Mischiare Identità

Domus offre ai suoi lettori la riproduzione delle carte da gioco sull'abitare disegnate negli anni Settanta da Enzo Mari e Paolo Gallerani per Danese. Le carte possono essere ritagliate e usate. Il gioco riguarda le molteplici e imprevedibili identità di chi abita, stimola e rende più ricco l'approccio dei progettisti al tema dell'abitare. Testo di Francesco Librizzi. Fotografia di Cecilia Pirovano. A cura di Francesca Picchi, Salvatore Porcaro

Carte da gioco per afferrare l'imprevedibilità della vita quotidiana
Dove può abitare un pugile sposato con una terrorista? Cosa desidera una cuoca che – sulle Montagne Rocciose – convive con un generale in pensione? A cosa aspira un parrucchiere celibe, che ama spostarsi su un caravan? Le combinazioni bizzarre, lo sappiamo, fanno parte della vita. Eppure la nostra, in genere, la passiamo cercando di controllarle e di limitarle. Nel nostro lavoro costruiamo di continuo classi e relazioni ordinate, congrue, dove tutto ha una logica immediata: un ricco chirurgo (con amante) vive con la moglie in una villa piena di bei quadri, mentre un giovane immigrato nullatenente abita nelle baracche di una brutta periferia… Ciò nonostante, la vita che studiamo, la vita di cui noi architetti e designer disegniamo gli spazi, resta tremendamente lontana dalle nostre tipologie; se ne infischia delle nostre pretese di standardizzarla. Il gioco di carte di Enzo Mari sembra dirci che le nostre città non ospitano 'tipi' di abitare, ma infinite combinazioni di pratiche e sentimenti, una diversa dall'altra, tutte assolutamente logiche se si ha voglia di capirle. E che le nostre classificazioni funzionano solo se le sappiamo continuamente smontare, e poi rimontare, senza mai considerarle davvero sostitutive alla vita stessa. Enzo Mari sembra dirci che, per scoprire le imprevedibili combinazioni della vita quotidiana e dei suoi spazi, abbiamo bisogno del rigore sistematico di uno sguardo che accettando il caso sappia scovare l'imprevedibile. Ma appunto, per avvicinarci all'infinita varietà del mondo che sta là fuori, abbiamo bisogno di rigore, di un metodo, di regole precise. Come quelle di un gioco di carte. S.B.

Lettera a Pier Carlo Palermo, Preside della Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano
Riferimento è il gioco per bambini 'Living' che, in forma totalmente aleatoria, determina le premesse ambientali, umane, psicologiche e non istituzionali, che ogni studente deve affrontare per ampliare e qualificare il proprio orizzonte progettuale. Il fine è riportare i giovani a sentire l'Architettura come ARTE (come, in sostanza, è). Dove le tecniche rimangono strumenti necessari e dove gli aspetti economici e socio-culturali non sono valori, ma condizionamenti inquinanti da risolvere diminuendone i gradienti negativi. Propedeutiche all'Arte dell'Architettura sono, da un lato, il rilievo dei grandi Archetipi della sua storia; dall'altra (l'esercitazione proposta), l'acquisizione dei principi della prassi/teoria. Il dominio della pratica è tale solo se ogni sua manifestazione viene messa in dubbio dalla modellizzazione di molteplici ipotesi alternative. Il costo della miriade di modellizzazioni può essere reso sopportabile riacquistando la capacità manuale di rappresentazione: corrisponde al fluire del pensiero (come è evidente dalla nostra evoluzione filogenetica), ben più potente dei trabiccoli elettronici, oggi così invasivi e inadatti al processo di progetto.
Enzo Mari, Milano, giugno 2006

