Perché i social stanno diventando a pagamento

Tra paywall e account premium, Twitter, Meta e gli altri combattono la crisi di mezz’età, chiedendo soldi agli utenti: ma anche TikTok, il social media che funziona meglio al momento, ha lanciato una sottoscrizione a pagamento.

I segnali, anche se su piattaforme non di primissimo piano, si erano visti già da qualche tempo. Snapchat, per esempio, nel giugno 2022 ha lanciato la versione “plus”, che per quattro dollari al mese permette di avere accesso a funzioni aggiuntive: cambiare l’icona della app, scoprire chi ha guardato più di una volta le nostre storie, sbloccare badge speciali e altre cose del genere.

Nello stesso periodo, anche Telegram ha annunciato qualcosa di simile con il servizio “premium”, che consente di inviare file di dimensioni maggiori rispetto alla versione base, di riunire chat diverse all’interno di una specifica cartella e altro ancora. 

Timidamente, le piattaforme social e di messaggistica (due settori sempre meno distinguibili) hanno insomma iniziato a cercare nuove forme di guadagno, rivolgendosi direttamente a chi, fino a questo momento, era sempre stato tenuto al riparo da ogni spesa: gli utenti.

L’idea ha ormai contagiato anche i social network più noti, da oltre un anno alle prese con la stretta di Apple, che tramite iPhone impedisce di default alle piattaforme di tracciare il comportamento online degli utenti a fini pubblicitari, riducendo enormemente la precisione e quindi le possibilità di guadagno tramite le inserzioni.

E così, Twitter (da sempre alle prese con bilanci difficoltosi) ha per primo introdotto la funzione a pagamento “Blue”, che per un costo minimo di otto dollari al mese permette di avere accesso alla spunta blu di fianco al nome, di godere di maggiore visibilità, di poter usufruire della verifica a due fattori tramite SMS, di modificare i tweet, di sfruttare gli NFT per personalizzare l’immagine del profilo e altro ancora. 

Nelle ultime settimane anche Meta ha deciso di fare il grande passo, lanciando il 19 febbraio scorso Meta Verified (ancora in fase di sperimentazione), che per un minimo di 12 dollari permette di avere accesso alla spunta blu, di poter contare su un servizio clienti più efficace, di essere maggiormente protetti dal furto d’identità e soprattutto (come anche su Twitter) di vedere i propri post premiati dall’algoritmo (che rappresenta il vero valore aggiunto su cui si punta per attirare utenti, in particolar modo aspiranti creator).

A rinunciare alla completa gratuità è stato però anche un social tutt’altro che in crisi. Anzi, il social che – nonostante sia costantemente sotto minaccia di messa al bando da parte delle autorità occidentali (ma questo è un altro discorso) – ha avuto la crescita più impetuosa della storia dei social, superando il miliardo di utenti in tempi rapidissimi e tenendo incollati i suoi utenti per un tempo quasi doppio rispetto a Instagram (52 minuti al giorno contro 28): TikTok.

Per quanto TikTok abbia poco da spartire con le difficoltà di Meta e di Twitter, anche la piattaforma della cinese Bytedance ha deciso di varare un servizio a pagamento. Per la precisione, TikTok ha introdotto la possibilità di pubblicare video dalla durata anche di 20 minuti, accessibili però soltanto dagli utenti disposti a pagare ai creator una cifra che può andare da un dollaro fino a 190.

@tiktoklive_creator Welcome to LIVE #subscription! Join today to get rewards and share access with your creator community! #LIVESubs #TikTokLIVE#Subscription ♬ original sound - TikTok LIVE Creator

Una sorta di paywall per i social, insomma. L’obiettivo, per TikTok, non è però tanto quello di individuare nuove fonti di reddito, ma semmai di trovare nuove soluzioni per soddisfare le aspettative economiche dei creator, che hanno più volte lamentato le scarse possibilità di guadagno che TikTok offre rispetto a YouTube. La priorità, in questo caso, è tenere viva la competizione con la piattaforma che – attraverso gli youtuber – ha fatto da apristrada per quanto riguarda il mondo dei creator.

