Che cosa ci resta di Oliviero Toscani

Odiato o amato, venerato o incompreso, Oliviero Toscani ha cambiato fotografia e comunicazione. Fu vera gloria? Ne abbiamo parlato con chi ci ha lavorato, chi l’ha conosciuto e chi l’ha studiato.

Scomparso il 14 gennaio 2025 a 82 anni a causa di una rara malattia che da qualche anno lo affliggeva, Oliviero Toscani nell’ultima intervista al Corriere della Sera, nell’agosto 2024 diceva: “Mi pento delle cose che non ho fatto, non di quelle che ho fatto. Potrei farmi incatenare, ma non perderei il senso di libertà. Ora sono come incatenato, ma sono libero di pensare come penso e di agire come penso dovrei”.

Oliviero Toascani, Foto: Leandro Emede via Wikimedia Commons

La sua voce controversa e originale lo ha portato a non restare mai nell’ombra e a distinguersi sempre, anche in un contesto come quello della Biennale di Venezia. Nel 1993 Pierre Restany giudica il suo lavoro come unica eccezione degna di nota insieme all’opera di Damien Hirst ad Aperto ‘93, sul numero 752 di Domus.

In un articolo del New York Times di un paio di anni prima, Toscani racconta come in fondo, la risposta alle sue provocazioni dicesse molto di più sul pubblico coinvolto che sulla sua voce autoriale: “Il signor Toscani riconosce che le sue campagne sono targhettizzate così: in Spagna – dice – che è un paese giovane, guardano il prete e la suora e sorridono di questa immagine. In Italia, dove ci sono ancora giornalisti vecchi, istituzioni piene di vecchi, sono tutti contrariati”. 

A/I 1991, “Neonata”. Credits: Oliviero Toscani

Denis Curti sulla legacy di Oliviero Toscani

“I miei ricordi su Oliviero sono molto legati a degli 'scazzi' perché lui era così, però anche poi di incredibile dolcezza subito dopo, ma non perché si fosse pentito, ma perché per lui la polemica era il sale della vita”. Critico fotografico, autore, gallerista e curatore, Denis Curti ha raccontato a Domus il suo rapporto spesso conflittuale con Toscani:

Per lui non c’erano vie di mezzo, o ci stavi dentro alle cose o non ci stavi, non ci puoi stare a metà. Questo per me è stato un insegnamento.

 Denis Curti 

Tra le discussioni più accese avute con il fotografo milanese, Curti ricorda sicuramente quella sul collezionismo: “Lui non ha mai voluto commercializzare le sue fotografie nel mercato, perché diceva che la fotografia è democratica e appartiene a tutti, e anche questa è una mistificazione, io non sono per niente d’accordo”. E tra gli aspetti che li vedevano d’accordo c’è l’importanza dell’archivio: “La cosa più importante per un fotografo è il suo archivio, e la capacità che questo fotografo deve avere nel riguardare l’archivio. In Oliviero c’è un invito continuo a riguardare nella propria memoria per andare sempre avanti, Oliviero aveva la capacità di memorizzare tutto”.  

P/E 1992, “AIDS – David Kirby”. Concept: Oliviero Toscani, Credits: Thérèse Frare

E dal discorso dell’archivio a quello dell’autorialità come concetto ampio, legato alla genialità dell’idea: “In molti dei suoi lavori, come in 'Cacas' per esempio”, ricorda ancora Curti, “le foto le aveva fatte Mariarosa [Marirosa Toscani Ballo, sorella di Oliviero ndr] mica lui. E quindi da questo punto di vista quello che lui lascia è una legacy veramente importante: non è così fondamentale scattare la fotografia, perché alcune delle più grandi campagne di Oliviero erano fatte non con foto sue. A ribadire che le foto si fanno con la testa”. 