Il banditore, il mago e una stringa del caso
Francesco Librizzi

Un venerdì mattina Enzo Mari entra in un'aula al quarto anno del Politecnico di Milano. È venuto a iniziare un esperimento con gli studenti. La piattaforma comune sarà "Living – carte da gioco per immaginare la propria vita". È un gioco per bambini progettato esattamente trent'anni prima. Mari, in realtà, non è venuto per giocare. È venuto a portare, nel formato di ottanta carte, una comunicazione chiara e definitiva che riguarda tutti quelli che faranno parte del gioco: il nostro destino è di essere progettisti, non avremo altra possibilità che esporci, con un progetto, alla molteplicità delle occasioni. Si inizia. Prima un paio di battute del Mari-sornione. Un paio di aforismi del Mari-saggio. Quindi, piena carica espressiva al gruppo scultoreo di ciglia-barba-capelli e comincia il rito. Merlino, o Darwin, estrae i mazzi di carte da una scatola. Li dispone ordinatamente in sequenza di fronte a sé. Li libera dagli elastici. Prende in mano le carte, alza lo sguardo sul primo studente e, da lì in poi, chiama uno a uno, quasi a dare la comunione, ed estrae la sequenza: "Antonio, sei un meccanico, tua moglie è…". In un'atmosfera sacrale non senza ironia, assistiamo alla messa in scena dell'evocazione della nuova identità di ciascun partecipante. Il gioco che abbiamo intrapreso ci costringerà a selezionare, a ricordare, trarre conclusioni, ad allenarci. Così ci troviamo di fronte a queste carte senza alcuna illustrazione che hanno soltanto un colore sul dorso di ogni mazzo e un nome scritto in corsivo su ognuna. Scarne perché il disegno è già, sempre, progetto. Il gioco ci costringerà a raccontare la nostra nuova storia, a innescare la relazione tra le cose che il fato di carte ci ha assegnato, e, su questa trama, a elaborare soluzioni alternative. Cercando per tentativi le possibili soluzioni in un puzzle a incastri molteplici. Prassi teoria. 'IO', di fronte a tutto il resto. "Vuole sapere cosa farei IO se fossi al suo posto?". È l'unica grande interfaccia che questo anziano studente, come lui stesso ama definirsi, crea tra sé e gli studenti più giovani che si trova di fronte.

Disegnare in corsivo
Il computer è bandito. Chi è ormai dentro al gioco accetta le regole del Magister Ludi. Disegnare a mano è in realtà il metodo di maggiore immediatezza e sintesi che un progettista ha a sua disposizione. La capacità di disegnare rapidamente dà la possibilità di guadagnare tempo a favore dell'elaborazione del maggior numero possibile di combinazioni e modelli alternativi. I primi disegni degli studenti sono schizzi piuttosto infantili. Molti disegnano un ritrattino dei protagonisti della loro storia. Il pugile con l'occhio pesto. Il contrabbandiere con la mascherina. Segni di un'iconicità quasi superficiale. Servono, forse, ad affezionarsi al personaggio-alter ego-committente. Man mano, però, e con una certa rapidità, gli architetti sommersi cominciano a venire in superficie: pugile vuol dire ring e contrabbandiere mercato clandestino, merci specifiche, un territorio su cui muoversi furtivamente e un rifugio con determinate caratteristiche. Disegnare in corsivo, quindi, e se necessario addirittura stenografando. Occorre molto allenamento. Davvero spiazzati tutti all'inizio. Ma altrettanto motivati nel cercare di riguadagnare la capacità di rappresentare le proprie idee: "Io credo che gli stessi studenti si siano stupiti delle loro capacità. Dopo un momento di impasse, disperato, quando hanno capito che non avrebbero potuto usare il computer, timidamente si sono messi in gioco e l'identità dei personaggi, che avevano da far rivivere nel loro progetto, è per tutti diventata una questione molto personale, anzi, intima. E credo che in questo Mari abbia veramente fatto centro!" (F.V.).

"Siete tutti castrati"
Nessun regolamento. Alcun vincolo reale. Solo il codice delle carte. Il gioco ha soltanto dei vincoli prossimi tra loro. Chi sei, cosa fai, con chi e in che situazione ti sei cacciato. Bisogna solo tener conto, senza esclusione, di tutte le variabili. Per una volta prova a pensare che il tuo ambiente è il tuo vicino di casa, mago, piuttosto che Milano e il suo regolamento edilizio. Per una volta luoghi, storia e piani elaborati su di essi non rientreranno tra le condizionanti del progetto. Sembrerebbe una facilitazione immensa. Invece, il punto di dispersione più grande è il non saper progettare senza sapere precisamente DOVE. Studenti troppo strutturati forse. Sintomo di quella scuola che si fonda su regole e che delle scienze si fa scudo. Quella scuola che ti dà norme 'prèt-â-porter', piuttosto che strumenti flessibili. Proprio qui si innestano le invettive di Mari contro un certo mondo accademico, colpevole di non produrre veri strumenti di conoscenza, ma di arrancare attraverso il sapere, creando generazioni di pensatori non liberi, 'castrati' dal loro stesso sapere. Ma come pensa che i giovani debbano formarsi? Davvero totalmente da soli di fronte all'universo, a scegliere e creare modelli logici, basandosi soltanto sul rigore del proprio ragionamento? La guida per tutti, risponde, non possono che essere i grandi capolavori dell'arte e dell'architettura. Non i grandi maestri, ma le loro opere migliori. Quei manufatti che hanno superato il confronto con la storia, che sono rimasti al di là delle contraddizioni del proprio tempo, oltre le miserie umane dei propri creatori e committenti. Mari parla in sostanza dell'inevitabilità per l'arte di creare monumenti, dove la pienezza del significato coincide totalmente con la sua rappresentazione. I grandi capolavori, sostiene, sono l'unica realizzazione possibile dei dettati etici. La forma dei valori di tutti gli uomini. "È il messaggio di Mari sul rapporto fra etica e forma: la forma come medium dell'etica; l'etica come fondamentale motivazione della forma; la forma come possibilità imprescindibile per il progettista di agire eticamente nel mondo. È il lato più politico e radicale del suo insegnamento, direi quasi rivoluzionario nel contesto contemporaneo" (C.P.).

