Un piccolo appartamento nel quartiere di Exarcheia, uno dei più vitali di Atene, dalla lunga storia culturale e politica, è stato riconfigurato integralmente da Federica Scalise: tra le richieste della committenza — una coppia quarantenne — c'era un ambiente multiuso, ben distinto da una stanza da letto dedicata al solo riposo, in un paesaggio domestico minimale e luminoso.
L’edificato dell’Atene postbellica ha una caratteristica molto forte che lo rende quasi unico: in termini costruttivi, è quasi sempre uguale attraverso tutta la città, ma di quartiere in quartiere cambia contenuto, vocazioni di interni e piani terra, e conseguentemente cambia d’aspetto, mosso da componenti umane prima ancora che architettoniche.
Qui, in un edificio anni ’60 di Exarcheia, l’architetta ha scelto di ispirarsi alle partizioni traslucide giapponesi shoji proprio per rispondere alla domanda dei clienti, valorizzando allo stesso tempo la presenza del moderno. Quello che ne nasce non è un progetto dove un qualche “stile” diventa esotismo, ma l’invenzione di uno spazio tutto nuovo, con un linguaggio suo, fatto degli elementi dell’abitare greco e di quello giapponese.
Qui, in un edificio anni ‘60 di Exarcheia, quello che nasce non è un progetto dove un qualche ‘stile’ diventa esotismo, ma l’invenzione di uno spazio tutto nuovo, con un suo proprio linguaggio.
L’interno si articola su un asse che unisce idealmente e concretamente alba e tramonto, le zone private della casa con quelle di vita familiare e conviviale; ed è un asse costruito sul flusso, di luce come di azioni e di movimenti. Via le partizioni fisse esistenti, viene lasciato a vista il cemento grezzo delle strutture. E il nuovo concept di partizione mobile e traslucida, il nodo del progetto nato dall’ispirazione shoji, integra le scaffalature, inquadra le prospettive degli interni e si fa vettore del flusso della luce anche in spazi altrimenti ciechi, come i bagni.
Il living aperto sul terrazzo si concatena così con la cucina, resa un ibrido tra spazio conviviale e di passaggio, con l’inserimento di una panca bassa per il tavolo lungo il muro. Prosegue poi con la fascia dei servizi per addentrarsi nell’area privata, con la stanza multiuso e il bagno padronale, fino allo spazio intimo della camera da letto.
L’occasione di lavorare sulla matrice astratta del moderno ateniese, in questi anni ha stimolato una molteplicità di atteggiamenti, dalla preservazione del suo spirito all’elogio della non-struttura, dalla creazione di spazi ibridi e flessibili alla scelta del colore come codice per interpretare l’esistente. Qui Scalise ha scelto di confrontarsi con l’interpretazione del minimalismo come approccio esperienziale prima che come gesto; d’altronde come qualche tempo fa John Pawson ha detto a Domus, “minimalismo non significa solo dipingere tutto di bianco”.