Proprio il fatto che TikTok – nonostante le apparenze – si consideri in competizione più con YouTube che con Instagram o Twitter la dice lunga su quanto questa piattaforma possa essere solo parzialmente accomunata ai veri e propri social network. In realtà, come e ancor più di YouTube, TikTok è una sorta di mini-televisione acceleratissima formato smartphone, dove la stragrande maggioranza degli utenti si limita a guardare i video di creator professionisti o aspiranti tali, senza mai creare propri contenuti.

Il social network del momento ha quindi pochissimo sia di “social” che di “network”, rendendo estremamente chiaro quanto la nuova frontiera di queste piattaforme sia per molti versi un ritorno all’antico: un ritorno a un modello broadcast – da pochi verso molti – come quello tradizionale della radio o della televisione. 

Proprio la direzione intrapresa da TikTok e il suo successo mostrano quanto e perché Facebook e ormai anche Instagram stiano invecchiando male: la sensazione insomma è che pochi utenti siano ancora interessati ad ascoltare le opinioni politiche del prozio, a vedere le foto dei matrimoni di vecchi compagni di classe o i video delle vacanze di perfetti sconosciuti. Quella ondata, ormai, si è esaurita.

Euphoria, HBO

A confermare questo elemento è un altro aspetto: le difficoltà di Instagram e Facebook non sono soltanto economiche, ma anche e soprattutto di coinvolgimento degli utenti, che postano sempre meno contenuti e interagiscono sempre meno con essi. Basti pensare che, dal 2019 a oggi, il tasso di interazione degli utenti con i post di Instagram (quindi tramite like, commenti e altro) è sceso di un impressionante 44%. Va specificato che questo tracollo potrebbe essere stato causato anche dall’introduzione dei Reels (il tentativo di Instagram di rispondere ai video di TikTok), le cui visualizzazioni sono però a loro volta calate del 20% negli ultimi mesi e le cui performance, più in generale, non stanno soddisfacendo le aspettative.

Come spronare gli utenti a una maggiore partecipazione e a un maggior coinvolgimento sui social tradizionali, nel momento in cui la maggior parte di essi sembra voler soltanto osservare passivamente video su TikTok? Una contromisura – talmente drastica da sembrare quasi disperata – potrebbe averla individuata LinkedIn, che ha iniziato da un paio di settimane a condividere sulla sua piattaforma degli “stimoli alla conversazione generati dall’intelligenza artificiale”.

In poche parole, per fronteggiare il calo di partecipazione da parte degli utenti (forse stufi di fare i complimenti a qualcuno per il suo nuovo lavoro e poco altro), LinkedIn ha pensato di sfruttare l’intelligenza artificiale per creare post che pongono interrogativi e questioni che potrebbero stimolare la discussione. Per esempio: “come si costruisce la propria voce sui social?” o “quali sono le migliori caratteristiche di un capo?”. Insomma, quelle classiche discussioni da LinkedIn che – evidentemente – sempre meno utenti hanno il coraggio di porre in prima persona. In poche parole, l’intelligenza artificiale – che già da tempo ha un ruolo cruciale nel selezionare ciò che vediamo sui social – potrebbe in futuro avere anche il compito di stimolare in tutti i modi il nostro engagement.

È proprio questa necessità di LinkedIn a mostrare quanto i social tradizionali stiano soffrendo l’inizio di una nuova era, in cui le piattaforme di maggior successo sono delle piccole televisioni, mentre le discussioni e la condivisione di contenuti si sposta dalla piazza pubblica dei social ai gruppi privati di Whatsapp o Telegram. Alle prime vere difficoltà, a Linkedin, Facebook, Instagram e gli altri non resta che tentare una strada obbligata: trovare nuovi modi per spremere sempre di più gli utenti, che si tratti delle loro finanze o della loro attenzione.

Immagine di apertura: Elon Musk, foto di dmoberhaus su Flickr

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