Elisabetta Benassi. Sottrarsi al tempo della produzione

L’ultimo lavoro dell’artista proseguirà il suo percorso espositivo a MOSTYN, Wales UK e troverà infine la sua sede definitiva presso Crypta Balbi a Roma.

Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Installation view at Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Realized with the support of the Italian Council, 2018 ph. Priscilla Benedetti

In occasione della sua ultima installazione a Roma, EMPIRE, visibile al Museo Nazionale Romano, fino al primo giorno di settembre, Elisabetta Benassi (1966, Roma) rievoca connessioni e tracce fra i lavori più recenti, sospesi nel futuro.

La tua ultima personale a Parigi ha come titolo The Sovereign Individual. Quali spunti di riflessione, quali note speculative, quali immaginari ti ha dato modo di anticipare o di approfondire nei confronti di EMPIRE (2019)?
Elisabetta Benassi:
Per parlare di EMPIRE, prima ancora che sulla mostra di Parigi del 2018 dovrei prima ricordare quella a Reggio Emilia dell’anno precedente, presso la Collezione Maramotti. Per me le mostre sono importanti più delle singole opere, mi permettono di articolare un’idea in modo più complesso. L’intera esposizione di Reggio Emilia prendeva le mosse dalla polemica nata negli anni ’70 in seguito all’acquisto da parte della Tate Modern di un frammento di un’installazione dell’artista americano Carl Andre intitolata Equivalent e si articolava attorno al luogo di esposizione: la Collezione Maramotti, prima fabbrica della casa di moda Max Mara. Tra le opere che ho realizzato per quell’occasione c’era Infinity, in cui ho usato per la prima volta il mattone Empire.

Nel 1986 Carl Andre aveva realizzato un’opera intitolata Manifest Destiny in cui aveva sovrapposto in equilibrio precario otto mattoni che recavano il marchio di fabbrica di una fornace americana oggi scomparsa, Empire, appunto. In Infinity l’idea era di proseguire quella colonna fino ad arrivare al soffitto, dove un paio di grossi guanti da lavoro gialli la “bloccava” in posizione e accentuava ancor di più il suo senso di precarietà. Il titolo era un ovvio omaggio a Brancusi e di nuovo a Carl Andre che da Brancusi fu molto infuenzato all’inizio della sua carriera. Il mattone, elemento costruttivo di Infinity e di Zeitnot (in questo caso privo della scritta Empire), evoca per me l’era industriale e il tramonto dell’idea di progresso ed è  anche un modo per porre altre domande. In Zeitnot i mattoni compongono forme difficili da descrivere, bunker, o anche costruzioni fantastiche e rifugi.

The Sovereign Individual prende il titolo dal libro di uno dei più accaniti neoliberisti inglese, ardente supporter della Brexit, Jacob Rees-Mogg, che descrive un mondo in cui ogni idea di comunità è sparita l’“individuo sovrano” regna in un mondo ipercompetitivo. I tre grandi tronchi-rifugio in gesso installati a Parigi, dei gusci abitabili muniti di porte, sono appunto precari rifugi per gli ultimi “individui sovrani”, ormai alle prese con un possibile futuro apocalittico.

Nei tuoi progetti recenti, potresti elencare tre soluzioni immaginarie che costituiscono la tua più chiara forma di resistenza, di equilibrio nei confronti di due dimensioni del caos come la salvezza individuale e la catastrofe collettiva?
Direi che ce ne sono almeno due: una sono appunto i rifugi individuali, l’altra ha a che fare col tempo e in particolare con la possibilità immaginaria di sottrarsi al tempo capitalistico della produzione, un  letargo visto come fuga e sospensione temporale. Ma queste sono solo soluzioni solo in senso ironico, sono modi per evadere il problema. Non mi interessa fornire soluzioni, ma far intravedere il vuoto che ci circonda, far sentire l’urgenza di trovare risposte non illusorie, non sentimentali.

Da ViceVersa (2013), a The Dry Salvages (2013), a Equivalenti (2014), ma anche attraverso It Starts with the Firing (2017), Shadow Work (2017) e Zeitnot (2017) quale accezione assume singolarmente il simbolo del mattone e che cosa è diventato, quale stilema rappresenta in EMPIRE (2019)?
La scelta del mattone non risponde a un criterio di stile o di semplice preferenza formale. Lo uso perché è un’unità costruttiva di base, essenziale ma anche primordiale, alla quale non si può sottrarre nulla senza snaturarne la funzione. Un po’ come l’atomo, è elementare ma estremamente potente, fragile ma anche duraturo nel momento in cui si unisce ad altri mattoni. In effetti, se si tolgono delle unità nei posti ‘sbagliati’ l’intera struttura crolla, e si torna al caos e all’entropia come condizioni che non possono essere espulse dalla storia. Volendo, si può parlare anche di una metafora della società, dell’individuo nella società, della storia individuale come di quella universale.

Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Installazione al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Realizzata grazie al finanziamento dell’Italian Council, 2018
Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Installazione al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps

Ogni volta che hai utilizzato il mattone, come unità minima di strutturazione, di costruzione di uno spazio, all’interno di uno spazio più ampio e connotato dal tempo, lo hai fatto anche per insinuare il dubbio di una fragilità di quel che può essere edificato. E’ così anche per EMPIRE (2019)?
Sì, mi piaceva proprio per questo, usarlo a secco, senza malta, in equilibrio con la sola gravità e dunque con la possibilità di far tornare la struttura costruita alla singola unità. In quanto unità di base di ogni muro il mattone è intrinsecamente legato alla misura della mano del bricklayer, di colui che mette in posa i mattoni. La mano è insomma l’unità di misura tanto dell’edificio che del lavoro necessario a edificarlo ed è anche lo “strumento” necessario alla sua creazione dalla creta: tutti i mattoni che uso sono realizzati a mano secondo la tecnica artigianale tradizionale.

Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Installazione al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Realizzata grazie al finanziamento dell’Italian Council, 2018
Vsita dall’alto di EMPIRE, di Elisabetta Benassi, Installazione nel cortile del Museo Nazionale Romano

Da dove nasce l’idea di questa nuova installazione e quale dialogo intrattiene, sviluppa, valorizza con il Museo Nazionale Romano?
La relazione con il Museo Nazionale Romano e l’arte antica mi consente di misurarmi con l’idea di un tempo molto più vasto, stratificato e profondo. Forse anche di dar forma a un progetto più ambizioso, ma senza dover fare per questo qualcosa di monumentale o di intervenire in modo cosmetico. Le opere sono dotate di un tempo proprio, non lineare, come ha scritto Gabriele Guercio le opere d’arte sono cesure che spezzano e curvano la freccia del tempo.

Mi interessava dunque il contesto, Roma, la sfida di potermi misurare con tutto ciò che la mia città rappresenta, nel bene e nel male. Oggi i mattoni sono ancora più politici perché l’impero che abbiamo di fronte non più è solo quello tradizionale, ma una forma ancora più vasta, immateriale, pervasiva, di dominio sul mondo. La distruzione del welfare, la crescita di povertà e disuguaglianza, la disoccupazione, le guerre, creano milioni di vittime e miliardi di sfruttati. I mattoni neri, ferrigni, di EMPIRE compongono forme semplici, temporanee, aggressive; creano un corpo a corpo con le sculture bianche del Museo e con lo spettatore. Sembrano basi per sostenere giganti, sono solide ma possono ugualmente cadere. 

Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Installazione al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Realizzata grazie al finanziamento dell’Italian Council, 2018
Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, Palazzo Altemps, fino all’uno settembre, Roma

Il termine EMPIRE – chiaro riferimento ad Andre - a quali paesaggi storici e politici fa riferimento?
Il termine possiede come ovvio moltissime risonanze storiche, politiche, economiche, militari, sociali, per nulla limitate all’antichità, e sulla cui natura, a partire dalle riproposizioni colonialiste, fasciste o da quelle, ancora più spietate, dell’imperialismo contemporaneo, sono state elaborate riflessioni artistiche di grande importanza.

Penso che passato e presente vadano visti in modo non lineare, ma dialettico, e dunque ho cercato di immaginare come tra mille anni sarà vista un’opera fatta di mattoni neri in un edificio di mattoni romani. Nessuno penserà al marchio di fabbrica della fornace statunitense, all’opera di Carl Andre e neppure alla mia sicuramente. Sarà considerata una testimonianza della nostra epoca? Sarà conservata o giudicata irrilevante? Con quale impero del futuro dialogherà?

Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, ph. Ollie Hammick
Elisabetta Benassi, EMPIRE, 2018-19, foto Ollie Hammick

Come si inserisce all’interno del programma internazionale del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali?
EMPIRE è un modo per ripensare in forma problematica alla relazione tra antichità ed epoca contemporanea. Ho cercato di rendere difficile la vita al classico che crediamo di conoscere a memoria, di restituirlo come un nodo da ripensare e come una forma di attrito e resistenza ai presunti automatismi del nostro presente.

Per quale motivo il numero di 6000 mattoni è stato esattamente scelto per accompagnare EMPIRE (2019)?
Il peso di seimila mattoni corrisponde alla portata massima di un autoarticolato, circa venticinque tonnellate. E poi seimila era il numero di soldati che componevamo una legione romana.

A tuo modo di vedere, EMPIRE (2019) potrebbe contenere in sé una sorta di ipostatizzazione, una solidificazione di un gesto performativo che tu, idealmente, hai approfondito in M’Fumu (2015), hai perpetrato in Corsaro (2014) e hai affidato al regno animale in Nevermore (2008)?
In effetti si potrebbe considerarlo un’azione, come la costruzione di una barricata, o di un rifugio, caratteristica data anche dalla sua natura temporanea e site specific. Non è chiaro nelle quattro diverse configurazioni dell’opera quale si stia costruendo o invece smantellando. Proprio questo elemento contribuisce al suo aspetto performativo.

Potresti esprimere un pensiero che accompagni EMPIRE (2019)?
Più che un pensiero, l’augurio che chi lo vedrà realizzato si soffermi a riflettere su tutti i suoi aspetti, anche quelli non evidenti.

Titolo del percorso:
Elisabetta Benassi. EMPIRE
Date di apertura:
Dal 21 giugno all’1 settembre, 2019
Con il sostegno di:
Italian Council Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane (DGAAP) del Ministero per i beni e le attività culturali, guidata da Federica Galloni.
Sede:
Museo Nazionale Romano. Palazzo Altemps
Indirizzo:
via S. Apollinare, 8 00186, Roma

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