Quando Dan Graham installò un padiglione nel cuore della Como razionalista

È scomparso l’artista e architetto statunitense, uno tra i principali esponenti delle neoavanguardie del dopoguerra. Lo ricordiamo riproponendo un articolo pubblicato su Domus 873, in cui parla dell'installazione Half Square/Half Crazy.

Questo articolo è apparso originariamente su Domus 873, settembre 2004.

La cattura dei riflessi

Frasi raccolte seguendo Dan Graham mentre gironzola attorno alla sua installazione.

… Circa 26 anni fa, quando abitavo a Berlino con una borsa di studio DAD, lessi su Artforum un articolo scritto da Peter Eisenman su Terragni e decisi di venire a Como per visitarla. A quei tempi quasi nessuno sapeva chi fosse Terragni. Riuscii ad entrare nell’asilo perché allora non interessava a nessuno accedervi. L’ultima volta che ci sono stato, otto anni fa, non permettevano più a nessuno di visitarlo…

... Qualche anno fa ho anche visitato di nuovo la Casa Rustici, a Milano. Comunque, quello che più mi intriga tra i progetti di Terragni è il Danteum – un progetto tutto incentrato sul rapporto con la luce, il riflesso e il vetro. È così anche la Casa Tugendhat di Mies: tutto ruota intorno al riflesso.

Domus n. 873, settembre 2004
Domus n. 873, settembre 2004

… Quello che non riesco a vedere in Terragni è il paesaggio, Mies invece lo considera molto. Il Danteum è un po’ come il padiglione di Barcellona, che in realtà era un’allegoria. Mi interessa molto l’uso dell’allegoria nell’ambito del razionalismo e anche l’uso della curva. Mies van der Rohe usa molto la curva nella sua Casa Tugendhat, e anche nella Casa del Fascio ci sono diversi elementi circolari. Il mio lavoro degli ultimi dieci anni è tutto incentrato sulle curve, quindi volevo realizzarne alcune anche in una situazione fondamentalmente dominata dalle linee rette come questa. Ogni curva è un giro a 360° del corpo, e, una volta estesa, arriva fino al cielo, quindi queste curve si rapportano in parte a Como e in parte alla Casa del Fascio…

Mi interessa molto la concezione del padiglione perché è una via di mezzo tra l’architettura e l’arte.

… Inizialmente stavo progettando qualcosa da posizionare all’esterno, vicino alla chiesa, ma poi Massimo Minini mi ha detto che intendevano installare il padiglione nella piazza. Ho fatto uno schizzo veloce… ed ecco fatto…

… I bambini adorano questo padiglione perché è una specie di casa degli specchi – possono specchiarsi e vedersi più grandi, mentre le signore preferiscono l’interno, che è convesso…

Domus n. 873, settembre 2004
Domus n. 873, settembre 2004

… Nel progetto “Alteration to a Suburban House” avevo sostituito la facciata di una villetta unifamiliare con un pannello di vetro, abbinando così la Glass House di Mies van der Rohe con quello che ai tempi era il suo nemico giurato, cioè Robert Venturi. Ciò che si riflette sulla facciata di vetro è quello che c’è dall’altra parte della strada, lo spazio all’esterno o il marciapiede. Per chi è alla guida, l’effetto è quello di un cartellone pubblicitario – come quando Venturi parla dei tabelloni con dietro degli alloggi. Quindi il progetto cercava di riunire le due cose. Recentemente, Venturi si è espresso positivamente su Mies, e ha ammesso di aver avuto torto. Secondo me il fatto è che a Venturi non piace quando Mies si allinea con una corrente. Venturi è contrario ad ogni scuola di pensiero. Si è schierato contro il Modernismo e quando Mies ha abbracciato l’International Style se ne è disinteressato…

… Sono stato molto influenzato anche dai primi lavori di Michael Graves, in particolare la Benacerraf House (1969). Gli inizi di Graves furono grandiosi, prima che si lasciasse andare. Sventrò una casa esistente e replicò la struttura architettonica in un patio. E sapete chi l’ha copiato? Frank Gehry. So che Gehry frequenta gli artisti per trovare nuove idee, che ama molto l’arte. Ho visto il suo nuovo Walt Disney Concert Hall, si è ispirato a due persone: Frank Stella e Richard Serra. Il problema di questi architetti è che vogliono tutti essere artisti. E copiano. Herzog & de Meuron si ispirano a me, anche Rem Koolhaas si ispira a me… So che Steven Holl ama Alvar Aalto e cerca di rifarlo; ma non ci riesce… Sejima invece si ispira a Herzog & de Meuron.

