Tokyo dal 1964 al 2021: la città olimpica “rinviata”

Passato e futuro della capitale Nipponica, che vide la sua prima candidatura per le Olimpiadi sfumare a causa della guerra, conquistò il mondo con i giochi del ’64 e ora rimanda di un anno l’appuntamento a causa del virus.

L’annuncio il 24 marzo del rinvio di un anno delle Olimpiadi e Paralimpiadi Tokyo 2020 é destinato a segnare la storia dei giochi. In condizioni normali nessuna istituzione governativa avrebbe accettato di assumere una decisione così radicale ma il governo giapponese ed il Comitato Olimpico Internazionale (IOC), non senza tentennamenti, alla fine hanno dovuto ufficializzare lo spostamento della manifestazione a luglio 2021.

Già a gennaio le stanze del villaggio olimpico comparivano sui media internazionali mostrando gli arredi con cuscino e trapunta “griffati” Tokyo 2020 pronti ad accogliere gli atleti. La struttura dei letti composta da un particolare tipo di cartone riciclabile era la risposta alle critiche mosse alle precedenti Olimpiadi di Rio per la mancanza di un design e di materiali ecosostenibili. Anche in questo caso il modello organizzativo nipponico ha dato prova della sua efficienza con una tempistica perfetta nella realizzazione dell’intera struttura operativa.

Foto Eloise Mavian

Al repentino alzarsi della soglia dei contagi, il premier Shinzo Abe e Thomas Bach, presidente IOC, hanno considerato varie ipotesi alternative, la più accreditata era posticipare i giochi di un paio di mesi limitando l’accesso alle manifestazioni ma infine la scelta obbligata è stata il rinvio di un anno. Nel comunicato stampa si legge: “The leaders agreed that the Olympic Games in Tokyo could stand as a beacon of hope to the world during these troubled times and that the Olympic flame could become the light at the end of the tunnel in which the world finds itself at present… It was also agreed that the Games will keep the name Olympic and Paralympic Games Tokyo 2020.”

Sono state quindi ufficializzate le linea guida del nuovo programma che si possono sintetizzare in tre “step”:

l’impostazione di massima seguirà il piano già definito nel “Games Delivery Plan” per il 2020, in particolare gli impianti sportivi e la programmazione delle competizioni già concordati con gli stakeholders; 

il comitato Olimpico e Paralimpico assieme al governo giapponese ed agli stakeholders valuterà caso per caso la soluzione costi-benefici meno penalizzante per il rinvio;

le misure adottate contro il Covid-19 saranno incorporate nel “Game Delivery Plan” del 2021. 

La task force denominata “Here we go” sta già lavorando alla definitiva messa a punto del piano operativo.

Foto Eloise Mavian

Poche città oltre a Tokyo hanno avuto modo di ospitare per due volte le Olimpiadi (Atene, Parigi, Los Angeles e Londra che li ha ospitati per tre volte), la prima candidatura nel 1940 fu cancellata a causa della guerra e si arrivò così all’edizione del 1964.

Le Olimpiadi del 1964 passeranno alla storia dei giochi per i record mondiali nell’atletica, per la straordinaria progressione nei cento metri con cui il gigante Bob Hayes avvicinò il mitico muro dei dieci secondi. Ma quell’evento fu anche il simbolo della rinascita di un popolo dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, costituì una formidabile icona di visibilità. La città e la sua architettura divennero l’immagine di questo miracolo. L’innovativa bellezza del Yoyogi Stadium di Kenzo Tange rappresentò l’immagine della nuova vitalità economica e culturale di una nazione rinata dalle sue ceneri e proiettata sulla scena globale verso un futuro visionario.

Per le Olimpiadi del 2020 le competizioni sono state suddivise in 42 sedi, molte di queste sono state progettate da architetti giapponesi, decisione inusuale poiché di solito in queste occasioni la scelta dei nomi è ripartita a livello internazionale. Bisogna tenere presente che 25 siti sono frutto di progetti di riconversione delle strutture già in uso nel 1964. 

Anche in questo caso il modello organizzativo nipponico ha dato prova della sua efficienza con una tempistica perfetta nella realizzazione dell’intera struttura operativa

Il primo round modernizzò l’assetto urbano della capitale dandole una nuova identità, il secondo round riparte da quei valori ma nel contempo ne rappresenta l’evoluzione palingenetica che traguarda il nuovo millennio.

