Paris Habitat, il più grande ente di edilizia pubblica in Europa

A Parigi, da oltre un secolo un patrimonio di case popolari incoraggia la possibilità di vivere in città a prezzi accessibili. Una ricerca traccia le coordinate di questa storia.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1067, aprile 2022.

Per celebrare i 100 anni di edilizia pubblica a Parigi, tra febbraio e maggio 2015 il Pavillon de l’Arsenal ha ospitato “Paris Habitat, cent ans de ville, cent ans de vie”, una mostra dedicata, così come la pubblicazione che l’accompagnava, al lavoro affrontato nel corso di un secolo dal più grande ente di edilizia pubblica in Europa: Paris Habitat.

Il Pavillon de l’Arsenal ci ha incaricato di realizzare una ricerca che mettesse in luce un secolo di innovazioni architettoniche, di politiche abitative pubbliche e, soprattutto, di costruzione di un’intera città. La nostra indagine ha esaminato una selezione di edifici organizzati in relazione al tessuto urbano di cui fanno parte. Cercavamo un tesoro e l’abbiamo trovato: un unico, grande progetto lungo oltre un secolo e targato Paris Habitat, nell’ambito del quale 1.200 interventi di edilizia collettiva hanno prodotto un tessuto pubblico senza soluzione di continuità. Un progetto di respiro metropolitano, senza il quale Parigi come la conosciamo non esisterebbe, una lezione di maturità e generosità urbana. 

Costruiti nel corso degli ultimi 100 anni, questi alloggi ospitano più di 200.000 residenti. Nella sola Parigi, dove tale patrimonio edilizio modella gran parte del tessuto urbano, circa 180.000 persone (l’8 per cento della popolazione) vivono a prezzi accessibili nel cuore della metropoli. Cento anni di produzione di case popolari dimostrano che è possibile vivere in centro città a prezzi accessibili. Abbiamo visitato abitazioni in luoghi da sogno: sull’acqua, di fronte a un parco, dentro a un parco, accanto a un museo, in una piazza o lungo un viale. La presenza di più di 110.000 case Paris Habitat solo a Parigi è la migliore strategia per garantire la coesione sociale su scala urbana. 

Il complesso George Eastman, opera di Charles Luciani, F. Grimm, René Roux-Dufort, 1952. Foto © Javier Arpa Fernández
Il complesso George Eastman, opera di Charles Luciani, F. Grimm, René Roux-Dufort, 1952. Foto © Javier Arpa Fernández

Così, mentre i prezzi degli alloggi aumentano, questo patrimonio ospita una popolazione diversificata, e ci incoraggia a credere che la vita in città non sia un privilegio di pochi. Questa massa abitativa si distribuisce in torri, fasce, file e immeubles à rédans, o completa gli isolati della città attraverso inserimenti tra muri divisori. Apre patii, crea interruzioni, si allunga in terrazze, balconi ed elementi a sbalzo; si sviluppa su strade sopraelevate, corridoi interni e nuclei centrali: il patrimonio di Paris Habitat comprende quasi tutte le tipologie possibili, costruisce la città ed è una lezione sulla realizzazione di alloggi multifamiliari. Se, in più, consideriamo che questo tipo di abitazione multifamiliare è probabilmente il principale luogo di interazione tra persone, le architetture che la compongono giocano un ruolo chiave come strumenti di integrazione sociale e di miglioramento della vita comunitaria.

La presenza di più di 110.000 case Paris Habitat solo a Parigi è la migliore strategia per garantire la coesione sociale su scala urbana.

Alcune convinzioni ci hanno accompagnato nella nostra ricerca: l’alloggio è un diritto, non solo un prodotto; l’alloggio è il filo che tesse la città; l’alloggio è un tema estremamente sensibile, perché per molti cittadini racchiude la speranza di una vita migliore; l’alloggio è un tema molto delicato, travolto dalla politica, dai regolamenti e dal controllo dei costi. Per analizzare questi punti abbiamo applicato altrettanti filtri – densità, diversità, intensità, fertilità e agilità – che nascono da una serie di domande: Che città vogliamo? Come è costruita? Di cosa possiamo fare a meno? Cosa manca? Come sarà la mia casa un giorno? 

