Bruno Latour

(1947-2022)


Tutti gli editoriali scritti in esclusiva per Domus dal grande filosofo, sociologo e antropologo francese.


Bruno Latour

“Gli oggetti tecnici: quale politica?”

È scomparso a 75 anni il grande intellettuale francese. Nel 2004 era stato contributor fisso di Domus, scrivendo un editoriale a numero: interventi ancora attualissimi, di cui ripubblichiamo quello originariamente apparso sul numero 871.

Gli oggetti tecnici fanno politica? “Certo che no”. Questa è stata per molti anni la risposta del senso comune: gli oggetti tecnici sono neutrali, come la lingua di Esopo. Si limitano ad assumere la forma che gli si dà. Ma quando, parecchi decenni or sono, il filosofo Langdon Winner ha sollevato la questione, la sua risposta è stata un sonoro ‘sì’: lungi dall’essere neutrali, le tecnologie possono ‘incarnare’ l’oppressione in modo così deviante da renderla irreversibile.

Uno degli esempi preferiti di Winner suonerà familiare a tutti gli urbanisti. Quando Robert Moses iniziò a ridisegnare le direttrici di scorrimento veloce di New York, si assicurò che i ponti che davano accesso alle spiagge e ai parchi ricreativi che tanto amava fossero così bassi da non permettere agli autobus di passarci sotto. Dato che all’epoca i neri non erano abbastanza ricchi da possedere auto private, ciò significava che Moses, senza alcuna formalizzazione legislativa dell’apartheid, senza il minimo sospetto di scorrettezza, poteva tener sgombre le sue spiagge da qualunque mescolanza genetica, come se avesse creato una polizia razziale per applicare l’editto: “Riservato ai bianchi”. Ed ecco la conclusione di Winner: non solo gli oggetti artificiali fanno politica, ma fanno la più perversa di tutte, poiché nascondono la loro parzialità sotto l’apparenza dell’oggettività, dell’efficienza o della mera praticità.

Forse la politica inizia quando si prende in considerazione l’irreversibilità insita nella tecnica?

È un bellissimo caso. E non c’è dubbio che, oggi, quando si percorre in auto un’autostrada urbana newyorkese, i ponti sono davvero bassi, così bassi che gli autocarri e gli autobus ancora vi strisciano regolarmente contro. Ma ciò equivale a dire che i ponti ‘incarnano’, ‘reificano’ oppure ‘materializzano’ determinate intenzioni politiche?

Domus 871, giugno 2004
Domus 871, giugno 2004

Che i progettisti si servano surrettiziamente degli oggetti materiali per imporre certi tipi di comportamento, chiunque sia stato indotto a rallentare nei pressi di una scuola a causa della silenziosa presenza di un autovelox (il cosiddetto “vigile in sonno”) lo ammetterà facilmente. Sì, ogni volta che entriamo in contatto con un oggetto materiale siamo indotti a compiere azioni che altrimenti non compiremmo: quando vogliamo far bollire l’acqua per il caffè del mattino, quando ci chiudiamo una porta alle spalle, quando allacciamo la cintura di sicurezza prima di avviare il motore dell’auto e così via per centinaia di volte ogni giorno. Ma ciò non vuol dire che tramite queste elementari e devianti tecniche si esprimano solo oppressione e discriminazione. Grazie a esse ci viene anche ‘consentito’, ‘permesso’ di agire, veniamo “messi in grado”, ‘autorizzati’ a fare qualcosa. Perciò dire che il corso ordinario delle nostre azioni è intrecciato con gli oggetti artificiali non significa affermare che essi facciano politica – per lo meno non ancora.

Saltare troppo rapidamente da un’affermazione all’altra significa dar credito a una specie di teoria del complotto.

Forse la politica inizia quando si prende in considerazione l’irreversibilità insita nella tecnica? Gli architetti conoscono bene il pesante fardello dell’eredità lasciata dai predecessori. L’edificio hausmanniano di Parigi in cui abito ha la perversa tendenza a obbligare gli studenti che ne abitano le ambite chambres de bonne ad arrampicarsi per sei piani lungo una rampa stretta e ripida, mentre i felici proprietari degli appartamenti possono ascendere senza scosse tramite un ascensore inserito in una vasta scala. Anche qui gli studenti sono ‘discriminati’? Certamente, ma il motivo è che ai tempi della belle époque era impensabile che servitori e camerieri usassero le stesse scale dei borghesi alla Zola, per i quali questi edifici sono stati costruiti. Nel frattempo però i servitori sono scomparsi, sono arrivati gli studenti e il potere di discriminazione delle due scale incompatibili è rimasto: oggi è, letteralmente, colato nel cemento. Rimediare alla bigotteria politica di Hausmann vorrebbe dire distruggermi la casa, pietra dopo pietra… Ma ciò significa che gli edifici del Quartiere Latino fanno effettivamente politica?

Cover Domus 871
Cover Domus 871

Rintracciare la politica degli oggetti tecnici è sempre intricato a causa dell’esatto contrario di ciò che implica l’argomentazione di Winner: l’assenza di padronanza esercitata su di essi dai tecnici. L’architetto hausmanniano ha trovato il modo di tenere separati borghesi e servitori, ma non ha mai previsto la relegazione degli studenti alla scala di servizio. La tecnologia, in altre parole, ha una sua intenzione e un suo senso che persegue al meglio (o al peggio, quanto all’intenzione). Ecco perché è tanto difficile praticare la reverse engineering e leggere l’intenzione di un progettista dentro il suo progetto.

A cinquant’anni di distanza i Dipartimenti dei Trasporti, dei Parchi e del Traffico di New York City stanno ancora discutendo se ammettere o meno gli autocarri nelle strade a grande scorrimento. Forse che Robert Moses discriminava gli autocarri? Certo è che una cosa era chiara in tutti i suoi progetti, ed era la ragione per cui fece i ponti così bassi riservando l’altezza normale alle altre superstrade: gli autocarri non avevano nessun motivo per andare alla spiaggia. Ma ha discriminato gli autobus “stipati di neri”? È pura ideologia, questa volta quella della critica sociale: distinguere le strade a scorrimento veloce dalle superstrade non coincide con il tenere separati i bianchi dai neri. Saltare troppo rapidamente da un’affermazione all’altra significa dar credito a una specie di teoria del complotto.

Ogni oggetto artificiale sta all’interno di un’istituzione che lo fa esistere – oppure, ahimè, non ci riesce.

Quando si iniziano a leggere gli oggetti tecnici non come oggetti neutrali indifferenti a obiettivi e valori, ma come nodo centrale di una competizione per il potere, è vero che si entra nel territorio della politica, ma il punto è: quale tipo di politica? Leggere la discriminazione dei neri in un ponte non significa far politica. Significa semplicemente fare critica dell’architettura, e del tipo più innocuo, precisamente quello che vede gli oggetti artificiali come semplici ‘materializzazioni’ di un certo tipo di oppressione. “Datemi la struttura sociale e io vi dirò la forma che prenderà la tecnologia”. Ma ciò significa che l’edificio non possiede alcuna autonomia: semplicemente sarebbe la pura conseguenza del potere dominante. Il che vuol dire esattamente tornare alla concezione neutrale della tecnologia che tanto è stata criticata.

Bruno Latour
Bruno Latour

Ma in verità gli oggetti tecnici fanno qualcosa di più che ‘reificare’ schemi politici del passato, visto che il loro progetto è ricco di conseguenze inattese; visto che la loro durata nel tempo significa che tutte le idee che originariamente il progettista si faceva di essi erano destinate a mutare progressivamente nel giro di pochi decenni; dato che, inoltre, essi fanno qualcosa di più che essere conseguenza del potere e del dominio e offrono anche risorse, potenzialità, occasioni, ciò significa che fanno politica in un modo che il fondamentale articolo di Langdon Winner non prevedeva. In altre parole, essi richiedono una rappresentazione. Sono un assemblage materiale, alla strenua ricerca di qualcosa che lo assembli.

Il problema è che, anche se sappiamo come descrivere un ponte o un edificio nella sua composizione materiale, siamo ancora incapaci di descrivere in un unico contesto tutti gli attori che occorre avere in scena per una rappresentazione politica di questo ponte o di questo edificio. Sappiamo come descrivere lo shuttle Columbia in quanto progetto tecnico, oppure come descrivere la NASA in quanto organizzazione, ma non sappiamo descrivere la NASA e lo shuttle come un unico insieme. Eppure ogni oggetto artificiale sta all’interno di un’istituzione che lo fa esistere – oppure, ahimè, non ci riesce.

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