Comunità Italia

I documenti e pezzi unici degli archivi storici di Domus esposti in Triennale contribuiscono a raccontare la vicenda dell’architettura italiana del secondo Novecento.

Alessandro Mendini, Ponte Accademia
Curata da Alberto Ferlenga e Marco Biraghi “Comunità Italia. Architettura, città e paesaggio dal dopoguerra al Duemila” racconta la vicenda dell’architettura italiana del secondo Novecento nel suo complesso, una vicenda la cui prossimità temporale, insieme ad altri fattori, aveva sinora impedito una trattazione più ampia e generale.
Per l’occasione Domus ha aperto le porte dei propri archivi storici permettendo la selezione di documenti e pezzi unici, tra i quali alcuni fascicoli storici della rivista e l’originale di una lettera manoscritta da Gio Ponti nel 1954 e destinata a Ernesto Nathan Rogers per il nuovo negozio Olivetti di BBPR.
Massimo Carmassi
In apertura: Alessandro Mendini, Ponte Accademia. Sopra: Massimo Carmassi
Il corpo principale dell’esposizione, sviluppato lungo la grande curva al piano terra del Palazzo dell’Arte, è composto da circa 120 opere, comprendenti modelli e disegni originali, e album che ne illustrano nel dettaglio gli aspetti progettuali. Da Ludovico Quaroni a Ignazio Gardella, da Aldo Rossi a Renzo Piano, i lavori dei massimi protagonisti della storia dell’architettura italiana dal dopoguerra al Duemila si affiancano ai progetti e alle opere di figure meno celebrate ma altrettanto importanti come Guglielmo Mozzoni, Paolo Soleri e Arturo Mezzedimi.
Oltre a mettere in evidenza una varietà linguistica che non ha pressoché paragoni in altri paesi, la mostra tratta dei profondi legami che l’architettura italiana ha intrattenuto con questioni, aspetti territoriali e discipline ulteriori, testimonianza di una vicenda ricca, articolata e unica che in alcuni momenti ha fortemente influenzato la cultura architettonica di altre parti del mondo. Introdotta da un’installazione video elaborata graficamente da Giuseppe Ragazzini, che mette in scena i principali avvenimenti verificatisi in Italia nel corso del periodo abbracciato, la mostra si apre con l’opera scultorea di Pietro Consagra, La città orizzontale.
<b>A sinistra</b>: Aldo Aymonino. Ascolto il tuo cuore città, 1987. <b>A destra</b>: Giangiacomo D'ardia, Presunta velasca
A sinistra: Aldo Aymonino. Ascolto il tuo cuore città, 1987. A destra: Giangiacomo D'ardia, Presunta velasca
La prima sezione si articola in stanze dedicate a temi specifici. L’allestimento di ciascuna di tali stanze è stata affidata a una curatrice diversa: l’evoluzione del cantiere a Carmen Andriani, il design a Silvana Annicchiarico, gli archivi a Chiara Baglione, le scuole di architettura a Fernanda De Maio, le istituzioni culturali a Paola Nicolin, l’editoria di settore a Raffaella Poletti. Ogni stanza declina in varie forme il tema trattato, mettendolo in stretta connessione con la situazione italiana.
Da qui prende il via la sezione espositiva vera e propria, introdotta da una galleria dedicata al disegno in cui sono presenti alcune tra le opere grafiche e pittoriche più rappresentative del tempo, come le “città analoghe” di Aldo Rossi e di Arduino Cantafora. Se il disegno come espressione autonoma accompagna l’intera esposizione, la parte centrale è caratterizzata da una sorta di paesaggio urbano composto da modelli di edifici e di quartieri, a testimonianza – tra l’altro – di un’ennesima particolarità della scena architettonica italiana del secondo dopoguerra: lo sviluppo di una grande arte della modellistica, che ha avuto interpreti eccellenti come Giovanni Sacchi. A fare da sfondo ai modelli vi sono i rilievi delle principali città italiane, disegnati in una stagione di particolare attenzione per le caratteristiche tipo-morfologiche delle città. In questa sezione i progetti selezionati sono illustrati anche con l’ausilio di album liberamente consultabili dai visitatori. Un altro rapporto importante sviluppato dall’architettura italiana è quello con la fotografia di paesaggio. Per questo una sezione della mostra è dedicata alle immagini di alcuni dei migliori fotografi italiani (da Gabriele Basilico a Luigi Ghirri), la cui opera – in particolar modo tra anni ’60 e ’90 – ha spesso incrociato e influenzato quella degli architetti.
<b>A sinistra</b>: Massimo Scolari Massimo, Porta per Città di MAre, 1979. <b>A destra</b>: Ettore Sottsass, Pianeta come festival
A sinistra: Massimo Scolari Massimo, Porta per Città di MAre, 1979. A destra: Ettore Sottsass, Pianeta come festival
L’uscita dalla parte centrale della mostra avviene attraverso una stanza dedicata a una modalità di rappresentazione – oltreché di percezione dei luoghi e di definizione del progetto – più privata: quella dei quaderni di schizzi e dei taccuini di viaggio, compendio fondamentale del lavoro di molti architetti italiani. Infine, nella sua parte conclusiva, la mostra accenna alle trasformazioni in atto sul corpo fisico dell’Italia nel tempo presente. Lo fa attraverso la presentazione dei risultati – rielaborati da Gianni Canova e dallo IULM in forma di parete-video – della call “Italy in a frame” che intende fare il punto sullo stato attuale del paesaggio italiano. A questa installazione si affianca una selezione di video dal titolo Segnali di futuri, raccolti da Avanzi, che illustrano come nell’Italia contemporanea le occasioni di progetto stiano progressivamente cambiando, e come nuovi campi di applicazione e nuove necessità di formazione per i futuri architetti stiano emergendo.
Un’immagine del celebre Cretto di Gibellina di Alberto Burri accompagna all’uscita della mostra, a rendere emblematicamente l’idea delle contraddizioni che hanno segnato nel corso del secondo Novecento l’architettura italiana.

28 novembre 2015 – 6 marzo 2016
Comunità Italia
Architettura, città e paesaggio dal dopoguerra al Duemila

a cura di Alberto Ferlenga e Marco Biraghi
assistenti: Claudia Gallo, Alessandra De Bastiani Menna
allestimenti: Filippo Orsini, Guido Morpurgo, Annalisa De Curtis
grafica: Stefano Mandato
La Triennale di Milano
viale Alemagna 6, Milano

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