L’urbanistica tara le tue ambizioni: intervista ad Antonio Dikele Distefano

Il creatore di Zero racconta il ruolo dell’architettura nella serie Netflix e nelle sue storie, le ragioni per cui è scappato dalle periferie e perché noi tutti siamo, in fin dei conti, il posto in cui viviamo.

Antonio Dikele Distefano è un giovane scrittore nato a Busto Arsizio nel 1992, ma cresciuto in Puglia e in Romagna prima di arrivare a Milano dove vive e dirige Esse Magazine. Ha pubblicato ben cinque romanzi con l’editore Mondadori, da uno dei quali (Non ho mai avuto la mia età, 2018) è stata tratta la serie Zero prodotta da Fabula Pictures e Red Joint Film per Netflix uscita quest’anno con una minacciosa immagine del Gallaratese di Carlo Aymonino a fare da sfondo nel manifesto pubblicitario dove i personaggi sono quasi tutti figli di immigrati. Una serie in cui l’urbanistica gioca un ruolo primario non solo sulla periferia milanese su cui incombe la gentrificazione, ma ad esempio il personaggio di Anna (Beatrice Grannò) rivela al protagonista Omar/Zero (Giuseppe Dave Seke) che Gae Aulenti le è apparsa in sogno spingendola ad iscriversi ad architettura.

Antonio Dikele Distefano. Foto Karim El Maktafi

Perché hai scelto questa disciplina su cui basare sia il romanzo sia la serie tv?
È una domanda difficile, nel romanzo l’urbanistica è importante perché il protagonista vive nei primi anni a Cerignola come è accaduto a me, anche se non è un romanzo autobiografico. Avendoci vissuto però conosco bene quella realtà ed è assurdo come ciò che ti circonda e il posto in cui vivi possano tarare le tue ambizioni e quello in cui credi. L’urbanistica è centrale perché il quartiere dove vivevo coincideva con il mio mondo, quando vivevo lì non andavo in centro perché là mi sentivo estraneo, mentre nel mio quartiere c’era tutto quello di cui avevo bisogno, la scuola, la chiesa, il supermercato… In seguito i miei genitori si sono trasferiti a Ravenna dove mia madre ha aperto un negozio ed è iniziata un’altra storia.

Mi ha colpito la scelta del Gallaratese come icona periferica. Milano è la città d’Italia dove la gentrificazione è più possibile.
In Zero la gentrificazione arriva casualmente, siamo andati a girare delle scene a Corvetto, alla Barona, dove abbiamo trovato un notevole senso di appartenenza del quartiere. Le storie delle persone che abbiamo incontrato erano dominate dalla paura di essere cacciate, degli aumenti degli affitti, insomma di essere sbattuti fuori di casa. La cosa che mi ha stupito di più è che di solito i ragazzi vogliono andarsene dalla periferia in cerca di qualcosa di meglio, invece loro volevano restare a tutti i costi, la cosa bella è che loro continuavano a dire “qui il giardino lo curiamo noi, è tutto pulito” infatti la troupe romana era molto stupita dell’alta qualità di vita in questi posti solitamente malfamati… il problema è che di solito la cattiva reputazione di un quartiere viene affibbiata da fuori, da chi non ci abita. 

Foto di scena da Zero. Courtesy Netflix

Tu però, che pure sei cresciuto in periferia sia al sud sia al nord, non hai dovuto tarare le sue ambizioni, hai già pubblicato più romanzi di Roberto Saviano o Paolo Giordano con il più grande editore italiano…
È vero, però ho cambiato quindici case, la mia ambizione personale è sempre stata quella di avere un posto mio. A volte tornavo dai miei amici d’infanzia, però ormai mi sentivo un estraneo, non ero più uno di loro e, anche se con tono scherzoso, non mancavano mai di farmelo notare. Da quando mi sono trasferito a Milano sono cambiato, questa città mi ha trasformato e perciò resto convinto che il posto in cui sei tari le tue ambizioni. Molti ragazzi che vivono in contesti degradati modellano il loro modo di essere in un certo modo perché sono circondati dalla bruttezza, dal grigiore, io invece non amo la periferia, per questo ne sono scappato.

Le storie delle persone che abbiamo incontrato erano dominate dalla paura di essere cacciate, degli aumenti degli affitti, insomma di essere sbattuti fuori di casa.

In una città come Milano zone fino a ieri periferiche sono i nuovi nodi di attrazione, e ci sono progetti per rilanciare aree di snodo fra città e hinterland come quello recentissimo su Piazzale Loreto.
L’evoluzione di Milano non la conosco abbastanza, sicuramente le città vivono delle loro periferie e la loro negativizzazione fa parte di un quadro più complesso. Ripeto questa avviene sempre dall’esterno. Io sono una persona che ama la comodità, sono da centro storico ormai, però se pensiamo alla musica, a Mahmood, a Ghali, insomma tutte le nuove canzoni vengono dalla periferia perché c’è più contatto umano, più dialogo, più confronto, i palazzi sono vicini come alveari, mentre in centro no. La cosa che mi piace di Milano è che sia in espansione, è in crescita e può ancora evitare errori di altre grandi città mantenendo alcuni standard, essendo così un esempio per le altre città. Quando sono venuto qui l’unico amico che avevo allora mi disse “t’innamorerai di questa città” e in effetti sono ancora qua.

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