Il paradiso non esiste e forse non è mai esistito

That which is to come is just a promise (Quello che verrà è solo una promessa) è l’ultimo lavoro di Flatform, duo di artisti che da dieci anni produce video e film.

La promessa del titolo si svolge nel film ed è quella di una probabile sparizione di Tuvalu, microscopico stato in mezzo all’Oceano Pacifico, a causa del cambiamento climatico. Il piccolo Stato, appena più popoloso dello Stato Vaticano, è un arcipelago composto da nove isole e atolli che si erge sul mare per un’altitudine massima di 4,5 metri.

Il film, come nei precedenti lavori di Flatform, ha un ritmo tutto sommato lento e una narrazione senza parole. L’assenza di dialogo e un andamento per “quadri” sono il portato dell’attitudine da artisti del duo, nonostante si tratti di un – quasi – lungo piano sequenza. Altra caratteristica rilevante è quella del coinvolgimento delle persone che abitano i luoghi soggetto del loro lavoro. I loro attori non sono professionisti ma agiscono come performer: qui le azioni sono ridotte al minimo, attengono alla vita quotidiana che sta tra la condizione della terraferma asciutta e quella dell’acqua salata che filtra da sotto e delle maree sempre più alte. Sospesi tra una condizione e l’altra le donne e gli uomini che abitano questo arcipelago vivono un presente assurdo.

Sebbene il cinema sia per natura frutto di un lavoro collettivo, il fatto di coinvolgere le persone che abitano un luogo appartiene all’ambito dell’Arte pubblica nel senso più pieno del termine. Il lavoro di Flatform si trova perciò tra le arti, tra cinema e arte visiva, ed è solo con questa consapevolezza che diventa intellegibile – non a caso la prima italiana sarà a novembre nell’ambito del festival “Lo schermo dell’arte” di Firenze.

Ma Funafuti, l’atollo dove è stato girato il film, è già tutt’altro che un paradiso. I suoi abitanti non sono certamente responsabili del cambiamento climatico, ma sono stati profondamente cambiati dalla modernità. Un certo squallore emerge dalle immagini dell’insediamento umano: non più le capanne della Polinesia di Gauguin e nemmeno quelle delle pubblicità da turismo esotico dei “paradisi” con l’acqua azzurra e le palme ma case di mattoni e lamiera, l’immancabile bottiglia di plastica che galleggia sull’acqua, un certo numero di obesi e una sostanziale povertà accentuata dalla sempre maggiore difficoltà di coltivare dovuta all’acqua salata che intride la terra. E quindi la dipendenza da cibo importato, che richiede di essere trasportato, stoccato e che è ben diverso da quello del “paradiso”.

Flatform, That which is to come is just a promise, frame
Flatform, That which is to come is just a promise, frame

Ci sono, nel film, antichi canti che sono le parole di un’altra storia, quella di tempi e modi di vivere diversi, pochi secondi a metà e poi a concludere. Il canto è la rivendicazione della storia di questo piccolo popolo, del suo abitare queste terre, di una vicenda che avrà fine per sempre dopo migliaia di anni. I tuvalesi già lo sanno ed emigrano sempre più numerosi. Il mare si riprenderà queste spruzzate di terra e gli uomini andranno altrove. Il punto è che potremmo essere miliardi a dover andare altrove e non so se la mano gentile che Flatform ha usato per raccontare questa storia si riuscirà ad usare ancora.

Autore:
Flatform
Titolo:
That which is to come is just a promise (Quello che verrà è solo una promessa)
Anno:
2019
Dove:
Festival di Cannes, Quinzaine des Réalisateurs
Produzione:
Dugong films, in collaborazione con Rai Cinema, Seriousfilm, Blueskin Films
Progetto grafico:
Mauro Panzeri

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