“Non ho nostalgie”: a casa di Giovanna Calvenzi

A tu per tu con la grande photo editor, nell'abitazione per anni condivisa con il marito e grande fotografo di architettura Gabriele Basilico, scomparso nel 2013, che l’aveva progettata con Antonio Citterio.

“Per me la fotografia è sempre stato un lavoro, piacevolissimo ma un lavoro”. Inizia così l’incontro con Giovanna Calvenzi, una delle più illustri photo editor italiane. Un percorso, il suo, che inizia con il fotografo Federico Patellani, un nome che ha segnato la storia – per non dire iniziato – del fotogiornalismo italiano. “Doveva partire per fare il giro del mondo e aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di scrivere sotto dettatura i suoi testi, all’epoca ero al mio primo anno di università”, racconta Calvenzi. L’esperienza con Patellani segna l’inizio di una carriera in cui la fotografia e la scrittura s’intrecciano in modo indissolubile, in un viaggio attraverso lo studio e la divulgazione della fotografia contemporanea, mai terminato.

Tra i numerosi scritti pubblicati basti citare Le cinque vite di Lisetta Carmi (2013), figura tristemente scomparsa, di cui fa capolino una foto affettuosa, appesa all’armadio dello studio.

Negli stessi anni in cui Giovanna lavorava come assistente di Patellani, Gabriele Basilico iniziava a fotografare: “Il fatto che io lavorassi da un fotogiornalista molto noto e molto ben organizzato, mi permetteva di trasmettere a Gabriele, che poi sarebbe diventato mio marito, tutta una serie di trucchi del mestiere.” È il 1992 l’anno in cui acquistano la loro casa: appartamento al quarto piano e studio al piano terra, allargatosi poi in un secondo momento in un altro spazio che dal 2013 diventerà l’archivio di Gabriele Basilico, naturale prosecuzione dell’attività dello Studio Basilico. Entrambi gli spazi interamente progettati da Antonio Citterio insieme a Gabriele Basilico.


Si potrebbe dire che i padroni di questi ambienti sono i libri. File, e pile, infinite che percorrono la storia della letteratura, della fotografia, dell’architettura e del design, sorrette da quelle line essenziali pensate da Citterio, con un pensiero creativo, che lui stesso negli anni ha definito “una questione di sintesi, non di espressione.” Una tradizione del fare, una ricerca attenta della normalità, un’osservazione delle abitudini e dei gesti di chi vivrà quelle mura.

“I tavoli sono stati disegnati da Gabriele, a sua misura, perché era alto” e poi realizzati da Flexform, con quel concetto di effortless style, uno stile senza sforzo, identificativo dell’azienda, che ha sempre dato vita a dei pezzi pensati per durare e per essere vissuti. “Gabriele era molto appassionato di architettura e di design e non c’era mai nulla che non fosse disegnato nel modo giusto”. Sul soppalco, troneggia il capolavoro di semplicità firmato Le Corbusier: la Chaise Longue LC4, dove Gabriele amava stendersi a leggere.

Per me la fotografia è sempre stato un lavoro, piacevolissimo ma un lavoro.

“Avrei voluto rimanere in università e continuare a studiare letteratura contemporanea, non era nelle mie intenzioni studiare fotografia”. È stata la vita che ha portato Giovanna Calvenzi a dedicarsi a quest’arte in tutte le sue accezioni.

Un’attività professionale portata avanti con un’accesa volontà di ricognizione sul contemporaneo e sul ruolo attivo della fotografia, come testimonia l’ironica immagine del Collettivo Donne Fotoreporter, che ritrae le fotografe stesse in cucina con un grembiule, ironizzando provocatoriamente sui luoghi comuni legati alle donne che lavorano con la fotografia.


Poche immagini, alcune scattate da Basilico, altre che lo ritraggono in momenti di vita: con Letizia Battaglia o altri cari amici che hanno popolato la vita artistica della coppia.

“L’unico artista che colleziono è Zero Calcare” afferma Giovanna sorridendo, sottintendendo una simpatia per il fumettista, che con spietata naturalezza racconta di una generazione segnata da un costante senso di precarietà. “Se ritorno un po’ indietro nel tempo e ripenso a quando lavoravo per Il Fotografo, il direttore mi chiese di fare un elenco dei fotografi che trovavo più interessanti, io l’ho fatto e mi hanno mandata a Parigi, New York e Londra per incontrarli, cose oggi impensabili”.

Soffermandosi sul cambiamento significativo per chi si interfaccia oggi con il mondo dell’editoria fotografica, è abbastanza prevedibile chiedere ad una donna che per tutta la vita se n’è occupata cosa ne pensi dei social network, non è altrettanto prevedibile la risposta.

Gabriele era molto appassionato di architettura e di design e non c’era mai nulla che non fosse disegnato nel modo giusto.

“Pensare che i social network ci abbiano anestetizzati rispetto alla lettura dell’immagine è un falso problema. Se lei visivamente è ignorante rimane ignorante. L’utilizzo dei cellulari ha reso evidente che la fotografia richiede delle competenze, quindi l’uso dei cellulari per fotografare ci ha fatto conoscere un linguaggio che è solo apparentemente facile. Un mio amico mi diceva che lui sui social vede solo cose orribili. Gli ho risposto che dipende dagli amici.”

A casa di Giovanna Calvenzi. Foto Elena Vaninetti
A casa di Giovanna Calvenzi. Foto Elena Vaninetti

Giovanna Calvenzi dal 1985 al 2019 è stata photo editor di diversi periodici italiani. Nel 1998 è stata direttore artistico dei Rencontres Internationales de la Photographie di Arles, nel 2002 “guest curator” di Photo Espana a Madrid e nel 2014 delegato artistico del Mois de la Photo a Parigi. Dal 2013 si occupa dell’Archivio Gabriele Basilico e dal 2016 al 2022 è presidente del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano. Ha pubblicato, tra gli altri, “Italia. Ritratto di un Paese in sessant’anni di fotografia” (2003), “Letizia Battaglia. Sulle ferite dei suoi sogni” (2010), “Le cinque vite di Lisetta Carmi” (2012), “Antonia Pozzi. Sopra il nudo cuore”, con Ludovica Pellegatta (215) e “Interviste” (2019).

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