Come un taccuino pieno di appunti, divagazioni e riflessioni Memos tratta i nuovi temi della moda contemporanea in una celebrazione generata da intarsi, ricami e strutture. Abiti, riviste e altri oggetti sono raccolti in uno “scrigno” permeato dalla storia; la casa-museo Poldi Pezzoli.
Tra splendidi esemplari di pittura lombarda e cimeli di ogni tipo, tra vetri e ceramiche, appaiono le personalità che in anni recenti hanno catapultato la moda in una dimensione più ampia. I ricami di Alessandro Michele sugli abiti disegnati per Gucci parlano di femminismo; Giorgio Armani con la sua linea androgina introduce nella moda contemporanea il tema genderless attuando la rivoluzione del “sesso radicale”; poi Karl Lagerfeld e la sua capacità di divagare; Francesco Risso, giovane talento, che rimette in discussione le forme classiche del guardaroba e suscita quesiti sul corpo e sulle sue contraddizioni attraverso una vera e propria dichiarazione di libertà.
Il concetto di Memos si ispira alle Lezioni Americane di Italo Calvino, note anche come Six Memos for the Next Millennium che l’autore avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard, nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures, nell’autunno del 1985; dopo la morte prematura, sarà la moglie Esther a pubblicarne le tracce scritte. La mostra è curata da Maria Luisa Frisa e Judith Clark. I capi esposti, sospesi nel tempo, dialogano elegantemente con la collezione del museo, alludendo ad una piacevole conversazione tra presente e passato, contemporaneo e vissuto, arte e moda.
Memos, con l’intento di suggerire ipotesi e non soluzioni, esplora il processo, lo scandisce e lo seziona predisponendolo ad un’ulteriore analisi critica, con l’intento di generare riflessioni in un momento storico in cui la moda si ridefinisce e computa la società contemporanea. In occasione dell’inaugurazione della mostra Domus ha intervistato la critica e curatrice Maria Luisa Frisa per comprendere i retroscena di una moda inclusiva.
Memos presenta molteplici oggetti di diversa provenienza storica, com’è stata organizzata la raccolta degli articoli esposti in mostra?
È stata complessa poiché ogni abito e ogni oggetto esposto ha un grande valore.
Da parte dei musei e delle istituzioni coinvolte c’è stata una totale cooperazione e disponibilità. Ciò significa che quando si crea qualcosa di bello ci si muove in piena sintonia. A noi interessava la centralità dell’abito e soprattutto mettere in scena gli atteggiamenti della moda al fine di restituire un’idea.
Questa non è una mostra che chiude ma una mostra che apre; una mostra che invita ad andare oltre.
Alla base del progetto c’è l’ispirazione delle Lezioni Americane di Calvino. In che modo un’opera letteraria è stata tradotta in una mostra sulla moda?
Non è stato il metodo calviniano ad essere stato tradotto letteralmente, bensì la capacità di generare domande; la creazione stessa del Memos, dell’appunto, dello scarabocchio. Quali sono le permanenze del secolo e le qualità? Quali sono i valori della moda dell’ultimo millennio? Quali i paradigmi progettuali? Più passa il tempo, più si nota un diversificazione di riflessione sempre più simile alle necessità degli artisti. Virgil Abloh ad esempio teorizza la scorciatoia, lui stesso asserisce che basta cambiare il 3 per cento di un oggetto per farlo diventare unico nella sua diversità. Memos si concentra sul come si stia ampliando il territorio espressivo.
Chi rappresenta meglio la visione della moda negli ultimi 20 anni?
Non posso identificarne uno, sono molti, con una forte identità e un estro “difficile”.
Tra i tanti c’è Maria Grazia Chiuri che interroga provocatoriamente il senso del vestire e delle regole dell’alta moda, ponendo l’accento sulla costruzione del femminile, ricordando così l’importanza di interrogarsi sulla sua definizione prima di rivestirla.
Anche Alessandro Michele esplicita bene il rapporto con il corpo che scompare sotto l’abito; mette in scena un corpo fluido che si dichiara all’esterno anche con l’idea di creare un abito con sopra ricamati utero e ovaie, un’azione attuata in un periodo storico dove i diritti femminili vengono rimessi in discussione; inneggia alla femminilità. In questo senso il gesto dell’autore ha un valore, così si riafferma la qualità della comunica- zione attraverso l’opera. Memos è una mostra che affronta apertamente il tema dell’inclusività trattando di personaggi che spostano la moda in una dimensione più ampia, una moda che esplode e cambia i paradigmi della progettazione. Una moda che non vuole ereditare un’unica storia ma si evolve.
Milano è Moda e Design, quali sono secondo lei le differenze tra questi due mondi apparentemente molto simili l’uno con l’altro?
Moda e design sono due sistemi complementari che si guardano le spalle a vicenda e convivono. La moda ha rituali diversi da quelli del design, ha influenzato il design. Moda non è solo creatività, ma soprattutto comunicazione, cultura e business. Probabilmente rispetto al design la moda ha la capacità di arrivare prima alla società anche per una questione di consumi, il design ritengo sia più criptico, bisogna analizzarlo e comprenderlo, la moda invece è diventata alla portata di tutti.
La città di Milano negli ultimi vent’anni è cambiata in maniera esponenziale, come vede il cambiamento della metropoli rispetto alla moda?
Milano è la città della moda, qui confluiscono tutte le forze che agiscono su di essa.
La città si è trasformata com’è giusto che sia, il cambiamento fa parte del processo e lo stesso ha influenzato la moda che si è evoluta e continuerà a evolversi.
- Mostra:
- Memos. A proposito della moda in questo millennio.
- Dove:
- Museo Poldi Pezzoli
- Date di apertura:
- 21 febbraio - 4 maggio 2020
- A cura di :
- Maria Luisa Frisa
- Esposizione di :
- Judith Clark
- Indirizzo:
- Via Alessandro Manzoni, 12, 20121 Milano MI