Come spesso accade, l’importanza dell’evento non si è limitato agli edifici ed agli interventi funzionali alla manifestazione, ha determinato la trasformazione di alcune aree cardine di Tokyo con masterplan a lungo termine che innovano l’assetto urbano preesistente. È il caso della densificazione verticale di Shibuya iniziata con la costruzione di Hikarie, proseguita con Shibuya Stream, Shibuya Scramble Square, il cui masterplan si concluderà nel 2027 con la realizzazione di altre torri per uffici e residenze. Shibuya già centro del design e uno dei principali interporti si affermerà anche come hub tecnologico.

Foto Eloise Mavian

Lo studio Atelier Bow-Wow nell’esibizione “Made in Tokyo: Architecture and Living 1964/2020”, facendo un excursus dalle Olimpiadi del 1964 a quelle del 2020, ha delineato l’impostazione di questo secondo round dove gli incentivi economici hanno favorito un piano di sviluppo massificato sotto la regia delle grandi holding, diversamente dal ’64 che promosse la nascita di nuovi modelli imprenditoriali dando spazio alla creatività della generazione di architetti formatisi nel periodo della ricostruzione.

A ricordo della recente tragedia in Tōhoku per cui a causa del terremoto e maremoto diecimila persone non possono ancora rientrare nelle loro abitazioni contaminate dalle radiazioni nucleari, le Olimpiadi sono state definite “Recovery Olympics”.

La stima iniziale dei costi per la riorganizzazione ammonta ad un importo fra 5,4 e 5,6 miliardi di euro (Il Sole 24 Ore) e non sono ancora chiari i termini della ripartizione fra il governo e il IOC. La spesa comprende la manutenzione degli immobili, soprattutto il villaggio Olimpico, la messa in sicurezza dei fabbricati, la rinegoziazione dei contratti con alberghi, trasporti, sicurezza e altri servizi annessi.

Per le 25 strutture multifunzione già esistenti l’agenda prevede un impegno che va oltre il tradizionale calendario olimpico. Tokyo Big Sight, il principale centro stampa e divulgazione mediatica per l’informativa olimpica, dovrà cancellare gli eventi già pianificati per il 2021 con conseguenti penalità per i contraenti. Analoga rivoluzione nei programmi per il Makuhari Messe nella prefettura di Chiba. L’edificio destinato a più competizioni era stato prenotato dal 21 Aprile ed ha dovuto cancellare 373 eventi fra cui il Summer Sonic festival, che comunque si sarebbe dovuto annullare a causa del Covid-19.

Foto Eloise Mavian

Il Nippon Budokan, famoso impianto sportivo per le arti marziali, arena di storici concerti fra cui quello dei Beatles e landmark del centro di Tokyo che ospiterà gli eventi di judo e karate, registra meno problemi poiché non sono molti gli eventi in programma per il 2021. Non potrà però fungere come tradizione da supporto per le scuole elementari, medie e superiori per le tradizionali competizioni nel corso dell’anno scolastico.

Se le strutture esistenti già pienamente operative hanno problemi nella gestione organizzativa e burocratica degli eventi in calendario, gli edifici di recente costruzione di fronte a questo vuoto temporale di quindici mesi sono fonte d’incertezza per il mancato utilizzo di spazi urbani in un contesto che ne avrebbe vitale esigenza.

A far corso da aprile le 23 torri del Villaggio Olimpico sono ultimate, pronte ad ospitare 11.000 atleti Olimpici e 4.400 atleti Paralimpici.  

Al termine dei giochi saranno trasformati in appartamenti di lusso con vista panoramica sulla baia, non distante dallo storico ed esclusivo quartiere di Ginza. Disporranno di servizi dedicati, scuole, parchi e saranno autonomamente ecosostenibili grazie ad un sistema energetico che ha nell’idrogeno la risorsa principale.

Takeshi Ide, ricercatore per Tokyo Kantei Co., sottolinea che il valore degli immobili è destinato a salire ulteriormente proprio in virtù dell’immagine iconica che ne ha caratterizzato la nascita. Già il primo lotto di appartamenti disponibili per la vendita è stato esaurito. I neo proprietari avrebbero dovuto prenderne possesso nel marzo 2023, giusto il tempo necessario per il rinnovo degli interni se si fosse rispettato il calendario originario.

