La critica si è infiltrata nel design, con lacune

Ani Liu, Giovanni Innella, Marco Petroni ed Emanuele Quinz esplorano in quattro episodi le possibilità di un post-Antropocene: le questioni da affrontare, i limiti da superare. Qui trovate il terzo contributo di Emanuele Quinz.

Proponiamo in esclusiva, suddiviso in quattro puntate, un confronto avvenuto sotto forma di scambio epistolare tra Marco Petroni, Ani Liu, Giovanni Innella ed Emanuele Quinz sul futuro del design, intitolato Black Box Design. Qui il terzo episodio firmato da Emanuele Quinz.

La critica si è infiltrata nel design. Anche se molto spesso le infiltrazioni teoriche provenienti da altri ambiti disciplinari come la filosofia, l’antropologia e le discipline umanistiche rimangono superficiali e, invece di suscitare discussioni approfondite, permangono in uno stato di sospensione non diluita, come corpi estranei. D’altra parte, la critica in filosofia, antropologia e nelle discipline umanistiche troppo spesso non prende in considerazione il design, nonostante sia considerato lo strumento con cui l’uomo agisce sull’ambiente. 

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare gli strumenti non sono neutri; non solo la materialità delle cose induce sempre l’agire, ma in più le forme sono sempre connotate: il design è un insieme di pratiche culturalmente istituite che legano oggetti, comportamenti e valori. In questo senso, oggi, in un momento in cui ci sono sempre più avvertimenti di una crisi planetaria, sia ecologica che sociale, penso sia importante tornare indietro per capire meglio il presente e lavorare meglio al futuro. 

Emile De Visscher, Petrification, 2015-2020
Emile De Visscher, Petrification, 2015-2020.

Troppo spesso la critica, che è sempre crisis thinking, spinto dall’urgenza della situazione, si sottrae al compito fondamentale che è lo scrutinio storico. Semplifica per necessità e tende a comprimere la polifonia delle voci in un discorso omogeneo, in slogan facilmente comprensibili, mentre il problema è la complessità. Tutto ciò è già noto, Marcuse lo pose già ne L’uomo a una dimensione: “come la filosofia sociale non può essere che una teoria della storia, così la critica non può assumere una posizione meramente speculativa, ma deve istituirsi como una posizione storica, definita dal contesto specifico di una società, e realizzata dal cambiamento sociale”. 

Le teorie dell’Antropocene o del Capitolocene sono teorie della storia. Per questo non possono non includere nella loro analisi il contributo storico del design.

Certamente, le teorie dell’Antropocene o del Capitolocene sono teorie della storia. Per questo non possono non includere nella loro analisi il contributo storico del design. In questo senso credo sia importante rileggere oggi, alla luce della teoria dell’Antropocene, i primi tentativi di mettere in relazione la crisi ecologica e il design, da un lato fissandone la responsabilità - non solo tecnica ma anche ideologica - e dall’altro cercando di individuare i margini di manovra per dare impulso al cambiamento sociale. Penso in particolare a Design for the Real World di Papanek e a La speranza progettuale di Tomas Maldonado, due libri usciti nel 1970. 

La copertina di Design for the Real World: Human Ecology and Social Change di Victor J. Papanek. ‎ Thames & Hudson; 1° edizione (11 luglio 2019)
La copertina di Design for the Real World: Human Ecology and Social Change di Victor J. Papanek.‎ Thames & Hudson (11 luglio 2019)

Se si guarda bene, l’alternativa radicale che Bruno Latour propone oggi, “entre moderniser et écologiser” (modernizzare o ecologizare, ndr) era già stata posta allora, quasi negli stessi termini. Per cui è importante chiedersi cosa sia cambiato e cosa no. Non siamo più nell’era industriale, nella società dei consumi, nella società dello spettacolo. Allora, dove siamo? Se la risposta è che siamo nell’Antropocene - allora siamo obbligati ad allargare il campo, a passare da una scala piccola a una scala geologica. Questo significa in qualche modo uscire dalla temporalità umana, dalla scala di una vita umana o di una generazione, e cominciare a pensare ad una scala non-umana. 

Forse la novità è proprio questa allora: la sfida di iniziare a pensare al mondo non con categorie umane, non con valori umani, ma considerando l’uomo come una delle entità che convivono sulla terra. In altre parole: uscire dall’antropocentrismo, come chiedono le filosofie orientate all’oggetto o le antropologie dell’animismo - ma è possibile? È possibile che l’uomo esca da se stesso e pensi come i non-umani? È solo un’illusione? Oppure, proprio perché è impossibile, deve diventare un imperativo morale e la base di un progetto politico? Credo quia absurdum, dice il motto latino, attribuito a Tertulliano. Proprio perché è impossibile uscire dall’antropocentrismo, dobbiamo farlo. E allo stesso tempo, dobbiamo includere il design in questa riflessione. Uscire dall’antropocentrismo significa ridurre o rinunciare al disegno? È possibile concepire il design al di là dell’essere umano?

Emanuele Quinz è storico dell’arte e curatore. Professore associato all’Université Paris 8 e ricercatore associato all’EnsadLab (École nationale supérieure des Arts Décoratifs), le sue ricerche esplorano le zone di frontiera tra le diverse discipline artistiche.

Ultimi articoli in Design

Ultimi articoli su Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram