A metà degli anni ’50, Oscar Niemeyer sta entrando in un nuovo capitolo della sua lunga vita. Si è formato assieme a Lúcio Costa, ha collaborato con Le Corbusier e fatto discutere l’intero Brasile con architetture che parlano una lingua inedita, provocatoria e futuribile. E sta iniziando il progetto più ambizioso di quegli anni, la nuova capitale Brasilia. Ma è in una casa, la sua, che prende forma un manifesto di un moderno “non allineato”, dalle forti caratterizzazioni organiche, dove una roccia diventa punto d’origine per un’intera architettura – le farà eco dieci anni dopo il modernismo californiano della Frey House II a Palm Springs – stendendosi tra le forme curve di un padiglione trasparente e l’acqua del mare.
Domus pubblica Casa das Canoas nel gennaio del 1955, sul numero 302, e poi nel giugno 2007 torna a visitarla, e a riscoprirla in conversazione con il suo stesso progettista, un Niemeyer all’epoca quasi centenario e ancora nel pieno della sua attività.
La casa di Oscar Niemeyer
Domus 302, gennaio 1955
Questa è la casa che Oscar Niemeyer ha costruito per sé, a Rio, in un bellissimo sito isolato, in vista del mare.
La casa prende forma dalla forma del terreno, di cui segue il profilo, senza modificarlo. Il pendio del terreno determina la sua figura a due piani sfalsati. Una grande pietra che emergeva dal suolo non è stata toccata, ma anzi inclusa nella soluzione architettonica come elemento decorativo: essa è il centro della composizione, fra le due forme sinuose della piscina scavata e dalla copertura sospesa. La casa è trasparente da parte a parte, per permettere la vista del mare anche dal terrazzo interno, terrazzo che circonda la piscina e si allarga in mezzo agli alberi fitti.
Il pianterreno della casa è un unico grande ambiente di soggiorno, trasparente da parte a parte per permettere la vista del mare.
La grande pietra esistente entra nel soggiorno, attraversando una parete di vetro. Una quinta curva, rivestita di listelli di legno delimita la zona della televisione a un capo del grande ambiente; un’altra quinta curva, isolata, delimita la zona del pranzo dall’altro capo. La scala scende alle stanze.
Nella pianta è tratteggiato il profilo della copertura, che sporge a creare una zona d’ombra tutto intorno, e che dal lato della piscina si protende in esteso a proteggere una zona di soggiorno all’aperto: vedi foto.
Oscar Niemeyer Casa da Vida
Domus 905, luglio 2007
La Casa das Canoas, progetto esistenziale e abitativo insieme, rivela alcuni segreti poetici del centenario Maestro del Modernismo. Stefano Casciani la racconta attraverso i ricordi di Niemeyer: con una nota critica di Paolo Cazzaro.
Dal suo angolo in mezzo ai libri, appoggiato a un piano di scrittura non più profondo di quaranta centimetri, Niemeyer pronuncia – un po’ in portoghese un po’ in francese, con l’aria profetica che gli danno occhi virtualmente cieche – parole e sentenze sul mondo e il significato del suo passaggio in esso. Della Casa das Canoas non parla molto.
Partendo da un vecchio pollaio che divisi in sala, camera da letto, cucina, coprendolo con tegole di amianto, proteggendo la facciata con listelli di legno (...) la casetta prese forma.
Oscar Niemeyer
Solo la seconda volta che lo incontro, mentre discutiamo di colori e materiali delle sue architetture, quando gli dico che vorrei visitarla, sussurra, laconico: “Ti faccio accompagnare da un nostro collaboratore. Vedrai: la casa è modesta, ma il posto è bello”. Ne parla poco anche nei suoi libri di memorie, almeno in quelli che mi ha regalato, o che ho trovato nelle librerie di Rio. In Meu Sosia e Eu (Il mio sosia ed io, 1992) si dilunga invece, con un certo sentimentalismo, su un’altra sua casa costruita nel 1949 a Mendes: “partendo da un vecchio pollaio che divisi in sala, camera da letto, cucina, coprendolo con tegole di amianto, proteggendo la facciata con listelli di legno. E la casetta prese forma, e il rampicante la copri di fiori, rendendola pittoresca e accogliente, come un prolungamento del giardino”.
