Come la Design Week 2020 si è reinventata per adattarsi al digitale

Per la comunicazione del progetto questo è l’anno della transizione al digitale. Ed è il momento per metabolizzare una nuova cultura della relazione.

Il 2020 è l’anno senza Design Week. In un modo concitato, generativo e a tratti caotico o entusiasta, gli aggregatori della comunicazione si sono mossi per aprire nuovi canali e inventare dei modelli perseguibili di remote communication.

Imparando da chi per questa strada è già passato da tempo, vedi Netflix o la piattaforma educational TED, Studiolabo ritornata  là dove tutto è cominciato: Fuorisalone.it.  E partendo da un progetto che ormai ha vent’anni e che rappresenta la matrice di una certa idea di pensare alla Design Week, Paolo Casati ha scommesso sul digitale, inventando una piattaforma multitask per la quale il settore si è convertito alla generazione di contenuti delocalizzati. Il video è ovviamente l’alternativa naturale: rapido, coinvolgente e completamente progettato. “I designer, fino a qualche mese fa indiscussi progettisti di contenuti e di identità di marca, si affiancano registi e video maker. Il loro nuovo ruolo? Un video storytelling breve, accessibile, veloce, frutto di competenze trasversali” commenta paolo Casati, founder di Studiolabo.

L’ibridazione fra fisico e digitale non sostituisce la realtà, ma a volte l’aumenta

La digital edition della design week di Fuorisalone.it testimonia la volontà del settore di uscire dal silenzio sgomento del lockdown. È un lancio nel vuoto, eppure la concitazione e l’entusiasmo sono evidenti. Numerosi, inaspettati, a volte ingenui: i video della piattaforma creata da Studiolabo sono la risposta absolute beginner alla necessità di tornare a parlare e a costruire relazioni con il mondo. Il design ha bisogno di legami, di occasioni generative, di confronto. Non è quindi strano mettersi in gioco e adeguarsi a un nuovo ambiente di comunicazione, che prevede contenuti live, release quotidiane, anzi orarie, webinar, video e appuntamenti su Meet per gli incontri business. Più gli approfondimenti, le interviste, i documentari, i contenuti progettati bottom up con le scuole e le associazioni. E la messa in opera di piattaforme locali per la parte commerciale, sui canali più tipici del mondo orientale. Il virtuale quindi funziona malgrado l’inesperienza e la semplicità degli strumenti? “È un passaggio storico” sostiene Casati. “Le aziende si stanno adeguando a un modello che reclama una diversa produzione dei contenuti: più sofisticata e immersiva”. Siti corporate pensati come film, eventi local che connettono un pubblico teoricamente infinito, interazioni progettate per amplificare i messaggi. E location che si trasformano in altrettanti set digitali: telecamere, microfoni, regia audio e video. “Ci aspettiamo un’evoluzione rapidissima verso una mentalità cross media e cross browser, con una parcellizzazione dei contenuti per diversi supporti e ambienti digitali”. 

Anton Alvarez, L'ultima cera, Chiesa San Bernardino alle Monache, 2019

L’interazione umana? Tutta da progettare, senza perdere d’occhio il gaming e i mondi virtuali

Basta questo per dichiarare il successo di una transizione epocale? “Il passaggio non è mai spontaneo” spiega Chiara Diana, executive design director di Frog Design. “Stiamo osservando quello che succede negli ultimi mesi, ci confrontiamo con le aziende, cerchiamo di raccogliere esperienze e opinioni. E abbiamo una certezza: canali digitali non sostituiscono la capacità generativa dell’incontro in presenza, che è collaterale all’evento e casuale”. È un problema di linguaggio preverbale, di lettura di un codice che ha più a che fare con il corpo che con la mente. Le conversazioni informali, gli incontri casuali, che sono il nucleo innovante di un grande evento collettivo, non sono riproducibili in forma virtuale. E Chiara Diana insiste: “È una dimensione digitale, un ambiente in cui si possono distribuire messaggi, in cui la parte fisica acquista una dimensione più ampia. Ma non è relazione, perché parlare di esperienze virtuali ci porta davvero fuori contesto. Manca il piano di fiducia e di profondità in cui si legittima la progettualità”. La registrazione di contenuti video e eventi però ha un grande vantaggio: storicizza, conserva. È la possibilità di veder evolvere l’idea stessa di memoria. E di renderla fruibile in ogni momento, tanto che Paolo Casati parla già di canali on demand, di motori di ricerca tematici, di liste dei preferiti. “Il rischio però è però una fruizione vagamente distorta” riflette Chiara Diana. “Penso ai talk TED guardati a velocità aumentata, al multitasking cognitivo o alla convivenza di messaggi paralleli. Non credo che questa sia la strada più costruttiva”. Ma indietro non si torna: l’impatto trasformativo di questi mesi apre a un nuovo modo di comunicare

Tides-Maree, Noroo, Fuorisalone Ventura Centrale, 2018

Una volta si chiama arte telematica, oggi è la progettazione di ambienti umani paralleli

Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, il digital culture center voluto da Fondazione Cariplo, ha una proposta alternativa. “Il digitale è un tema culturale, che va metabolizzato da intere società perché possa impattare sulla fruizione e sulla frequentazione degli ambienti virtuali. Ma non mancano gli esempi: è dagli anni Settanta che il mondo dell’arte esplora l’esperienza e l’interazione in remoto. Ed è a questo tipo di creatività che bisogna guardare se si vuole capire qual è la direzione da prendere”. Gli spazi virtuali raccolgono e connettono milioni di persone. Basta pensare al mondo del gaming, agli eventi organizzati su Fortnite, a Second Life che diventa il luogo di conferenze mondiali. Secondo Maria Grazia Mattei la parola “virtuale” può e deve essere usata, perché riguarda la produzione pensata per una dimensione immateriale che ibrida la realtà fisica. “È un passaggio cognitivo, ci vorrà del tempo. Ma quando ci interroghiamo sulla dimensione e sulla possibilità offerte dal virtuale, quando ne indaghiamo i confini, non possiamo ignorare che esistono già mondi virtuali frequentati da moltissime persone”. Le parole chiave delle best practice in ambito digitale? Tanslocal, sensibilità digitale, sensorialità, prossemica virtuale. C’è molto da fare ancora, ma niente impedisce di passare dall’on line all’on life, come teorizza il filosofo Luciano Floridi. In attesa di vedere cosa succederà durante i Design Days previsti in autunno a Milano: un ritorno all’evento fisico che avrà, con tutta probabilità, dimensioni e prassi completamente diverse dal passato.

Immagine di apertura: Ventura Centrale 2029, Milan Design Week 2019, via Ferrante Aporti 9, Milano. Foto Henrik Blomqvist

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