Il design italiano ha bisogno di crescere. Ecco come

Quali sono le priorità strategiche per lo sviluppo di un’azienda di design? La domanda posta dal portale Design Italia ad alcuni dei protagonisti del settore e – non a caso – in una realtà come quella italiana fatta di società piccole o piccolissime (dove su 95mila aziende, il 90 per cento ha meno di 9 dipendenti e solo lo 0,5 per cento supera i 50) è stata protagonista di un acceso dibattito lo scorso 8 luglio, nel corso di un convegno alla Triennale di Milano.

Il risultato? I diversi punti di vista – quello di un investitore (Renato Preti di Opera), di un imprenditore (Ernesto Gismondi di Artemide), di un manager di un settore limitrofo come la moda (Paolo Trento di Mandarina Duck) e di due designer (Piero Lissoni e Enzo Mari) – finiscono col rappresentare le facce, diverse ma complementari, della stessa medaglia. Vale a dire: sta emergendo una nuova visione di crescita che non deve però fare dimenticare l’importanza del dialogo tra la cultura di progetto, l’etica della lunga durata e la crescita della ricchezza imprenditoriale.

Fa ben sperare (per il settore), dunque, che società di investimento come Opera siano interessate al mondo del design e che spingano verso la crescita (“L’investimento in marketing è inefficace perché troppo ridotto”, sostiene Preti che introduce i fondi di “Private Equity” come acceleratore della crescita: il loro progetto è appunto quello di investire in aziende, farle crescere, dotarle di manager e, poi, una volta ottenuti buoni successi, cederle).

Più cauto e coi piedi per terra, invece, l’atteggiamento di un imprenditore di successo come Ernesto Gismondi che ha dato vita a uno dei principali gruppi di settore, Artemide. La ricetta del suo successo? Al primo posto, la stabilità (ovvero, continuare a fare quello che si sa fare) e poi, per fare fronte alla competizione, cercare di avere il controllo dell’intero processo: marchio, prodotti, distribuzione, e fino alle materie prime. Senza tralasciare, va da sé, l’innovazione: di prodotto, materiali e tecnologie.

E di tutto questo, cosa ne pensano i designer? “Non esiste un buon designer senza un buon imprenditore”, dichiara Piero Lissoni che sottolinea l’importanza di questo “matrimonio”. Senza mezzi termini, Enzo Mari denuncia la carenza di ricerca tecnologica e lamenta la totale mancanza di coerenza nel progetto da parte delle aziende (“Da 25 anni alle aziende manca l’idea di produzione e la si scarica sul designer”, sostiene). E il matrimonio di Lissoni, per lui, si è da tempo trasformato in un caotico harem.

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