Vienna Design Week 2013

A due giorni dalla chiusura, Domus “pesca” il meglio della settimana del design viennese curata da Tulga Beyerle e Lilli Hollein: dalla “Passionswege”, che abbina aziende storiche locali e designer internazionali, a una stravagante macchina per trasformare i souvenir.

Il bello della Design Week viennese – specialmente per i detrattori che accusano quella milanese di essere organizzata in modo inconciliabile e corpuscolare – è che in sole 48 ore puoi farti un’idea abbastanza appagante sui contenuti più meritori, senza dover macinare chilometri e comunicati stampa.

In apertura e qui sopra: Passionswege 2013: Bertille & Mathieu presso J.&L.Lobmeyr. Photo © Kramar / Fischka.com

Questo è il vantaggio di un programma essenziale, ordinato e, per dirla tutta, non specialmente detonante: si può stilare facilmente una top five, senza paura di essere stati troppo frettolosi e senza particolari grattacapi per scegliere chi sta dentro e chi sta fuori (S.E.e.E. – Salvo Errori e Omissioni).

Souvenir Transformation Center / Kunstuniversität Linz @ VIENNA DESIGN WEEK quartier generale. Photo © Florian Rainer / Fischka.com

È difficile e delicato, invece, dare un posizionamento ai candidati, che portano ricerche per consistenza e risultati molto diversi (prodotto, mostre e installazioni), perciò proporrò un ex-aequo: il “best of” dei due giorni viennesi. Si tratta in tutti i casi di progetti “riassuntivi” e “sintetici”, in cui l’autore o il gruppo hanno scelto e sviluppato un tema specifico – nella maggior parte dei casi in rapporto al luogo ospitante o al passato – e ne hanno esclusi tutti gli altri. Il design e il suo valore si posizionano sulla bontà di questa scelta. Rimangono fuori le lecture e i workshop che, per ovvie ragioni, richiedevano una partecipazione più attiva e una presenza più prolungata.

Souvenir Transformation Center / Kunstuniversität Linz al quartier generale del Festival. Photo © Kramar / Fischka.com

Cominciando dall’inizio, la riflessione più articolata se la meriterebbe la mostra al MAK “Nomadic Furniture 3.0”, in cui i curatori hanno astutamente trovato un titolo depistante sotto il quale si risolve la loro chiave di lettura nei confronti del fenomeno contemporaneo del DIY (fai-da-te). Anziché scegliere, cioè, di fare una mostra deliberatamente dedicata all’argomento e alle sue reali implicazioni a vasto raggio, Sebastian Hackenschmidt, Thomas Geisler e Martina Fineder conducono il visitatore in questo inventario straordinario di possibilità alternative in risposta al motto “have more, own less” che, a loro avviso – attraverso una catena spirituale che parte da Victor Papanek e James Hennessey – caratterizza l’atteggiamento del nuovo nomade contemporaneo: impermanenza come nuova libertà abitativa? Al tempo stesso, questa mostra – a cui sottendono domande intimamente critiche, come per esempio l’insolubile nesso tra esperienze mainstream e le sottoculture alternative, tra critica sociale e affermazione individuale – offre una possibilità abbastanza inedita per fare una ripassata degli strumenti e dei risultati più interessanti nel DIY, circoscritti all’ambito furniture e casa dell’ultimo cinquantennio, giustificando così alcuni problematici assenti.

MAK Nite: chmara.rosinke. Photo © Florian Rainer / Fischka.com

Tutt’altro genere di estetica è quella che emerge nell’esposizione forse più silenziosa e controcorrente, cioè quella ospitata nella sede viennese della galleria Křehký, dove cinque designer cechi si confrontano con lo stile Biedermeier. In epoca di forme scheletriche, meccaniche, maschili, il trionfo di un decorativismo romantico, anche festoso, spensierato, naturalista, che – come secondo l’auspicio dei curatori della galleria – sia in grado di emozionare. Aggiungiamo: il facoltoso collezionista borghese, come il pubblico colto in cerca di diversivi.

Galerie Krehký: The New Biedermeier Collection. Photo © Christine Wurnig / Fischka.com

Mentre mancano all’appello significative prove da parte della Scuola di design di Vienna, l’Accademia d’arte di Linz mette in mostra una stravagante macchina per trasformare i souvenir. Si tratta in pratica di un rullo trasportatore, come quello dei controlli aeroportuali, dove è nascosto un operoso studente che manipola, tagliuzza e riconverte gli oggetti del cuore che i visitatori regalano all’esperimento e che un suo stralunato collega cataloga ed etichetta con precisione botanica. Un happening divertente che – volontariamente o meno – sposta la riflessione su alcuni temi di grande contemporaneità, come il consumo, la conservazione e, non ultimo, la parodia di una certa cerimonia del processo tanto in voga nelle scuole di questi tempi.

Passionswege 2013: Zur Schwäbischen Jungfrau. Photo © Kramar / Fischka.com

A questo proposito, merita una visita nella stanza adiacente, l’esposizione di alcuni degli ultimi lavori della svizzera ECAL scelti dal loro direttore, Alexis Georgacopoulos, felicemente notevoli sia per l’attenzione rivolta alla fase di ricerca, dal punto di vista tecnico ma anche antropologico, sia per la presentazione sempre ineccepibile che ne viene data. Tra tutti, spicca per bellezza la collezione di accessori da bicicletta “Bike tie”, già presentata lo scorso Salone del Mobile a Milano da Renaud Defrancesco.

MAK Design Salon #02: Studio Formafantasma. "The Stranger Within". Photo © Florian Rainer / Fischka.com

Per chiudere il cerchio delle “tracce” da cui siamo partiti, un’iniziativa che andrebbe replicata da noi, mantenendo possibilmente la stessa libertà, fantasia e freschezza che mostrano alcune delle prove apprezzate qui a Vienna. Si chiama “Passionswege” ed è un progetto della Design Week per cui gli organizzatori del Festival (quattro mesi prima) propongono abbinamenti tra le aziende storiche locali (tra cui la gloriosa Lobmeyer che quest’anno fa il bis con la performance di Bertille + Mathieu e con la nuova geniale collezione studiata dai Formafantasma) e designer internazionali.

Passionswege 2013: Sebastian Herkner bei "Zur schwäbischen Jungfrau". Photo © Kramar / Fischka.com

Anche se non si tratta proprio di un designer alle prime armi – e si vede! – il primo posto tra le varie proposte sparse nei negozi della città, se la aggiudica Sebastian Herkner, alle prese con il non facile tema della personalizzazione dei costosissimi tessili di Zur Schwabischen Jungfrau, che tradizionalmente portano impresse le iniziali del possessori, marchio indelebile del loro alto rango. Come adattare questa vecchia usanza alle nuove abitudini e ai portafogli contemporanei – l’Austria è a sua volta nella top five dei Paesi più ricchi d’Europa… – lo dice il gesto semplice e radicale del designer, con dei monogrammi tridimensionali, imprimibili e cancellabili con un colpo di spugna (o passaggio in lavatrice).    

Passionswege 2013: Sebastian Herkner bei "Zur schwedischen Jungfrau". Photo © Kramar / Fischka.com