Tra archeoacustica e distopia: un racconto sonoro come progetto artistico

Estrapolare suoni incastonati nella materia da millenni. E se fosse possibile? È il tema al centro dell’ultimo progetto del collettivo Almare, Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U.

Il collettivo ALMARE si forma nel 2017 nelle aule del conservatorio di Torino, dove studiano i futuri membri Amos Cappuccio, Luca Morino e Gabriele Rendina Cattani, ai quali si unisce in un secondo momento la curatrice Giulia Mengozzi. L’intento è comune: dedicarsi a tutto tondo all’elemento sonoro studiandone le applicazioni nei differenti ambiti creativi, fino a comprenderne le derive più politiche.

Mettere il suono al centro della propria ricerca significa sconfinare in ambiti talvolta visionari, come quello fantascientifico che caratterizza l’ultimo progetto di ALMARE, Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U., un audioracconto prodotto in occasione della collettiva Waves Between Us, organizzata nel 2020 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Il romanzo sonoro è ambientato in un futuro distopico, nel quale il sogno di estrarre il suono dalla materia è diventato realtà, dando così origine a un mercato nero di suoni impressi su anfore, reperti antichi e oggetti di qualsiasi tipologia ed epoca.

All Signs Point to Rome, Diane, performance-lecture, ALMARE (2019), per il progetto collettivo Where is the Boys and Kifer? Part II di Roberto Casti, Accademia di Brera, Milano 2019. Foto © Cesare Lopopolo. Courtesy ALMARE.

“Con il termine archeoacustica”, spiega Almare, “si identifica oggi una branca nuova dell’archeologia che indaga i fenomeni acustici di antichi siti e artefatti, concentrandosi sulla relazione tra suono e architettura nell’antichità e su come proprio lo studio acustologico ci aiuti a comprendere le funzioni sociali e rituali di luoghi dell’antichità”.

Tuttavia già dall’inizio del ‘900 questo termine si riferiva a un sottobosco di pseudodiscipline che teorizzavano la possibilità di rintracciare e recuperare suoni incisi nella materia. Tutto questo non è mai stato dimostrato e validato dalla scienza, ma l’ipotesi ha nondimeno generato un corpus di leggende che attraverso la cultura popolare, serie tv, film, videogiochi, “ci raccontano di involontarie registrazioni sparse nella materia, di voci di grandi pensatori incastonate in antichi vasi, teorie del complotto e via dicendo”.

Cosa vi ha attirato dell’archeoacustica così tanto da dedicargli un progetto?
Il concetto di registrazione sonora era emerso già da tempo nel corso delle nostre conversazioni. Ci siamo spesso trovati a riflettere sulla performatività dei suoni registrati, sul rapporto che intercorre tra chi ascolta e chi ri-produce un suono e di come la tecnologia inevitabilmente modifichi il nostro rapporto con noi stessi. Gran parte delle ricerche che nell’Ottocento si sono occupate di registrazione sonora scaturivano da un manifesto interesse per i fenomeni paranormali, in particolare per la possibilità di accedere tecnologicamente al mondo dei defunti. Nel 1857 Édouard-Léon Scott de Martinville brevetta uno strumento capace di incidere i suoni su un supporto. Non riuscirà, tuttavia, a sviluppare la sua tecnologia abbastanza da fissare l’incisione, così da poterla riprodurre. Solo con Edison si riuscirà a sviluppare questa seconda fase del processo. Ascoltare una registrazione permetteva – ed era la prima prima volta – di confrontarsi con la viva voce di un tempo passato. L’archeoacustica ci ha affascinato proprio perché, in qualche modo, rappresenta la summa esplosiva di tutti questi elementi di riflessione.

Com’è nata la narrazione che c’è nelle Cronache?
Abbiamo iniziato a pensare a un futuro immaginario in cui attraverso una tecnologia specifica che abbiamo chiamato ECHO (Equalized Control Of Hierarchic Oscillations), il suono viene estratto e recuperato dagli oggetti più diversi e conservato nelle città, nel sottosuolo. Questo ci ha stimolato a domandarci quali conseguenze ne deriverebbero, in termini di controllo e monitoraggio e come nella maggior parte delle costruzioni narrative fantascientifiche, siamo partiti dal presente e dal nostro sistema socio-economico, che già fa largo uso di dati veicolati tramite la voce, registrazioni non propriamente consensuali e impronte vocali. Il tracciamento di sé, in questi termini, è già un dato di fatto e le nostre registrazioni sono già parte dell’ambito archeologico, perché, di minuto in minuto, non sono più situabili nell’istante presente, ma fanno già parte di un passato progressivamente obsoleto.

Still da Cronache di Vita di Dorothea Ïesj S.P.U. - Episodio 1: La Mattina del Quinto Anniversario, traccia audio con sottotitoli, ALMARE (2020). Courtesy ALMARE.

Nel vostro audioracconto viene detto “[...] il suono non uccide [...] e per questo de facto è un’arma”. Il suono è così tanto pericoloso?
Il teorico ed economista francese Jacques Attali, che molto si è concentrato sulla relazione tra suono e dinamiche sociali, afferma che “il suono ha sempre avuto come unico soggetto il corpo”. È a questa prospettiva che facciamo riferimento quando, in uno dei suoi monologhi, Dorothea afferma che “l’orecchio è un territorio costantemente invaso, un bersaglio semplice: non si può chiudere, non si sceglie cosa sentire. Modellare il suono significa allora modellare l’orecchio, modellare i comportamenti sociali, le interazioni sociali, modellare il reale.” Il nostro corpo è sempre esposto al suono, è sempre sottoposto alle frequenze – percepibili o non e questo vale anche nelle rare occasioni in cui facciamo ricorso ad avanzate tecnologie di isolamento acustico – pensiamo al celebre aneddoto in cui John Cage racconta che nella camera anecoica sentiva i suoni, altrimenti impercettibili, del suo apparato cardiocircolatorio e nervoso. Tutto ciò fa sì che il rapporto tra corpo e suono sia caratterizzato da un’inevitabile ambivalenza: il suono è fuori da noi ed è contemporaneamente dentro, ci attraversa. Il suono ha la capacità di infiltrare la nostra percezione, la nostra memoria, creando un ponte tra ciò che è interno ed esterno a noi. Il suono è, in sostanza, straordinariamente pervasivo, ed è in questa prospettiva che sono stati creati ed implementati strumenti che utilizzano il suono come arma, dispositivi che sfruttano i nostri meccanismi percettivi.

Il nostro audio racconto è proprio un’ampia speculazione immaginativa a partire dalla domanda che poni. Possiamo aggiungere che qualcosa di simile sta già accandendo, con il capitalismo dei dati.

Quando viene applicata questa pratica?
Sono granate, musica diffusa ad altissimo volume per lunghi periodi, simulazioni di carri armati e altri dispositivi di questo tipo: quando un individuo non può sottrarsi ad un suono in grado di creare dolore, disagio o squilibrio fisiologico, probabilmente si trova nel campo d’azione di un’arma. Coloro che implementano questi strumenti (esercito, polizia, gruppi paramilitari…), si difendono parlando di “armi non letali”, sminuendo le capacità offensive delle stesse e cercando così di legittimarne un utilizzo più rilassato, per così dire - ad esempio, nel contesto civile. Nell’immediato, questi strumenti causano vertigini, perdita di equilibrio, nausea e non è raro che le vittime sviluppino i sintomi della sindrome da stress post-traumatico. La storia delle armi sonore ha una lunga tradizione e chi desiderasse approfondire questo argomento può certamente farlo su due testi dai quali abbiamo tratto numerosi riferimenti per il lavoro e che, in generale, consideriamo fondamentali rispetto alla questione: Sonic Warfare di Steve Goodman e Il Suono come Arma di e Juliette Volcler.

Still da All Signs Point to Rome, Diane, video-essay, ALMARE (2019). Courtesy ALMARE.

Nel mondo inventato di Dorothea Ïesj S.P.U. i “pargoli”, ovvero queste parti di suono estratte dalla materia, possono valere molto e sono anche oggetto di contrabbando. Da dove deriva, secondo la vostra visione, la preziosità di questo materiale?
Non è un valore che riguarda il suono in sé. All’interno della storia è un contrabbando paragonabile a quello di reperti storico-archeologici, trafugati a fini di collezionismo, speculazione, o addirittura di ricatto. Nel mondo di Dorothea si è in grado di recuperare una pletora di sono-informazioni da una qualunque superficie. Di conseguenza, ogni oggetto porta con sé lo storico di tutte le sue “transazioni”: si possono estrarre le voci di chi ha fabbricato l’oggetto, di chi ne è venuto in possesso, i suoni che lo hanno circondato, fino ai ragni e le mosche che vi si sono posati. La nozione di valore è allora centrale perché lo scambio, o lo smercio, di questi suoni implica una gerarchizzazione valoriale delle infinite informazioni estraibili. Il suono diventa così una sorta di sigillo, una reliquia-parlante, merce allegorica, una moneta immateriale il cui valore è proporzionale alla sua “vocalità”. Allontanandoci dalla trama delle Cronache stricto sensu, ci interessa il legame tra capitalismo dei dati, linguaggio e creazione di valore e come i reperti considerati “archeologici” siano appunto uno strumento di costruzione linguistica, di simulazione memoriale, avvalorante, e quindi uno strumento di potere. Per Benjamin, “la memoria non è tanto uno strumento per la scoperta del passato, ma ne è piuttosto il medium”. Ecco, potremmo aggiungere, citando Klossowski, che la memoria è la moneta della storia, la sua valuta fiduciaria.

