Da Turing ai Massive Attack: l’IA si mostra al Barbican

L’Intelligenza artificiale c’è, e a Londra si vede anche, con una esposizione in quattro stazioni che racconta in una esplosione di riferimenti pop, ma senza mai dare niente per scontato, l’emergere dell’età dei robot.

AI: More than Human, Barbican Centre. Aibo, © Sony Corporation. Photo Tristan Fewings/Getty Images

A New York, nel 1939, i visitatori dell’esposizione “Futurama” avevano appuntata una spilla con la scritta “I have seen the future”, mentre uno straordinario plastico di grandi dimensioni disegnato da Norman Bel Geddes restituiva l’immagine di una città del futuro. È analogo il climax che caratterizza la mostra “AI: more than nature”, al Barbican Centre di Londra. Curata da Suzanne Livingston e Maholo Uchida, l’esposizione si sviluppa come una spettacolare indagine attorno agli sviluppi artistici e scientifici nell’intelligenza artificiale.

È un’esplorazione dell’evoluzione delle relazioni tra uomo e tecnologia che mette insieme opere e progetti di ricercatori, artisti, designer e scienziati raccolti in quattro sezioni. Attraverso una molteplicità di ambienti immersivi e interattivi si ha la possibilità di sentire e sperimentare in prima persona i dispositivi che alimentano l’intelligenza artificiale. Un’esperienza che offre ai visitatori gli strumenti per decidere autonomamente come navigare nel nostro mondo in evoluzione.

Sono in gioco le grandi questioni del nostro tempo: cosa significa essere umani? Cos’è la coscienza? Le macchine supereranno mai l’umano? E come possono esseri umani e macchine lavorare e collaborare? La prima sezione dal titolo “The Dream of AI” apre il percorso espositivo con una suggestiva e potente installazione di Kode9, artista e star della musica elettronica che mette insieme suoni e immagini ispirate dal desiderio umano di riportare in vita l’inanimato. Dalle tradizioni religiose come lo shintoismo e l’ebraismo al misticismo scientifico degli alchimisti arabi, Kode9 rielabora queste suggestioni mixandole con suoni ripresi da Frankenstein e Blade Runner.

Il risultato è un inquietante e promettente punto di partenza per la mostra. Il golem è la primordiale forma di vita artificiale a cui guardano Stefan Hurtig, Detlef Weitz mentre Sam Twidale e Marija Avramovic osservano l’intelligenza artificiale attraverso la lente dello shintoismo giapponese per dare corpo all’idea che, attraverso il tentativo di animare cose non viventi, abbiamo esplorato nel corso del tempo la potenza e talvolta la paura di un mondo che non possiamo controllare. Questa tensione ha ispirato i tentativi di creare figure umane con abilità speciali e di sviluppare sistemi d’intelligenza che estendono la mente.

What a Loving and Beautiful World, © teamLab
What a Loving and Beautiful World, © teamLab

Queste due dimensioni hanno guidato il progetto dell’intelligenza artificiale fino a dove è oggi. Nella seconda sezione “Mind machines” i curatori hanno provato a ricostruire una prospettiva storica che parte dai pionieristici tentativi di convertire il pensiero razionale in codici digitali: da Ada Lovelace e Charles Babbage a Claude Shannon passando per Alan Turing fino a DeepMind’s AlphaGo, che è diventato il primo computer a sconfiggere un uomo nel complesso gioco di strategia Go nel 2016. Questa sezione analizza anche il modo in cui l’intelligenza artificiale vede le immagini e comprende il linguaggio. Ne è un esempio il progetto di Google Pair Waterfall of Meaning, uno sguardo poetico che rivela come una macchina assorba le associazioni umane tra le parole restituendo uno slam poetry. È Circuit Training di Mario Klingemann a invitare i visitatori a prendere parte alla costruzione di una rete neurale per creare un’opera d’arte.

Il sistema assorbe e cattura la nostra immagine selezionando ciò che ritiene interessante ai fini del lavoro finale che è in continuo divenire. Emerge dall’attraversamento degli spazi espositivi come l’intelligenza artificiale sia una disciplina scientifica che studia e sviluppa diverse tecnologie che ruotano attorno al ragionamento, all’apprendimento automatico, alla rappresentazione dei dati, alla pianificazione, programmazione e ottimizzazione degli input di ricerca. Un sistema che mira a costruire dispositivi in grado di risolvere problemi complessi in diversi domini applicativi. Lo sviluppo dell’AI è facilitato da una crescita continua legata all’analisi dei dati, alla sicurezza informatica e all’etica grazie, anche, al supporto di infrastrutture digitali come il cloud computing, l’Internet degli oggetti, la robotica e gli smartphone.

Alter 3 © Hiroshi Ishiguro, Takashi Ikegami and Itsuki Doi. Photo Tristan Fewings/Getty Images
Alter 3 © Hiroshi Ishiguro, Takashi Ikegami e Itsuki Doi. Foto Tristan Fewings/Getty Images

La sezione “Data Worlds” prova a svelare come l’intelligenza artificiale che è intorno a noi e modella le nostre esistenze, sia nello spazio pubblico sia in quello privato, attraverso i media che consumiamo e i prodotti che acquistiamo. Qualcosa ci è dato sapere di questa semiosfera che avvolge il nostro quotidiano, ma molte manifestazioni e fonti della pervasività dell’AI sono invisibili, intrecciate in sistemi globali così complessi che sono impossibili da comprendere appieno. “Data Worlds” porta in superficie la realtà dell’AI, indagando i suoi meccanismi nascosti e aprendo un futuro che è spesso eccitante e talvolta inquietante. È indicativo di questa dimensione doppia e ambigua il progetto della fondatrice della Algorithmic Justice League, Joy Buolamwini che esamina il pregiudizio razziale e di genere nei software di analisi facciale. La designer ha scoperto che un sistema di intelligenza artificiale la rilevava meglio quando indossava una maschera bianca. Nasce così Gender Shades.

Circuit Training © Mario Klingemann. Foto Tristan Fewings/Getty Images
Circuit Training © Mario Klingemann. Foto Tristan Fewings/Getty Images

La quarta e ultima sezione “Endless Evolution” ci mette di fronte a un bellissimo lavoro dei Massive Attack, gruppo storico del triphop degli anni Novanta, che celebra il ventesimo anniversario del suo album di riferimento Mezzanine. Il progetto punta a creare un lavoro artistico che mette in evidenza le straordinarie possibilità del conflitto che musica e tecnologia generano quando si scontrano. Mezzanine rivive in una rete neurale e noi visitatori possiamo influenzare il suono con i nostri movimenti. Un’opera aperta che guarda al futuro e che ci invita a riflettere sulle leggi della “natura” e su come s’inseriscono le forme artificiali di vita nel nostro quotidiano. Quali saranno le prospettive di coesistenza?

Titolo:
AI: More than Human
Galleria:
Barbican Centre
Date di apertura:
fino al 26 agosto 2019
Indirizzo:
Silk St, Barbican, Londra

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