L’aura degli Shakers, influencer del buon design

Gli Shakers sono sul punto dell’estinzione, ma la loro eredità non sembra essere mai stata così fertile. Dall’ultimo progetto di Raf Simons fino alle collezioni-tributo degli ultimi anni, la frugalità iconica della setta americana continua ad ispirare il mondo del design.

Solo solo due, stando agli ultimi riscontri della stampa, i membri ancora in vita dello Sabbathday Lake Shaker Village, l’ultima comunità dell’omonima setta puritana americana ancora ufficialmente attiva nel Maine. Eppure, se il rigore religioso imposto da questa confessione radicale ha finito per scoraggiare l’avvicinamento di nuovi membri, la sua più ampia influenza culturale e stilistica si fa sempre più incisiva su un vasto numero di proseliti laici.

Così lontani, così vicini: l’imposizione del celibato e di una vita rigorosamente comunitaria prevista dal credo Shaker non offre prospettive concilianti con la spiritualità e le abitudini del mondo contemporaneo. Paradossalmente, però, la sensibilità per una cultura materiale assurta ai ranghi del classico e capace di incarnare l’equilibrio tra necessità funzionale e virtù della forma, ha finito per alimentare un’aura di fascino e attualità capace di parlare a personalità creative quanto mai trasversali.

Lo Shaker System di Raf Simons

L’ultimo progetto di Raf Simons, the Shaker System, racconta in maniera esemplare la fenomenologia di questo nuovo culto. Lavorando in collaborazione con Kvadrat, Simons – che è oggi e co-direttore creativo di Prada oltre che del suo brand eponimo – ha sviluppato una serie di piccoli contenitori ed accessori per la casa che rileggono in maniera interessante uno degli oggetti più iconici della cultura Shaker, il peg rail. Anche noto come lo Shaker peg, questo lungo attaccapanni a listello non è mai stato relegato dagli Shakers ad un angolo circoscritto della casa. In un sistema di valori dove l’ordine materiale coincide ed esalta le qualità morali dello spazio e dei suoi abitanti, questa lunga patera con pioli permette di trovare una collocazione per ogni tipo di oggetto, dalla giacca, alle pendule, agli scaffali, fino ai mobili che si sollevano e lì si appendono quando si pulisce il pavimento.

Lasciato vuoto, il peg rail si erge a perimetro della stanza, rassicurante cerniera tra decorazione e invito all’uso. Nella sua rilettura, Simons sceglie la versione più sofisticata del peg rail, quella dove il gancio è coperto da un listello di legno, trasformando il supporto in un segno minimalista che si apre al colore, seguendo il lascito dichiarato di artisti minimalisti quali Donald Judd e John McCracken.

The Shaker System di Raf Simons e Kvdraft

Gli oggetti di MOS

I tributi alla cultura Shaker hanno trovato recentemente anche la forma di una celebrazione collettiva che, coltivata nel tempo, ha finito per assumere il valore di un’immersione nel lascito della setta americana. È lo spirito con il quale Furnishing Utopia, gruppo di 28 studi di design internazionali, ha lanciato dal 2016 al 2018 una serie di mostre che offrono una rilettura corposa e su varie scale del corpus di artefatti degli Shakers. Offsite, il primo debutto alla design week di New York del 2016, ha abbordato il restyling di alcuni pezzi attraverso linee e chiavi cromatiche attualizzate. Esposta anche allo Hancock Shaker Village, sito museo di una vecchia comunità Shaker ormai estinta, la collezione di Furnishing Utopia si allarga l’anno successivo fino ad includere mobili contenitori, creazioni tessili e serie di oggetti spesso reinterpretati come esplorazione di una data tipologia. Hands To Work, del 2018, ha invece indagato la metafora e il valore degli oggetti per la pulizia della casa, alla cui funzione strumentale si aggiunge l’accezione di strumento per l’elevazione spirituale e l’illuminazione.

Furniture of a New Order di MOS Architects
Furniture of a New Order di MOS Architects

La collezione Furnishing Utopia

I tributi alla cultura Shaker hanno trovato recentemente anche la forma di una celebrazione collettiva che, coltivata nel tempo, ha finito per assumere il valore di un’immersione nel lascito della setta americana. È lo spirito con il quale Furnishing Utopia, gruppo di 28 studi di design internazionali, ha lanciato dal 2016 al 2018 una serie di mostre che offrono una rilettura corposa e su varie scale del corpus di artefatti degli Shakers. Offsite, il primo debutto alla design week di New York del 2016, ha abbordato il restyling di alcuni pezzi attraverso linee e chiavi cromatiche attualizzate. Esposta anche allo Hancock Shaker Village, sito museo di una vecchia comunità Shaker ormai estinta, la collezione di Furnishing Utopia si allarga l’anno successivo fino ad includere mobili contenitori, creazioni tessili e serie di oggetti spesso reinterpretati come esplorazione di una data tipologia. “Hands To Work”, del 2018, ha invece indagato la metafora e il valore degli oggetti per la pulizia della casa, alla cui funzione strumentale si aggiunge l’accezione di strumento per l’elevazione spirituale e l’illuminazione.

The Shaker Design Project di Furnishing Utopia
The Shaker Design Project di Furnishing Utopia

L’eredità Shaker

“In chaotic and fearful times, humanity will naturally look for answers and find solace in simplicity. People are trying to make the ordinary extraordinary” aveva sottolineato nel 2018 la trend forecaster Lidewij Edelkoort in occasione dell’apertura della mostra The Gift To Be Simple, da lei curata con Philip Fimmano e François Epin presso la sua galleria di Parigi. In quell’occasione, il filo rosso della cultura Shaker, esplorato nei suoi lasciti e interferenze con la cultura modernista e giapponese, veniva esemplificato nella selezione in una selezione di pezzi che includeva adepti eterogenei, da Hans Wegner, a George Nakashima – che definì il suo lavoro “Japanese Shaker” – fino ad Atelier van Lieshout, che nel 1999 si era riappropriato della schiettezza dei codici Shaker nella Shaker chair, primo pezzo della serie The Good, the Bad and the Ugly commissionato dal Walker Art Center di Minneapolis.

Recita il più noto adagio Shaker: “Don’t make something unless is both made necessary and useful; but if it’s both necessary and useful, do not hesitate to make it beautiful”. L’assenza di decoro fine a se stesso non ha precluso a questi grandi sperimentatori e sostenitori dell’innovazione della cultura materiale – è loro uno dei primi modelli di lavatrice, il cui brevetto fu depositato nel 1829 – di preservare l’aspirazione all’armonia, alla dolcezza delle forme, secondo un senso di intenzionalità volto a fare anche degli oggetti l’incarnazione dell’“heaven on earth”. Una capacità, quella di allineare funzionalismo e trascendenza, che ci dice qualcosa sulla longevità della loro aura e sul balsamo olistico che continuano ad esercitare, a quasi tre secoli dalla loro fondazione e a pochi, presumibili decenni dalla loro definitiva estinzione.

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