Il programma modernista della casa Mendes è riassunto dall’amico Eça in una battuta fulminante, ironica e incisiva: “Dalla casa al bosco di bambù, e dal bosco di bambù alla casa”. L’idea di residenza per Niemeyer, specialmente in Brasile, ha a che fare soprattutto con la sfida modernista a riportare l’esterno nell’interno, a ricreare continuità tra natura e artificio. A Mendes ciò avviene “letteralmente”: ancora casa di campagna, per quanto segnata dalla forte geometria trapezoidale del fianco, che la fa sembrare una variante fantasiosa del rigore ortogonale di certe case dell’amico Lucio Costa, come la Saavedra a Correias, la più famosa. Quattro anni dopo la Casa Mendes, con la Casa das Canoas Niemeyer si svincola definitivamente da quella linea retta che gli è mai piaciuta. La libertà, finalmente.
“La mia preoccupazione era quella di progettare questa residenza con piena libertà, adattandola ai dislivelli del terreno, senza modificarlo, facendola a curve, in modo da permettere che la vegetazione la penetrasse, senza la separazione ostensiva della linea retta”.
Anche una specie di allenamento per Brasilia, l’ultima città moderna inventata di sana pianta per volontà dell’amico-politico-committente-visionario Juscelino Kubistchek: che appena eletto Presidente della Repubblica lo va a prendere, proprio nella Casa das Canoas, e nel viaggio in auto verso Rio gli chiede di aiutarlo a costruire la nuova capitale del Brasile. “Oscar, stavolta costruiremo insieme la Capitale. Una Capitale moderna, la più bella Capitale del mondo!”. Forse in ricordo di quei tempi eroici, inevitabilmente, prima o poi, nel corso di ogni conversazione Niemeyer riaffermerà i suoi principi rivoluzionario-democratici. “La terra ai lavoratori, Tutti contro Bush!” sono solo un paio degli slogan con cui Niemeyer ama impressionare il suo interlocutore. Li pronuncia con serietà, senza nulla della consueta, irresistibile ironia che non risparmia al suo lavoro: “La casa è modesta”.
Dispiace smentire un artista che si può sentire solo come un padre più saggio e bravo di tutti: ma andare alla Casa das Canoas significa capire come avrebbe potuto essere l’architettura moderna anche in Europa se fosse stata un po’ meno bigotta e ortodossa – o semplicemente se non fosse arrivata la guerra. In Brasile la guerra non è arrivata, il Movimento Moderno non è stato certo bigotto né ortodosso, e si vede in quest’architettura: forse meno domestica di tante altre case di Niemeyer, sicuramente più dimostrativa della sua idea di modernismo tropicale. La natura incontrata e scelta per abitarvi nel 1953 ora sembra trattenersi a fatica – forse per la devozione verso l’uomo che qui ne ha reinventato il paesaggio – dall’invadere la costruzione. Impianto pan libre, facciata totalmente vetrata – che sarebbero piaciuti anche al primo Le Corbusier – sovrastati dall’invenzione dell’ondeggiante pensilina a sbalzo: qui ancora diaframma per ombreggiare le vetrate, “Poema della Curva” (anziché de l’Angle Droit) che nella Marquise per il parco di Ibirapuera a San Paolo diventerà architettura autonoma.
All’esterno come all’interno, con le dita si possono sfiorare con piacere quasi erotico gli enormi massi erratici che Niemeyer, anticipando ogni arte povera e concettuale o land art, ha lasciato dov’erano facendo crescere intorno a essi l’edificio: che diventa così a sua volta singolare artificio naturale. Il collaboratore di Niemeyer fa da guida silenziona al visitatore ammirato, spiega il funzionamento delle petites machines-à-habiter sparse negli ambienti, porta l’attenzione sulle pubblicazioni della piccola biblioteca aperta ai visitatori: antichi numeri di Módulo, piccole e prezione monografie dal formato quadrato sul “Plano piloto de Brasilia” di Lucio Costa. Il vecchio custode della Casa das Canoas ne cede qualche copia dal leggero sentore d’umidità, per pochi cruzeiros, quasi a malavoglia. Si torna verso l’auto, la strada, la città Babele sull’Atlantico: con la sensazione di aver vissuto un po’ l’ultima age d’or del Modernismo, in una casa che forse non esiste al mondo, ma solo in quell’altro mondo parallelo che è il Brasile.