Il complesso Ami-ral Mouchez, progetto di Adrien Brelet, André Le Donné, Marcel Bataille e Zdzislaw Bujajski del 1965, rinnova-to da Flint Architectes e Philippe Dubus nel 2011. Foto © Javier Arpa Fernández

Il futuro della città dipende in gran parte dalla sua risposta agile ai cambiamenti, alle nuove esigenze ambientali e alle trasformazioni sociali ed economiche. Le azioni volte a costruire una città resiliente, a rigenerare il tessuto urbano e a trasformare l’architettura sono agili, così come quelle che permettono di affrontare le contingenze e guarire le ferite del passato. 

Abbiamo prestato particolare attenzione all’introduzione degli alloggi di Paris Habitat come principale leva di rigenerazione in alcuni quartieri e alla costruzione di alloggi sociali su terreni liberati dall’industria o da altre infrastrutture. Abbiamo cercato nel portfolio dei bailleur sociali esempi di trasformazione di uffici in disuso, in un contesto in cui la domanda pressante di alloggi si interseca con la miniera d’oro di un milione di metri quadri sfitti. Questo ha portato a scoprire un patrimonio di esperienze di ripristino, conversione e manutenzione di un enorme serbatoio di edilizia residenziale, spesso costruito in risposta all’emergenza abitativa del Secondo dopoguerra, a grande velocità, con poche risorse e una grande mancanza di qualità negli spazi e nei materiali. 

I complessi di edilizia popolare costruiti in tale contesto formavano un insieme disorganico, fatto di lunghi caseggiati e torri con strutture di servizio sparse qua e là, mentre gli spazi liberi tra gli edifici erano compromessi dalla mancanza di sicurezza e ridotti a semplici vuoti di cui nessuno si occupava. La grande scala di alcuni progetti, la ripetizione delle soluzioni costruttive e la standardizzazione dello spazio poco facevano per aiutare l’identificazione del singolo con il luogo. Non solo i materiali erano di bassa qualità, ma non era nemmeno prevista alcuna manutenzione, il che ha portato al continuo degrado degli edifici. 

Alloggi realizzati da OPHBM nel 1930, tra rue Henri-Brisson e rue Arthur Ranc, restaurati tra il 1986 e il 1989. Foto © Javier Arpa Fernández
Alloggi realizzati da OPHBM nel 1930, tra rue Henri-Brisson e rue Arthur Ranc, restaurati tra il 1986 e il 1989. Foto © Javier Arpa Fernández

Molti di questi quartieri diventarono così il focolaio di un profondo malessere sociale e, per questo, divennero obiettivo di politiche volte a migliorare la qualità materiale delle costruzioni e a combattere la segregazione sociale. Queste politiche di ripristino sono state avviate da Paris Habitat negli anni Ottanta e coprono tutte le scale. I lavori di ripristino erano già allora caratterizzati dalla procedura di coinvolgimento diretto fin dall’inizio dei residenti, mettendo così in pratica precetti oggi ampiamente accettati: la rigenerazione urbana non è mai abbattere, mai disfare, ma rinforzare, migliorare e aggiungere. 

La rigenerazione urbana non è mai abbattere, mai disfare, ma rinforzare, migliorare e aggiungere.

La realizzazione di una città agile implica anche la costruzione di case flessibili, in grado di cambiare con l’evolversi della vita dei suoi abitanti. Sono agili i volumi neutri con soffitti alti e facciate seriali, come pure gli spazi indifferenziati con una grande distanza tra gli assi strutturali, le costruzioni reversibili o modificabili con elementi costruttivi leggeri e metodi industriali. Lo sono tutte le soluzioni che contribuiscono alla costruzione di un paesaggio edificato e che oltre a un’area abitabile offrono ai loro occupanti un ampio volume abitabile. Trasformiamo la costruzione di una città in un atto che anticipa sconvolgimenti e inflessioni e ne ammortizza le conseguenze: un atto smontabile, elastico e malleabile.

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