Resurrezione materica

Nella sua appassionata ricerca progettuale, Shigeru Ban sperimenta in un padiglione per il parco della Triennale un nuovo materiale nato da plastica e carta riciclate; a conferma che il disegno della contemporaneità può ancora rivivere nello scambio rituale con l'industria. Testo Francesca Picchi. Foto Sabine Schweigert, Eeva Musacchia, Aino Huovio.

Nel corso dei secoli gli architetti giapponesi hanno metabolizzato una tradizione di strutture leggere e prefabbricate che ancora oggi li induce a cimentarsi con un'idea di stabilità costruita sulla fragilità: la stessa che li spinge a mettere alla prova materiali apparentemente 'deboli' o vulnerabili o comunque non esattamente inclini all'eternità. Le opere più straordinarie e antiche che ci ha lasciato l'architettura giapponese sono eleganti costruzioni di legno: debitamente curate nel corso del tempo, attraverso un'attenta pratica di manutenzione scandita attraverso la paziente sostituzione delle parti ammalorate o la totale ricostruzione a cadenze regolari (ogni 20 anni per il celebre tempio di Ise), sono giunte fino ai giorni nostri tramandandoci un'idea di forma del tutto scissa da quella della materia.
La forma è antica anche quando non lo è il materiale. La durata di un edificio non ha infatti nulla a che vedere con la resistenza nel tempo di un materiale. Un'opposizione, quella tra forma e materia, che ha saputo mettere a dura prova le nostre certezze e che richiama alla mente l'annotazione di Gropius di fronte alla stupefacente 'modernità' della architettura giapponese: "Con i nostri modi disinvolti e informali noi occidentali spesso dobbiamo apparire ai giapponesi come bambini poco educati che si lasciano andare a incredibili sprechi: non abbiamo mai appreso l'importanza dell'economia nelle cose materiali e spirituali poiché apparteniamo a una civiltà che produce una disordinata abbondanza di forme e strutture".

Prefabbricazione, modularità, ricerca sui materiali, sostenibilità ambientale, importanza dell'economia, tutti temi che preludono ai fondamentali della ricerca di forme necessarie suonano come temi caduti in disuso, in un'epoca in cui anche in architettura prevale un'estetica del pezzo unico. Ora queste parole ritornano nella ricerca di un architetto giapponese cresciuto però alle sofisticazioni teoriche della scuola dei New York Five come Shigeru Ban. Shigeru Ban ha studiato negli Stati Uniti, ha subito il fascino di Mies, e possiamo immaginare che proprio da quest'incontro con il maestro moderno abbia maturato la sua ricerca sul linguaggio delle strutture, e che poi, sospinto dalla naturale predisposizione giapponese per la fragilità, abbia rivolto la sua attenzione a materiali meno perentori e definitivi dell'acciaio. "Quando inventi nuovi materiali e strutture, riesci a ottenere tipi nuovi di spazio. Invece di usare semplicemente il disegno o lo stile per disegnare un tipo diverso di spazio, voglio sviluppare il materiale – e la struttura – utilizzando il carattere che gli è proprio".

La storia racconta che Shigeru Ban abbia cominciato a sperimentare con materiali inusuali per la pratica architettonica nel 1986, in occasione di una mostra dedicata al lavoro di Alvar Aalto che il MoMA di New York aveva deciso di dedicare all'architetto scandinavo proprio in quell'anno; e che un po' per caso, un po' sospinto dalla naturale attrazione dei giapponesi per la sensuale bellezza della carta, Shigeru Ban sia approdato alla decisione di trasferire nel territorio dell'edilizia un semilavorato industriale fino ad allora impiegato nell'industria tessile come anima per arrotolare i tessuti – e quindi celato alla vista, senza alcun rispetto per la sua intima bellezza di materia – adottandolo come materiale da costruzione. Poiché la tecnica implica un carattere di necessità, Ban si è spinto a cercare la collaborazione con il grande strutturista giapponese Gengo Matsui (il quale ha dedicato molti anni a indagare le qualità statiche dei materiali della tradizione giapponesi come il bamboo o il legno), finché tale sperimentazione sui tubi di carta prodotti industrialmente con sezioni, spessori e dimensioni diverse non gli ha permesso di articolare un ricco e complesso linguaggio di forme architettoniche con un materiale inusuale che egli invece ha fatto entrare di diritto in una tradizione che fino ad allora gli era estranea, costruendo intorno a esso un bagaglio di esperienze e soluzioni abitative diverse in funzione del contesto e della disponibilità delle risorse industriali e materiali locali. Fino al punto che nel 1993 i tubi di carta hanno ricevuto l'autorizzazione da parte del Ministero della Costruzione Giapponese a essere annoverati tra i materiali strutturali per la costruzione di edifici permanenti in conformità dell'articolo 38 del Building Standard Act. Oltre all'esperienza più nota delle strutture in tubi in carta (PTS Paper Tube Structure), le tappe della ricerca sui materiali industriali condotta nel corso degli anni da Shigeru Ban possono essere scandite attraverso altre 'invenzioni': come, per esempio, l'utilizzo dei pali di cemento armato precompresso, in genere nati per le fondazioni, quali i pilastri a vista nella PC Pile House; oppure i mobili prodotti industrialmente usati come robuste pareti nella Furniture House, o anche la tenda corrente lungo il perimetro che funziona da facciata mobile nella Curtain Wall House, o ancora i container della Container Structure del Nova Oshima Showroom. Questo bagaglio di esperienze deve aver pesato nella decisione di Artek e UPM, quando i due marchi scandinavi si sono rivolti a Shigeru Ban per mettere a frutto le qualità di un materiale insolito, ricavato dagli scarti di lavorazione di un prodotto nato dalla combinazione di plastica e carta usato nell'industria dell'imballaggio: con esso hanno chiesto a Ban di disegnare un padiglione da ospitare nel parco della Triennale in occasione dello scorso Salone del Mobile.
 
Le caratteristiche di questo materiale, disponibile in grandissime quantità in quanto prodotto dagli scarti di uno dei più diffusi sistemi di etichettatura esistente al mondo (quelli, per intendersi, usati nei grandi sistemi di distribuzione per identificare le merci) lo rendono particolarmente adatto a essere utilizzato nell'edilizia: combina le qualità della carta con quella della plastica dando vita a una materia calda, ovattata, cerosa, tattile... Nel caso dello spazio fluido del padiglione per Artek, Ban ha esplorato le potenzialità del materiale impiegando profili a L prodotti in serie dall'azienda finlandese per costruire uno scheletro di travi reticolari che scandiscono lo spazio regolare della costruzione dichiarando la sua logica di costruzione. Dopotutto non era Mies a sostenere: "Chiarezza costruttiva portata fino alla sua espressione esatta. Questo è ciò che io chiamo architettura"?

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