Futuri alternativi e zone rosse: Unknown Fields è più attuale che mai

Lo studio nomade di ricerca guidato da Liam Young e Kate Davies da anni documenta luoghi e spazi marginali ed estremi, un’opera a cui guardare con rinnovata attenzione.

Potremmo considerare la pandemia in corso come la punta dell’iceberg di una fitta e inestricabile rete di fenomeni: cambiamenti climatici, biotecnologie, globalizzazione, fenomeni migratori. Il panorama fisico, culturale e sociale sarà radicalmente diverso da quello che abbiamo lasciato prima del lock down. Tornano in gioco pratiche progettuali che forse troppo sbrigativamente sono state liquidate come speculative e poco accordate con la realtà. Basti pensare a quelle proposte progettuali di Liam Young, architetto, fondatore dello studio di architettura e design Unknown Fields e dello spazio di riflessione online Tomorrow’s Thoughts Today. Liam Young ha sempre affermato che il progettista per ritagliarsi un ruolo nel nostro tempo debba agire nei luoghi ai margini della conoscenza. Territori dove problemi come il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse, il declino della biodiversità e le tecnologie pervasive si manifestano con più immediatezza e più urgenza rispetto a qualsiasi altra parte del mondo.

Luoghi e spazi che forniscono scorci su futuri alternativi. Banchi di prova per i progettisti dove valutare criticamente le implicazioni delle tecnologie emergenti e i nostri modi di vivere. È l’Unknown Fields Division a dare forma alla sua pratica progettuale. Si tratta di uno studio nomade di ricerca sul design coordinato dallo stesso Young con Kate Davies.
Dissipazione e iperstizione sono le parole chiave per leggere la loro filosofia progettuale. Una generosa e rischiosa attività creativa genera un’amplificazione di coincidenze che svelano le connessioni nascoste del nostro pianeta malato.

Unknown Fields Division, foto Liam Young

Unknown Fields Division organizza ogni anno una spedizione in luoghi distanti dall’attenzione mediatica alla ricerca di evidenze che nonostante la loro apparente marginalità sono integrate in sistemi globali che le collegano in modo sorprendente e complicato alla nostra vita quotidiana. Le isole Galapagos di darwiniana memoria, la foresta Amazzonica dell’Ecuador, il nord dell’Alaska, i paesaggi minerari di Outback in Australia, la zona rossa di Chernobyl sono alcuni dei luoghi oggetto delle loro ricerche. Unknown Fields realizza oggetti, film, installazioni e racconti da questo lavoro di spedizione, esplorando connessioni disperse e inconsuete che si fondono per formare visioni dello spazio urbano contemporaneo.
Queste narrazioni sono raccolte in una serie di libri intitolata Unknown Fields: Tales from the Dark Side of the City. Le spedizioni servono a documentare come le nostre città nelle loro infrastrutture, si estendono ben oltre i loro limiti geografici e producono paesaggi geologici, sedimentati e fragili.

Luoghi e spazi che forniscono scorci su futuri alternativi. Banchi di prova per i progettisti dove valutare criticamente le implicazioni delle tecnologie emergenti e i nostri modi di vivere. È l’Unknown Fields Division a dare forma alla sua pratica progettuale

Il tentativo d’indagine non mira a generare un giudizio su questa produzione umana, ma piuttosto a intervenire al suo interno come designer, spesso attraverso racconti di science fiction o per immagini che consentono di problematizzare le situazioni e di espandere gli immaginari.
Un insieme di attraversamenti, di luoghi, storie inorganiche che nascono da una proliferazione e dispersione di elementi trascurati ma significativi. I progetti di Unknown Fields sviluppano strumenti critici per rilevare le conseguenze dei futuri ambientali e tecnologici nei quali viviamo. Imprevedibilità, incomprensibilità, senso di panico di fronte alla perdita di controllo, ecco una serie di sfide inedite lanciate contro le orgogliose garanzie della modernità da parte di Unknown Fields. Un invito al mondo del progetto a individuare diversi e complessi fattori per disegnare scenari alternativi allo status quo. Nelle sue spedizioni Unknown Fields rivela una cartografia nascosta capace di individuare un potenziale di cambiamento, di trasformazione.

Unknown Field Division, Unravelled, video still

La filosofa americana Donna Haraway ha sintetizzato questa condizione, questa modalità progettuale con staying with the trouble e becoming with. È importante riconoscere il problema (trouble), ed essere consapevoli di esserci dentro fino al collo. Èaltrettanto importante agire per sciogliere la matassa del problema. L’obiettivo è generare disordine, sollevare una potente reazione di fronte a eventi devastanti come la recente pandemia. Occorre passare alla response-ability per dirla ancora con la Haraway, ovvero avere la capacità di rispondere/reagire.

Quando Unknown Fields Division sceglie di esplorare le zone ai margini dei flussi globali come il reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina fanno un’azione rischiosa per loro stessi ma l’obiettivo è quello di ripensare le posizioni di tutela e di conservazione del mondo naturale e documentare un paesaggio stregato di fragilità ecologica e obsolescenza tecnologica. “Raccogliamo, riflettiamo, raccontiamo, agiamo, registriamo e sperimentiamo; elaboriamo archivi per un futuro possibile.
Nomadi a caccia dell’ultima balena dei mari, rivestiti delle nostre tute rosse da laboratorio…”. Liam Young e le sue pratiche ci invitano, ci chiamano a pensare e agire un nuovo senso di responsabilità nel ridisegno del mondo. Dagli oggetti occorre concentrare l’attenzione su quelli che Timothy Morton chiama gli iperoggetti a iniziare dai cambiamenti climatici praticando l’ascolto e la coesistenza.

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