L'arte, la scienza e i due scimpanzé
Mari imposta il suo ragionamento in un rapporto serratissimo tra alternative e soluzioni. Raccoglie i dati del suo progetto molto scrupolosamente. Comincia a creare relazioni tra le componenti in molte direzioni. Scarta le variabili che ritiene superflue e dà forma alle combinazioni più significative. Poi le dispone tutte davanti a sé. Non disegna mai su taccuini rilegati, ma soltanto su fogli liberi, che possano essere esposti simultaneamente a creare un macrodisegno dello stato di avanzamento del suo ragionamento. Qui entra in scena la parte più affascinante, ma sicuramente più ambigua, di tutto il Mari-pensiero: il rapporto tra arte e scienza. Come può un ragionamento basato sulla 'necessità' delle soluzioni scelte e scartate, basato sulla convergenza univoca dal molteplice verso il semplice, dalla 'ridondanza' verso il 'monumento', fondarsi sulle scelte, del tutto arbitrarie, dell'artista? Cosa garantisce che quelle scelte siano 'giuste'? Mari illustra il suo paradigma della scienza. Un sapere che si basa su una ricerca specifica, che si accumula linearmente e dove il metodo applicato è documentato, dimostrabile e, quindi, riconosciuto universalmente. Le scoperte scientifiche formano una base davvero oggettiva per la conoscenza. La scienza come unica forma di sapere veramente democratica. Mari non è indifferente al fascino di tale meravigliosa oggettività. Imposta sempre scientificamente i propri ragionamenti. Il più rigorosamente possibile, almeno. Perché la conoscenza con la quale l'artista è chiamato a confrontarsi non è specifica, ma totale: è impossibile da perseguire in termini oggettivi. Il percorso conoscitivo comincia a costellarsi di decisioni arbitrarie, di Sì e No assoluti che non possono essere accettati immediatamente da tutti. Soluzioni istantaneamente soggettive che proprio nei secoli dimostreranno il loro valore. La validità della propria FORMA. E per spiegare cosa è l'arte, o meglio, come la si riconosce, Mari racconta un aneddoto. La storia di una naturalista, che in Africa osserva da tempo una colonia di scimpanzé. Racconta le prime fatiche per farsi accettare dalla comunità tra gli alberi, le prime confidenze, il riconoscimento reciproco tra esseri di specie diverse, ma talmente simili da essere una metafora dell'altra. Così dopo un po' di tempo la ricercatrice si accorge che due giovani scimpanzé si allontanano sistematicamente dal rifugio tra gli alberi, al crepuscolo, per tornare solo qualche ora dopo. Incuriosita la scienziata decide furtivamente di seguire i due. Prova a non perderli nel folto della foresta e dopo un tragitto abbastanza lungo riesce a raggiungerli. I due scimpanzé sono sulla cima di una collinetta, seduti sul crinale a guardare la foresta che si perde sotto i loro piedi. Stanno guardando l'enorme palla di fuoco del sole che tramonta. Nel farlo si abbracciano. Questa, dice Mari, è l'arte. Francesco Librizzi
Living, il gioco per bambini progettato in occasione 
di un concorso – poi vinto – bandito da Architektur 
und Wohnen, editato da Danese nel 1976
Living, il gioco per bambini progettato in occasione di un concorso – poi vinto – bandito da Architektur und Wohnen, editato da Danese nel 1976
Il lavoro di Enrico Forestieri, uno dei molti elaborati degli studenti
Il lavoro di Enrico Forestieri, uno dei molti elaborati degli studenti
Schizzi di Enzo Mari 
per rappresentare lo schema di flusso del pensiero 
e il processo prassi/teoria
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