Regressive design. La dolce utopia di un abbraccio peloso

Oggetti “tranquillanti” e carini come i peluche dell’infanzia, riparo futile contro la complessità di un presente che induce al distacco dall’attualità. Anche se le iniziative virtuose non mancano.

Fig.1 Dettaglio poltroncina con seduta rivestita in pupazzetti di peluche, APcollection, 2015-2016

Maneggiare giocattoli a un’età da contribuente non è mai stato un sintomo molto salutare. Neverland di Michael Jackson – ancora in cerca di un compratore – è lì a ricordarcelo. Mentre da queste parti, un’ex parlamentare di nome Cicciolina ha per molto tempo reso l’orsacchiotto di peluche un oggetto intriso di significati perversi. Nel loro settore specifico erano però delle star, una categoria che ha sempre beneficiato di molte concessioni. Nella sfera privata, altro regime: non appena il sacco a pelo Pisolone diventava troppo stretto i peluche venivano portati in cantina. Dopodiché, quando si trattava di avere a che fare con dei pupazzi, c’era da augurarsi solo un incontro ravvicinato con le poltrone limited edition dei fratelli Campana: in cui critica del consumismo e filosofia del recupero ne rendevano tollerabile l’utilizzo come superficie su cui sedersi. Con il divano Pack di Francesco Binfaré per Edra, una banchisa su cui un orso dormiente funge da schienale, il design è invece tutto a favore della favolistica infantile. Vincitore di un Salone del Mobile Milano Award come miglior prodotto del 2017, poiché evidentemente l’innovazione tecnologica conta meno di una simpatica trovata, Pack è un gigantesco “tranquillante” in ecopelliccia per adulti molto confusi dai tempi che corrono. E che in una società sempre più polarizzata tra distruzione del sistema, populismo e correttezza politica retroattiva – come il sentimento d’indignazione che lo scrittore Jonathan Franzen ha detto di provare davanti ai quadri di un omicida come Caravaggio – si difende con la sicurezza degli eroi dei primi passi, assecondata prontamente dal design.

In circolazione del resto ci sono gli uomini Stupidus Stupidus del nuovo libro di Vittorino Andreoli, una definizione con la quale però non si fanno sconti di regressione a nessuno: né a chi si consola con un po’ di stoffa pelosa né a chi s’incattivisce – e instupidisce – attraverso le appendici digitali. Per entrambi è costante la perdita di “razionalità e affettività” a favore del narcisismo. Evoluzione diretta dell’Homo festivus di Philippe Muray, il teorico francese dell’Impero del bene, Stupidus è il tipo che pur non indifferente di fronte a Villa Savoye che affonda lentamente per lo scandalo di Cambridge Analytica, giunto a casa dimentica presto tutto. Perché trova le poltrone affastellate di pinguini di AP collection dimentica presto tutto, i pisoloni montati su gambe di acciaio di Ania Kanicka, le lampade Pet Lights di Moooi, quelle a forma di orsetto di Kartell con Moschino, i piatti e le sedie con le orecchie di coniglio di Petite Friture e di Merve Kahraman. Su su fino alla famiglia di poltroncine omaggio a Riccioli d’oro e i tre orsi di Pierre Yovanovitch, una favola tra le più famose al mondo, e all’orsetto e unicorno Fuby e Buky di Matto Cibic. È chiaro dunque come il regressive design non è altro che il rovescio del vintage, una chimera altrettanto dolce e inane. Ma più che stupido alla Andreoli, è sciocco come un’emoticon, che in una conversazione elimina i rischi di una spiegazione articolata usando la scorciatoia di un disegno. Chi lo ha capito molto bene è il cinema, l’ultimo film in cui un adulto ha a che fare con un peluche si chiama Ritorno al bosco dei 100 acri, e vede protagonisti Ewan McGregor e Winnie the Pooh.

Da notare che finora, tra tutti gli animali citati, nemmeno l’ombra di un gatto. Quello più indipendente è, appunto, troppo indipendente per offrire una valida rassicurazione, anche quando riempito di ovatta. Jaron Lanier, autore di Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore), non a caso lo indica come modello comportamentale su cui modellare una rinascita, libera da regole e controlli da grande fratello. Di contro a una certa remissività associabile al cane. La strada della disintossicazione è lunga e dura però. Specie quando la prova che tutto sommato i propri vizi non sono da condannare vengono confermati anche in sede pubblica: l’orso gigante Roi di Marc Ange al Fuorisalone di Zona Brera, per esempio. Ennesima scusa per scatti social Tuttavia, esiste anche un lato altruista della regressione. Accade quando denuncia e attivismo usano la stessa arma difensiva dei peluche, un gradino sopra, s’intende, al solito pupazzetto per la lotta al cancro. La sensibilizzazione allo scioglimento dei ghiacci dovuta al global warming della banchisa di Edra è uno di questi? Sì, anche se si tratta più di un effetto collaterale rispetto al bollino di qualità della Leonardo DiCaprio Foundation sull’orso – sempre polare e sempre in pericolo di estinzione – di Porky Hefer alla scorsa edizione di Design Miami/Basel.

Realizzato in materiali sostenibili, adotta la logica della tenerezza infantile per attivare una coscienza critica. Allo stesso modo degli animali ripresi in posa plastica del libro per bambini “Click”, said the camera del fotografo svizzero Balthasar Burkhard (con Markus Jakob), che Lars Müller Publishers ha appena rieditato dopo una pausa di 20 anni. In copertina un asinello in bianco e nero, come il resto dei ritratti. Una lezione stilistica di riprese dal vero desunta da Au hasard Balthazar di Robert Bresson (1966), il film strappalacrime sul destino infame di un asino da fattoria. A sua volta riferimento per il recente, e pluripremiato, Petit Paysan – Un eroe singolare (2017), in cui un allevatore francese tenta di salvare una vacca da latte che sospetta essere infetta da un’epidemia vaccina. Sponsorizzato da Slow Food, Petit è tutt’altro che uno sciocco manifesto buonista. Non fosse altro che tra bestie e peluche la gara all’empatia la vincono i primi, con buona pace di DiCaprio. Inoltre, la regressione alla campagna, agli allevamenti, alla terra, anche se non alla portata di tutti, rappresenta una soluzione senza dubbio più matura rispetto a un tuffo compiaciuto nei peluche. Ben consapevoli che i primi giocattoli possono diventare ossessioni che durano una vita: su uno slittino abbandonato in tenera età di nome Rosabella, Orson Welles ci ha infatti costruito la parabola di una grande magnate dell’editoria. Si chiamava Quarto Potere.

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