… Io mi ispiro a Hasegawa e Shinohara. È da loro che ho preso l’uso dell’acciaio inossidabile; per essere precisi, da Hasegawa, il quale, a sua volta, l’aveva preso da Shinohara. Adoro Hasegawa, e anche Saarinen, per il loro senso dell’umorismo. Oltre ad Hasegawa, mi piace Fumiko Maki. Ha fatto un hotel splendido a Brno. Comunque il mio architetto europeo preferito – è molto anziano – è Sverre Fehn. Lo preferisco per molti aspetti ad Aalto, perché lavora con la natura. Ed è anche una persona molto gentile. Insegnava presso l’Architectural Association e faceva lezioni bellissime…

Domus n. 873, settembre 2004
Domus n. 873, settembre 2004

… Avevo diversi amici a Los Angeles che erano molto coinvolti nell’architettura giapponese. Tutta Los Angeles adora il Giappone. Quindi ci sono andato. Avevo un amico, un giovane artista, che stava lavorando nel lighting design. Mi sono ritrovato coinvolto nell’architettura, facevamo parte dello stesso giro. Mi ha stupito la Centennial Hall di Shinohara. Tutto fa parte di un approccio turistico. Io stesso sono un turista dell’architettura…

… Mi interessa molto la concezione del padiglione perché è una via di mezzo tra l’architettura e l’arte. Anche se non l’ho mai visto, penso che il Sonsbeek Pavilion di Rietveld rappresenti un buon esempio, perché funge da riparo a piccole opere d’arte. È una costruzione isolata e aperta, quindi è possibile guardarci attraverso. Si tratta di una struttura a sé stante, una via di mezzo tra arte e architettura, perché definisce le relazioni che legano le piccole opere che ospita al suo interno…

Mi interessa molto l’uso dell’allegoria nell’ambito del razionalismo e anche l’uso della curva.

… Quando realizzai l’opera per la Biennale di Venezia (Public Space/Two Audiences), l’idea era di creare qualcosa che per il pubblico avesse l’aspetto formale di una vetrina. Ciò che era importante era come venivi percepito una volta che ci entravi dentro. È facile capire che la Biennale altro non è che la vetrina di ciascun paese. Normalmente sono le cose ad essere messe in mostra, in questo caso era la gente ad essere in mostra e il processo di percezione era sovvertito… So che la gente in Italia gesti-cola molto se non riesce a sentirsi, così l’effetto – anche qui – è altamente teatrale. È il pubblico stesso ad essere protagonista del proprio teatro…

Domus n. 873, settembre 2004
Domus n. 873, settembre 2004

… In termini di funzione architettonica, l’opera che ho fatto per la Hayward Gallery era un ambulatorio per bambini. Ciò che è interessante in quel progetto è che l’acciaio era austriaco, mentre il vetro era stato fatto in Belgio e lavorato a Barcellona. Il progetto Café Bravo era un caffè, mentre il padiglione della Dia Foundation era al tempo stesso un caffè, uno spazio per spettacoli e una videoteca, quindi avevano funzioni semi-architettoniche. Erano spazi ibridi di funzionalità e non-funzionalità. È qualcosa che ho preso dal Costruttivismo russo…

… Di solito, per seguire i lavori chiamo giovani architetti che hanno lavorato in grandi compagnie. Ma ho scelto personalmente il vetro.

… Io penso che il concetto di padiglione si rifaccia al mondo dei giardini. Negli anni Ottanta ero molto coinvolto nell’architettura dei giardini. In seguito mi sono appassionato alla storia dei giardini e ho capito che Daniel Buren aveva torto riguardo ai musei: i primi musei furono all’interno dei giardini rinascimentali. Il rapporto tra le statue e i padiglioni era allegorico. Ho cercato di superare Buren, perché penso che abbia una visione semplicistica e, per questo, oggi sono molto più interessato a Flavin…

Dan Graham (1942 – 2022) è stato tra i principali esponenti delle neoavanguardie del dopoguerra. Il suo percorso artistico prende avvio con una serie di lavori concettuali (1965-66), basati sull’uso di testi e fotografie. Le successive esperienze di performance, legate a indagini psicologiche e interpersonali a partire da sperimentazioni operate con il proprio corpo, lo hanno portato a maturare la ricerca sui padiglioni dal 1980 in poi.

Immagine in apertura: Dan Graham. Courtesy Monica Boirar

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