Terra, aderendo a una colonia che si sta imbarcando su un’astronave per colonizzare un altro pianeta. In un gesto di architettura del cinema davvero notevole, l’arruolamento avviene al piano terra e al centro di una struttura con una grande scala a elica piena di persone, come se Mickey fosse già nella morsa della società, prima ancora di imbarcarsi, solo firmando.

È scemo e quindi firma il contratto senza leggerlo: firma come “sacrificabile” senza informarsi su cosa significhi e scopre solo a bordo di essere parte di un esperimento. Il suo corpo e la sua mente vengono mappati, così che lui possa essere replicato tale e quale per infinite volte. Viene usato come cavia, mandato a morire in esplorazione, cibato con agenti chimici, ammalato e poi curato con vaccini sperimentali. Non solo è ucciso senza problemi, ma i cadaveri sono buttati in un buco nel pavimento che porta a una fornace, come uno scarico infame.
Non c’è bisogno di far dire a qualche personaggio che non c’è rispetto: basta quell’idea di progettazione dello scarico nel terreno a paragonarlo a degli escrementi. Mickey muore 16 volte prima che il film inizi; la sua diciassettesima versione, ormai arrivata sul pianeta di destinazione, sembra morire di nuovo durante un’esplorazione, ma a sorpresa sopravvive senza che nessuno lo sappia. Quando rientra all’astronave, scopre che hanno creato un Mickey 18: ora ci sono due Mickey in circolazione contemporaneamente, e la cosa è vietata.
Nella prima scena vediamo una versione di Mickey uscire dal macchinario che serve a stamparlo (così viene chiamata la procedura), ed è proprio una stampa. Il sound design mette un rumore fioco simile a quello delle stampanti a getto d’inchiostro, e il corpo esce dal macchinario a scatti, facendo un po’ avanti e indietro, come i fogli da una stampante. È un’idea di design tecnologico folgorante. In un colpo solo e senza parole vediamo la creazione di una persona fatta nella stessa maniera in cui viene stampato un foglio, la cosa più replicabile e sostituibile della nostra società, la materia che costa pochissimo e viene accartocciata e buttata facilmente. Ancora più ficcante è la metafora quando scopriamo che i nuovi corpi di Mickey sono creati con i rifiuti e gli escrementi dell’astronave. In una perpetua espressione di ebete serenità, a Mickey non importa: è la forma di vita più bassa di tutta la scala gerarchica.
Nella galleria dei poveri del cinema di Bong Joon-ho lui è il più misero di tutti. Un corpo a disposizione del potere che, come già in Snowpiercer, vive in ambienti completamente diversi dagli altri. In quel film la diseguaglianza sociale era annunciata dal design, e uno dei momenti più impressionanti era quando i poveri avanzando verso i vagoni di testa, passavano da un mondo nero e fuligginoso ad ambienti colorati che non pensavamo potessero esistere. Ugualmente qui le stanze del senatore che guida la spedizione sono coloratissime, mentre i quartieri dell’astronave in cui vivono le classi operaie sono scuri, tra il grigio e il nero. È una contrapposizione abbastanza convenzionale ma il guizzo sta tutto nel ribaltamento dell’assunto della nostra società secondo cui un design pulito ed essenziale sia segno di ricchezza.

In Mickey 17 sono le stanze dei poveri a essere arredate con elementi dal design geometrico, con forme pulite e pochi elementi. Invece, in una mossa opposta a quella di Parasite, le stanze dei ricchi sono colorate, barocche e opulente, con uno stile antico, neoclassico, fatto di candelabri, tappeti, argenteria a tavola e tutti i segni della ricchezza del passato. Il loro è un potere che si tramanda, ha una tradizione. Non sono nobili, ma il concetto è quello: sono ricchi e potenti per etnia e genia. In questo nuovo mondo le gerarchie sociali sono tornate apertamente quelle dell’800, e alle persone che hanno meno viene levato il privilegio di una storia, di un passato, nella forma dell’arredamento, perché senza quello contano anche meno.

E Mickey è la massima espressione delle persone senza passato, destinato a rimanere fermo a quell’età, morto e risorto di continuo senza nessuna idea cristologica dietro. Anzi. Per fortuna il suo doppio è venuto fuori più rabbioso e non ci sta alla nuova situazione che si è creata. Inizia così una specie di rivolta insieme ad alcune creature aliene e ad altre persone stufe del dominio di questo signorotto ignorante e un po’ trumpiano nella parlata e nei modi. Ci sarà l’insurrezione che partirà davvero solo quando verranno contaminati l’ambiente, le stanze e gli oggetti d’arredamento dei potenti, vomitando sul tappeto iraniano. È così che un concetto e un’idea, che hanno un valore etico e morale, sono raccontati non solo con le parole, ma raddoppiandoli e rinforzandoli con i fatti e con le immagini, in modo che non sia un insegnamento del film allo spettatore, ma una consapevolezza che lo spettatore matura da solo guardando il film, e unendo indizi, spunti e stimoli che il film gli fornisce.

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