Un dato affascinante del racconto Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U. è proprio la possibilità – attualmente impossibile ma verosimile – di estrarre i suoni dalla materia. Immaginandoci per un attimo di far accadere questa cosa nel mondo reale, pensate che potrebbe portare a dei benefici, come ad esempio nello studio di accadimenti del passato, oppure avrebbe ripercussioni sull’umanità?
Il nostro audio racconto è proprio un’ampia speculazione immaginativa a partire dalla domanda che poni. Possiamo aggiungere che, come abbiamo già accennato, qualcosa di simile sta già accandendo, con il capitalismo dei dati.. Come ogni tecnologia, è ambivalente e oracolare allo stesso tempo, anche in senso morale. 30 anni fa, gran parte delle tecnologie oggi sviluppate e diffuse, erano senza dubbio “prevedibili”. Ma i loro risvolti positivi e negativi non sono il punto. Tecnologia è un qualcosa di attivo e passivo. Siamo anche sempre agiti da ciò che sviluppiamo. Fare uso di qualcosa significa anche esserne il mezzo.

Il vostro lavoro esplora un ambito sperimentale.
La scrittrice Octavia Butler dichiarò di aver cominciato ad interessarsi alla scrittura fantascientifica perché in quel frangente tutto era possibile. Non c’erano muri a costringerla e non esisteva condizione umana che le fosse proibito esplorare, indagare. E anche a noi piace sperare che la nostra storia di fantascienza possa funzionare come vettore di conoscenza, come proiezione immaginativa riguardante le potenzialità generative, le conseguenze socio-politiche e finanche i rischi che potrebbero seguire l’applicazione su larga scala di certe tecnologie contemporanee.

Still da Cronache di Vita di Dorothea Ïesj S.P.U. - Episodio 1: La Mattina del Quinto Anniversario, traccia audio con sottotitoli, ALMARE (2020). Courtesy ALMARE.

Cosa in particolare?
Per noi è stato importante, ad esempio, provare ad osservare le logiche di quell’enorme dispositivo politico che è l’attuale economia dei dati. Crediamo che la fantascienza sia un potente generatore di mondi, un filtro per inverare, tramite un potenziamento delle possibilità immaginative dei fruitori, prospettive inverosimili, o squisitamente applicabili a specifiche nicchie della conoscenza. La caratteristica del nostro progetto nella quale crediamo di più, infatti, è la capacità di generare conoscenza rispetto a questioni afferenti all’ambito della tecnologia (e non solo), visualizzandole tramite la narrazione fantascientifica. Anche se, nel nostro caso, sarebbe più corretto dire “sonorizzandole”. Con l’espressione “science fictional behavior” la giovane scrittrice ed attivista Adrienne Maree Brown fa riferimento al lavoro e alle pratiche quotidiane di tanti attivisti interessati al modo in cui le nostre azioni e credenze ora, oggi, potranno dare forma al futuro, partendo dall’idea di qualsiasi tentativo di trasformare in realtà le proprie speranze relative all’umanità, le proprie visioni, non potendo prescindere dall’immaginazione. “La fantascienza”, scrive, “è semplicemente un modo per praticare insieme il futuro”.

Oltre alla prosecuzione di Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U., che porterete avanti in diverse puntate, avete altri progetti in cantiere?
Al momento siamo focalizzati su Cronache, sul quale speriamo di poter tornare a lavorare il prima possibile: in questo progetto sono confluite tantissime e diverse linee di ricerca che stavamo conducendo precedentemente, è un po’ come se avesse “cannibalizzato” tutto! Potremmo accennare però al fatto che da qualche tempo abbiamo in cantiere una collaborazione con il ricercatore ed esperto di videogiochi Angelo Careri per sviluppare insieme un videogioco incentrato sulla nozione di suono e spazio nell’esperienza del gameplay. Speriamo di poter riprendere in mano questo progetto molto presto, pandemia permettendo.

Il primo episodio delle Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U si può ascoltare sul sito wavebetweenus.com

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