Dubai tra arte e design

Sotto la bianca tenda di Design Days, tra ori e cristalli di oggetti che sembrano gareggiare nella  ostentazione di ricchezza, alcuni episodi parlano un linguaggio molto diverso e hanno per protagoniste le donne.

Marzo è sicuramente un buon momento per visitare Dubai.

Non solo perché il clima è abbastanza clemente da permette di girovagare a piedi per la città, ma perché a marzo si tiene da qualche anno l’Art Week della città: un ombrello di iniziative culturali che porta le più fiorenti industrie creative della regione a incontrarsi in un susseguirsi di inaugurazioni, conferenze e concerti sotto le stelle, tra la scintillante downtown e il vecchio suq trasformato in una rete di preziosi ristoranti e gallerie d’arte.

Malaz Elgemiabby, Soul Maker. Il progetto è stato realizzato nell'ambito di Souvenirs, prodotto in collaborazione tra i corsi di progettazione e comunicazione visiva del corso di laurea in Design di VCU-Qatar, professori Paolo Cardini e Simone Muscolino

Design Days Dubai, una fiera dedicata al design internazionale con un taglio focalizzato sui designer di origine medio orientale; Sikka, una fiera organizzata dall’Autorità di Dubai per le Arti e la Cultura con l’obiettivo di scoprire nuovi artisti di base negli Emirati; la Galleries Night, con oltre 40 mostre distribuite tra Al Quoz e il Dubai International Financial Centre; questi e altri eventi fanno dell’Art Week di Dubai il cuore della scena artistica dell’area medio orientale. La posta in gioco è alta e mira a fare di questa città la nuova capitale mondiale della cultura e della creatività. L’obiettivo certo è ancora distante, e non basteranno i soldi per raggiungerlo, ma quello che qui è davvero stupefacente è proprio la capacità di visione oltre che di realizzazione.

Alla fine degli anni Sessanta, da villaggio di pescatori e mercanti di perle, Dubai diventa uno degli Emirati del petrolio. Poiché di petrolio ne ha poco però, negli anni Novanta decide di attrarre in città capitali legati agli altri due astri di fine secolo, la tecnologia e la finanza, e offre a colossi come Microsoft e IBM una serie di zone franche fiscali come basi strategiche per le aziende. L’offerta funziona e la città decide di rilanciare puntando sull’immobiliare. Sulla soglia del millennio, Dubai diventa la capitale della sperimentazione immobiliare, giocando a forzare i limiti dimensionali ma soprattutto esperienziali: abitare sull’acqua su un arcipelago a forma di palma, sciare sulla neve nel deserto, fare immersioni in un acquario tropicale nel cuore di un centro commerciale. La capitale economica, riconfigurata in capitale immobiliare, diventa capitale dello shopping e del turismo. Ma la città non si ferma e oggi vuole diventare la culla del futuro.

Carpenters Workshop Gallery, Design Days Dubai, 2015

Connecting Minds. Creating the Future, è questa la chiave che la città ha scelto per l’Expo 2020 e per la quale si prepara a ospitare 25 milioni di visitatori. È così che se l’attuale aeroporto della città ha già superato Heathrow come hub internazionale, un secondo mega aeroporto è in costruzione. Nel frattempo la città ha già inaugurato una avveniristica metropolitana, la prima del Golfo, capace di offrire un collegamento economico, rapido e panoramico tra l’aeroporto e i vari quartieri della città. Mentre sotto la sopraelevata, autostrade urbane a sette corsie faticano a smaltire il traffico di mega SUV che caratterizza il Golfo.

Ma il futuro sta oltre il petrolio, in una economia della conoscenza in cui la cultura, la creatività e l’innovazione saranno il nuovo capitale. E se parte di questo capitale riguarda il mercato dell’alta formazione, cui si legano la ricerca e l’innovazione, la sfida del Golfo è già cominciata. In uno scenario globale in cui il numero di studenti che studiano fuori dal proprio paese si è duplicato tra la fine degli anni ‘90 e il primo decennio del 2000 (da circa 1,5 milioni a 3 milioni), la percentuale che ha scelto il Nord America e l’Europa ha subito una flessione, cui ha corrisposto un’ascesa del Medio Oriente.

Anna Szonyi, Boomerang Bench, Design Days Dubai, 2015

Difficile dire se in questa situazione politica, così lontana dalle libertà democratiche e dalla parità di genere, possa davvero svilupparsi una nuova culla del pensiero e della sperimentazione. Certo è che sotto la bianca tenda di Design Days, tra gli stand brillanti di ori e cristalli di oggetti che sembrano gareggiare nell’ostentazione di ricchezza, alcuni episodi parlano un linguaggio molto diverso e hanno per protagoniste proprio le donne.

Al prezioso ma collettivo divano dell’affermata designer libanese Nada Debs, fa eco la seduta multipla di Anna Szonyi, designer di origini ungheresi da anni di base negli Emirati e vincitrice del premio annuale dell'Urban Commission, una piattaforma creativa mirata ad attrarre talenti nella regione e a promuove la sua scena pubblica. Boomerang Bench, una panchina dalla configurazione flessibile, lunga più di 3,5 metri e composta da 73 pezzi di legno rotanti, verrà prodotta qui e andrà ad arricchire il paesaggio urbano del D3, il Dubai Design District, oltre 6 mila chilometri quadrati di uffici, negozi, hotel, spazi residenziali e accademici, gallerie, atelier e terrazze e promenade affacciate sull’acqua.

Nada Debs, Distorted Arabesque Chair, Design Days Dubai, 2015

Molto diverso, ma ancora sul tema della condivisione dello spazio, il progetto della ventiseienne sudanese Malaz Elgemiabby, studentessa dei corsi di progettazione e comunicazione visiva della Virginia Commonwealth University in Qatar. La sua Soul Maker, in mostra in uno dei due spazi di VCU Qatar, è una macchina per catturare il respiro, imprigionandolo in una sfera solida di sabbia e gesso. Qui siamo nello stand di una delle università (anche questa una zona franca fiscale) che mirano ad attrarre intelligenze dal mondo e che, nel campo del design, propone un approccio critico che va oltre l’oggetto, alla ricerca delle emozioni, delle azioni e della “macchina” che, in un'epoca di fabbricazione personale, produce l’oggetto. Ciò che resta è la poesia del canto e la metafora del respiro in cui continuamente la nostra esistenza si con-fonde con l’ambiente.

Southern Guild, Design Days Dubai, 2015

L’altro stand di VCU-Q presenta i lavori di 25 workshop condotti da designer di ogni parte del mondo e realizzati nei dieci giorni precedenti l’apertura di Design Days all’interno della manifestazione Tasmeem Doha, evento biennale dedicato quest’anno alla playfulness (giocosità). Proiezioni animate ricavate da dischi di cartone disegnati, robot dotati di un’anima o carattere personale, dispositivi sonori, architetture gonfiabili, bici di bambù, nuove forme di monete e molti altri oggetti improbabili testimoniano gli echi di un lavoro andato certamente nella direzione di un pensiero critico, laterale, divergente, capace di spostare l’orizzonte e costruire nuovi punti di vista. Anche da sotto un velo nero.

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