Ripensamenti: Dieter Rams

di Deyan Sudjic

Quest’anno Dieter Rams compie settant’anni. I suoi folti capelli bianchi a spazzola lo fanno tuttavia sembrare uguale a trent’anni fa, quando, ai tempi d’oro della Braun, guardava il mondo attraverso le spesse lenti di occhialini che gli davano un’aria da eterno studente. Trent’anni nel corso dei quali quella di Rams è stata una presenza costante e rassicurante: anche se nel frattempo i lineamenti del mondo in cui opera, quello del design, sono cambiati più di quanto si potesse immaginare.

La stessa Braun, che nel frattempo Rams ha lasciato, è ben lontana dall’essere l’azienda di un tempo: anche la produzione di beni di consumo che in Europa possano aspirare a qualche riconoscimento sotto il profilo del design è praticamente cessata. E i prodotti con cui Rams ha contribuito a definire l’aspetto del mondo moderno (sistemi audio, calcolatrici, radio) sono oggi tecnologicamente superati almeno quanto il pallottoliere, il treno a vapore e la meridiana. Col suo lavoro, Rams ha contribuito a fondare delle precise categorie tipologiche: in cui rientra per esempio l’idea della cosiddetta “bara di Biancaneve”, ossia un coperchio di perspex trasparente usato per coprire il giradischi. Il long playing però è ormai estinto, e la stessa sorte è toccata alla calcolatrice: non è quindi il design di Rams ad apparire datato – sotto questi profili, i suoi prodotti non lo sono – è piuttosto l’intera categoria di oggetti ad essere stata destinata al pensionamento.

Secondo Rams, invece, il senso del design sta tutto nella durata. Il design deve saper oltrepassare le mode, non essere toccato da cambiamenti frivoli e arbitrari, ed è per questo che l’inevitabile scorrere del tempo conferisce agli oggetti da lui disegnati una qualità quasi tragica. Il suo lavoro, a dire il vero, ha sempre posseduto un elemento di pathos, dovuto probabilmente al fatto che per costituzione gli è impossibile digerire tutto ciò che accade nei territori che si stendono oltre i confini del design di qualità: al punto da rendergli difficile accettare tutto quello che va oltre al bianco e nero. Rams stesso, del resto, ha confessato di essere così disturbato dal disordine visuale da non poter fare una passeggiata in campagna senza raccogliere in una borsa tutti i rifiuti trovati per strada.

Viene in mente il suo ufficio al quartiere generale della Braun, in un sobborgo industriale di Francoforte, una specie di rifugio dal caos esterno, uno studio sulla neutralità, la Svizzera del design, il tipo di ambiente nel quale una sola ditata sul muro o una carta fuori posto avrebbe prodotto lo stesso effetto di un colpo di clacson nella sala lettura del British Museum. Rams aveva disegnato tutto quel che c’era al suo interno, dai mobili ai prodotti che comparivano sugli scaffali, l’orologio, la radio, lo stereo. Si era preoccupato persino di progettare l’edificio stesso.

E nell’intero spazio, l’unica vera spruzzata di colore veniva dall’arancio del pacchetto di sigarette che aveva perennemente in mano. Aiutato da un manipolo di assistenti con camici alla Boris Karloff e riga in mezzo, protetto da porte rigorosamente chiuse a chiave e servizio di sicurezza, Rams disegnava per la Braun prodotti dal design così misurato da riuscire invisibili, oggetti che, secondo una sua celebre affermazione, “devono essere presenti e pronti se necessario a svolgere senza sforzo la loro funzione, tenendosi a portata di mano senza essere invadenti quando non servono, proprio come un maggiordomo inglese”. Non sorprende quindi che gli alfieri del postmodernismo lo abbiano considerato la mente di una specie di complotto puritano-modernista inteso a imporre la sua visione calvinista a un mondo riluttante ad accettarla.

La Braun, tuttavia, non era solo Rams. Il tostapane HT 1 di Reinhold Weiss del 1961 (che spinse Richard Hamilton a realizzare un’intera serie di opere in tributo alla Braun) fu un passo fondamentale nella formazione del lessico visuale della casa tedesca; non va poi dimenticato il primo mentore di Rams, Hans Gugelot, a quei tempi docente alla Hochschule di Ulm insieme a Max Bill. Tuttavia, fu proprio Rams a impersonare quel particolare momento della storia della Braun. Si tratta del momento che coincide con l’elevazione del rasoio elettrico a opera d’arte: nasceva infatti il Micron Universal, un rasoio che sembrava essere stato scolpito nell’acciaio inox, un materiale che gli conferiva un aspetto vagamente chirurgico.

Per anni, intere squadre di ricercatori lavorarono a un sistema che permettesse di rivestire il suo agile corpo metallico di uno strato di puntini di gomma, un’impresa molto più complessa di quanto si possa immaginare. Tutto ciò solo per garantire una migliore impugnatura. In realtà, questa soluzione consentiva alla Braun di dispiegare simultaneamente due delle armi più efficaci del repertorio del design: il Micron vantava non solo l’ormai sperimentato fascino della cromatura, ma anche quello del nero opaco, che all’epoca esercitava una grande attrattiva. A un certo punto, la Braun cominciò a promuovere il Micron affidandosi a un riuscito spot televisivo, che alternava veloci primi piani del rasoio che seguiva il profilo montuoso del mento a immagini di una Porsche 911 nera che procedeva decisa su un terreno accidentato. Il messaggio ebbe l’effetto di stabilire un parallelo tra oggetti di culto molto diversi come il Micron e la Porsche.

Il caso vuole che in quegli anni lo stesso Rams guidasse solamente una 911 nera, un’abitudine che potrebbe sembrare estranea allo stile di un designer così risolutamente sobrio. Al pari di altri protagonisti del funzionalismo, come lo stesso Ferdinand Porsche, Rams ha affermato di non avere uno stile, ma solo un approccio razionale. Eppure, quando si esaminano le vere ragioni che spingono il pubblico all’acquisto dei prodotti di questi designer, si scopre che esse sono di rado così concettualmente fondate o razionali come essi amano credere. La famosa calcolatrice nera Braun ET 22 ha infatti sedotto un’intera generazione di vittime del design: era un giocattolo, ma un giocattolo abbastanza convincente da farsi prendere sul serio, e per quanto fosse ben lontana dall’essere il miglior prodotto in quella gamma di prezzo, la Braun riuscì a farne il paradigma di una certa attitudine verso il mondo.

Oggi, Rams lavora principalmente per la Vitsoe, l’azienda che per più di trent’anni ha prodotto i suoi sistemi di contenitori e i suoi mobili, ma anche la Vitsoe è ormai cambiata e, dopo essere passata in mano a una nuova proprietà, dalla sua originale sede tedesca si è trasferita in Gran Bretagna. Il design sembra immutato, ma Rams ha continuato a migliorare i prodotti usando nuovi materiali e rivedendo i dettagli, pur rimanendo fedele allo spirito originale. Ed è proprio questo a consentirgli di affermare di essere “continuamente moderno”.
Gli oggetti ispirati a “meno design possibile” di Rams si levano contro “un design che vuole essere a tutti i costi emotivo, originale, aggressivo, vistoso”, che, egli sostiene, “porta all’alienazione e allo stress”
Gli oggetti ispirati a “meno design possibile” di Rams si levano contro “un design che vuole essere a tutti i costi emotivo, originale, aggressivo, vistoso”, che, egli sostiene, “porta all’alienazione e allo stress”

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