Toscani visto da Pasolini

Nato il 28 febbraio 1942 a Milano, figlio d’arte di Fedele Toscani, fotoreporter del Corriere della Sera, Toscani inizia la sua carriera strepitosa con campagne pubblicitarie come quella dei jeans Jesus e del “Non avrai altro jeans all’infuori di me” – commentata anche da Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera come “un’eccezione nel canone fisso dello slogan". Cresce poi nella New York di Andy Warhol degli anni Settanta, fino al sodalizio creativo con Luciano Benetton che tra gli anni Ottanta e Novanta gli ha dato modo di compiere una rivoluzione significativa tanto nel mondo della fotografia, quanto in quello della comunicazione e della pubblicità, muovendosi sul confine tra discipline, in maniera per qualcuno controversa.

A/I 1991, “ Angelo e diavolo”. Credits: Oliviero Toscani

Nel libro “Moriremo Eleganti. Conversazione con Luca Sommi” (Aliberti editore, 2012), Toscani afferma “io non faccio pubblicità, metto semplicemente nelle mie foto ciò che penso si debba vedere. Che può essere lieve e commovente, atroce e disgustoso”. La provocazione come modalità di interazione positiva, indipendentemente dal tipo di reazione, è la chiave di volta del suo lavoro. “Se non c’è polemica – diceva il fotografo sempre a Sommi – significa che non c’è interesse”.

L’eredità di Toscani

Una caratteristica fondamentale di Toscani è stata sì quella di avere sempre portato avanti collaborazioni con numerosi marchi del lusso e importanti riviste internazionali, ma non fermandosi mai alla costruzione di un lavoro fine a sé stesso, sempre contemplando anche tutto ciò che era il contesto in cui la sua pratica andava sviluppandosi, con l’idea di creare dibattito ma anche occasioni di crescita, partecipazione, di trasmissione della sua visione ed esperienza, come nel progetto di Fabrica. Fondata nel 1993 vicino a Treviso, sempre insieme al mecenate Benetton, Fabrica è una delle grandi vittorie di Toscani, un centro di ricerca sulla comunicazione, fucina di talenti internazionali, ispirato al concetto di studio e scambio interdisciplinare della Factory warholiana, raccontata da Loredana Mascheroni in un esteso articolo sul numero 815 di Domus datato maggio 1999 e poi più recentemente in occasione dei trent’anni.

Un articolo dedicato a Fabrica su Domus 815 (maggio 1999) con le foto di Ramak Fazel.

Chiaramente, l’influenza di Oliviero Toscani ha superato largamente i confini dei progetti a lui direttamente legati, espandendosi fino alle nuove generazioni di fotografi: “Osare” è la parola d’ordine che la fotografa di moda Zoe Natale Mannella, nata a Londra nel 1997, chiama in causa pensando al lavoro di Toscani:

Sicuramente uno dei primi nomi ad avermi attirato verso un certo modo di pensare il mio lavoro come fotografa di moda. Mi ha insegnato a osare, a spingere oltre l’asticella del trendy. Una tensione continua verso il sistema.

Zoe Natale Mannella

E se la moda è – per dirla con le parole del fotografo milanese – “quel sistema perverso che ci fa perdere il senso del ridicolo e quello della proporzione” e in cui in qualche modo ottenere consensi è parte del lavoro di un fotografo, Toscani ha fatto scuola proprio in questo, nell’andare oltre: oltre il prodotto, oltre l’eccessiva elaborazione, oltre l’eccesso nella costruzione dell’immagine.

Zoe Natale Mannella aggiunge: “Ogni foto di quegli anni aveva un significato molto più profondo e politico, dirompente, veicolato verso pochi elementi e una luce semplice. Foto comprensibili a tutti. Foto che vivevano per sé, iconiche, non sottomesse al dominio dei prodotti”. E aggiunge “Trovo che la sua eredità sia essenziale per ricordarci di esporci e dire delle cose, anche se scomode e non ‘alla moda’”.