Foto Eloise Mavian

Ad oggi oggi peraltro il villaggio è vuoto, senza un programma chiaro sull’utilizzo fino al 23 Luglio 2021.

Alcune associazioni stanno avanzando proposte per un uso transitorio, come ad esempio Moyai Support Center for Independent Living, ente no-profit attivo nell’aiutare gli abitanti di Tokyo più disagiati, che ha fatto richiesta di poterne usufruire come supporto per le persone affette da Covid-19 e le fasce più deboli prive di alloggio adeguato. 

In una metropoli iperpopolata la disponibilità di nuovi spazi urbani è un fattore vitale sopratutto per la parte più disagiata nel momento dell’emergenza. A Tokyo ci sono circa 1.000 senzatetto e circa 4.000 persone che vivevano negli internet café (pagando giornalmente una piccola somma potevano fruire di un micro-alloggio privato con accesso alla doccia) prima che 500 esercizi venissero chiusi a causa della pandemia. Questi numeri sono destinati ad aumentare per l’impatto a livello mondiale della pandemia sulla crescita dei disoccupati. Nonostante il massiccio intervento dei sussidi statali, sono più numerosi i cittadini giapponesi scesi sotto la “soglia di povertà” (pari a circa 10.300 euro/anno).

Tokyo, città paradigma della densità urbana, ha metabolizzato negli ultimi decenni il concetto di distanza sociale convivendo con la continua sfida fra spazio-massa e individuo che è diventata oggi di tragica attualità e di complicata gestione

La crescente disgregazione della rete familiare che garantiva il sostegno economico, l’incertezza del lavoro e il retaggio culturale che per l’innato senso di dignità dissuade spesso il singolo dal ricorso ad interventi di sostegno o assistenza pubblica renderanno più critica la situazione.

Le parole del governo e del IOC, nel definire queste Olimpiadi come torcia di speranza per l’umanità, possono divenire davvero un’opportunità per provare a dare spazio a interventi di politica sociale più inclusivi. Si creerebbe l’occasione per ripensare a delle funzioni urbane che siano di ausilio temporaneo ma vitale per situazioni di criticità abitativa in un contesto di iperdensità metropolitana che preclude soluzioni che non siano a prezzi di mercato difficilmente accessibili. 

Foto Eloise Mavian

Al riguardo non mancano gli esempi di strutture similari già operanti altrove.

L’occupazione transitoria di edifici o spazi urbani in attesa di una destinazione d’uso definitivo é in corso di attuazione a Parigi (Les Grands Voisins, La caserne de Reuilly, Les Petites Serres dove la riconversione di immobili in attesa di un uso finale è stata dedicata temporalmente a servizi sociali ed artigiani locali). A Bruxelles la torre WTC III prima del restauro è stata adibita a edificio di supporto per la sezione dell’ufficio immigrazione che segue le richieste d’asilo. A Montreal la Fonderie Darling e il Village au Pied-du-Courant sono diventati spazi pubblici provvisori. Questi progetti hanno coinvolto enti governativi, associazioni, stakeholder favorendo l’integrazione di nuovi attori urbani, conoscenze e competenze in progetti temporanei e multifunzionali che hanno lo scopo di rivitalizzare il tessuto socioeconomico della città condividendone l’identità.

Tokyo, città paradigma della densità urbana, ha metabolizzato negli ultimi decenni il concetto di distanza sociale convivendo con la continua sfida fra spazio-massa e individuo che è diventata oggi di tragica attualità e di complicata gestione. Nel mondo del Covid-19 molte sono le attività economiche precluse ma nuove modalità lavorative ed abitative si stanno diffondendo ed integrando grazie sia ai supporti tecnologici sia alla creatività dei singoli. Come ha spiegato recentemente il teorico israeliano Yuval Noah Harari in un recente articolo sul Financial Times, scelte nate per arginare problemi contingenti diventano spesso permanenti a livello di sistema. La lezione che l’architettura può imparare da Tokyo è proprio questo nuovo modello decisionale, la cui efficacia è improntata alla variabile tempo ed alla flessibilità.

Immagine di apertura: foto Alice Covatta.

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