A/I1995, “Occhi - FABRICA” Credits: Oliviero Toscani

Gabriele Micalizzi fotografo e fotoreporter di guerra, nonché collaboratore di Domus, conosce Oliviero Toscani in occasione del talent Masters of Photography, che vince nel 2016. “Il reportage non gli piaceva, ma poi col tempo si è un po’ innamorato di me, mi ha anche dato del genio una volta”. Ovviamente, Micalizzi e Toscani hanno anche discusso durante il programma, “e mi ha detto ‘i fotografi dovrebbero parlare di meno’ mentre spiegavo una foto”. La volta dopo, ricorda Micalizzi, si è presentato con un cartello in mano con scritto ‘no comment’, “e lui si è messo a ridere”.

Rispetto ai fotografi di oggi, dice Micalizzi, sicuramente Toscani ha avuto la fortuna di lavorare negli anni giusti, con persone illuminate che gli hanno dato carta bianca. 

L’eredità di Toscani nel nostro tempo riguarda la sua capacità di aver dato vita a una corrente italiana di fotografia, che è un po’ una corrente artistica, perché c’è un modo 'alla Toscani' di guardare il mondo. I fotografi spesso sono molto egoisti e non ridanno mai indietro niente alla fotografia, lui ci ha provato e ci è riuscito, con Fabrica, con Colors...

Gabriele Micalizzi

Sam Baron: rendere tridimensionale il pensiero di Toscani

Classe 1976, Sam Baron è un designer francese con una brillante carriera internazionale, e dal 2007 al 2017 è stato Head of Design di Fabrica, dove è entrato in contatto con il metodo di lavoro di Olivero Toscani, fatto di una ricerca profonda di idee ambiziose e coraggiose, realizzate alla perfezione. 

Quello che posso dire è che in una certa maniera lui era sempre presente anche se all’inizio del mio passaggio a Fabrica lui non c’era già più. Quel posto aveva comunque assorbito il suo pensiero, è come se avesse lasciato delle regole, tra le quali quella di essere molto esigenti nel proprio lavoro.

Sam Baron

L’esempio che Baron fa a Domus di un lavoro che racconti come il metodo di Toscani sia entrato nel processo creativo dei progetti di Fabrica, è la mostra “Hot and Cold” realizzata da Fabrica nel Fuori Salone 2014 per promuovere il nuovo condizionatore Daikin: installazioni artistiche che hanno reso poetico e coinvolgente uno degli elettrodomestici meno visivamente appaganti presenti nelle abitazioni contemporanee.

E poi sulla rivista Colors, fondata da Toscani insieme a Tibor Kalman, di cui Baron ha curato il #79 sul tema del collezionismo, e che ha ottenuto il Cubo d’argento all’Art Directors Club 90th Annual Award (2011): “Questa rivista secondo me aveva la capacità di creare una cultura fuori dai canoni, dal mainstream, per aprire nuove visioni, creare spazio per pensieri più allargati. Qui la sua visione prendeva una forma più ‘culturale’, perché la rivista è un oggetto che scegli di leggere e guardare, non ti capita per caso come un cartellone pubblicitario per strada”.

Le copertine della rivista Colors

Alla domanda su quale sia l’eredità di Toscani sia nel mondo della comunicazione che della fotografia risponde: “Alle nuove generazioni secondo me ha lasciato l’idea che le cose non si fanno in maniera gratuita, una foto deve dire qualcosa, cercare qualcosa, interrogare, far riflettere”.

P/E 1992, “Container”. Concept: Oliviero Toscani, Credits: Patrick Robert/Sygma

Oliviero Toscani pensava alla fotografia – come ci ha detto Denis Curti – come qualcosa che “ti sentire addosso, o ce l’hai o non ce l’hai, la devi dominare e deve essere come un virus, ti deve appartenere, dev’essere il motivo per cui ti svegli al mattino”, e questa visione totalizzante è il manifesto di una dedizione assoluta, in cui la fotografia non è solo un mestiere o un'arte, ma un'estensione dell'essere stesso, una passione che invade ogni aspetto della vita.

Immagine di apertura: A/I 1990, “Coperta” Credits: Oliviero Toscani

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