BienNolo, la prima biennale di quartiere a Milano

Si è conclusa la prima edizione della biennale d’arte BienNolo, una libera iniziativa fuori dagli schemi nel vivace quartiere “a nord di Loreto” con interventi, tra gli altri, di Adrian Paci, Stefano Arienti e Alessandro Nassiri.

Biennolo, Installation view dell'opera di Adrian Paci, foto di F. Stipari

Ciclicamente nelle città in crescita accade che l’attenzione venga di volta in volta spostata da un quartiere all’altro, modificandone la percezione e le sorti. Tra i più recenti casi milanesi si ricordano, seppur molto diversi, quelli dell’Isola e di Lambrate. Ora è la volta di NoLo (area a North of Loreto), concetto geografico e sociale nato su Facebook come gruppo chiuso di social district, che si è sviluppato fino a diventare una realtà organizzata (con la sua radio e le sue associazioni) e ben nota anche oltreconfine. Così mentre nel quartiere, noto anche per il suo carattere multietnico, i prezzi degli immobili sono in ascesa e il processo di gentrificazione è in atto, sull’onda dell’entusiasmo e dell’energia positiva che si respira nella zona è arrivata anche la prima biennale locale da un’idea di Carlo Vanoni (attore e critico d’arte), che ha curato la prima edizione della BienNolo con ArtCityLab (associazione no profit fondata da Rossana Ciocca e Gianni Romano, che si occupa di pratiche artistiche nello spazio urbano) e Matteo Bergamini (direttore del magazine exibart).

Lo spazio scelto è quello dell’Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova, edificio dismesso, un tempo luogo in cui lo storico marchio di pasticceria meneghina produceva il dolce tipico della città. Questa sede in realtà non è del tutto nuova all’ambiente della creatività milanese (lo abbiamo già visto impiegato in occasione degli ultimi due Fuorisalone con il progetto Alcova) ma resta sempre suggestiva e il connubio con l’arte l’ha resa potentissima. Infatti la BienNolo, in barba al suo titolo “#eptacaidecafobia”, si è chiusa con l’annuncio di 8000 visitatori che, concentrati nell’arco di una decina di giorni, sono un numero record.

Biennolo, Installation view dell’opera di Carlo Dell’Acqua Foto F. Stipari
Biennolo, Installation view dell’opera di Carlo Dell’Acqua Foto F. Stipari

Oltre a questo cuore centrale in cui la mostra era concepita attraverso sette nuclei tematici, la BienNolo si è estesa (come era giusto che fosse) anche dentro al quartiere, coinvolgendone e “occupandone” alcuni luoghi attraverso pratiche relazionali come il banco di Ivana Spinelli nel Mercato Comunale di viale Monza, dove a essere scambiate non erano merci ma idee, oppure la Scuola di Santa Rosa di Francesco Lauretta e Luigi Presicce al Tranvai, un’accademia del disegno senza insegnanti e alla quale chiunque poteva prendere parte.

La BienNolo diventa forse anche l’occasione per una riflessione più ampia sull’arte in generale, che dimostra di avere una grande vivacità creativa quando ha l’opportunità di uscire dalla sua bolla ed è libera dai vincoli (non solo del mercato, ma anche, per esempio, allestitivi), questa manifestazione ha mostrato una vitalità che s’incontra raramente dentro al sistema, difficile trovarla negli spazi istituzionali e ancor di più nelle gallerie. Quasi certamente di questa energia positiva si sono nutriti anche i quasi quaranta artisti selezionati, per la maggior parte di stanza a Milano o in qualche modo attivi in città.

Biennolo, Installation view dell’opera di Loredana Longo, foto di F. Stipari
Biennolo, Installation view dell’opera di Loredana Longo. Foto F. Stipari

Tra loro c’erano per esempio Adrian Paci che con la sua intelligenza raffinata ci ha regalato un momento poetico indimenticabile, attraverso Il silenzio delle piante l’artista ha infatti delimitato con un perimetro metallico uno spazio che circondava e metaforicamente abbracciava un arbusto (una buddleja davidii anche detta “albero delle farfalle”) cresciuto spontaneamente in questo luogo abbandonato e attraverso un gesto essenziale ma per nulla banale, c’invitava solo a sederci per osservarlo. Stefano Arienti invece ha riproposto un’opera che non a caso aveva realizzato per la prima volta nel 1985 in un contesto molto simile a questo nel già citato quartiere Isola. Muffe è un intervento molto semplice attraverso il quale l’artista colora con dei gessetti quelle parti di muro che si sono ammuffite in giro per gli spazi dell’ex panettonificio. Alessandro Nassiri invece ha portato un lavoro che costringe a una riflessione dura e critica verso noi stessi: su dei vecchi specchi ha infatti inciso delle frasi inneggianti all’odio razziale riprese dai social network, affermazioni dentro alle quali eravamo costretti a specchiarci nell’atto stesso di leggerle. Non poteva mancare Francesco Bertelé che a ben ricordare è stato uno dei primi a lavorare nella zona, aprendo negli anni Duemila la Carrozzeria Margot in via Padova, un artist run space. Per questa occasione ha esposto un’opera suggestiva e drammatica allo stesso tempo. Apocalisse 21,1 era composta da quelle coperte isotermiche che siamo abituati a vedere nelle immagini dei notiziari sui salvataggi dei migranti, qui invece fluttuano a sospese sotto al soffitto ondeggiando sospinte dall’aria, esattamente come fa quel mare che “separa e insieme unisce due mondi”.

Biennolo, Installation view dell’opera di Francesco Bertelè, foto di F. Stipari
Biennolo, Installation view dell’opera di Francesco Bertelè. Foto F. Stipari
Titolo:
Biennolo #eptacaidecafobia
Curatori:
Carlo Vanoni, ArtCityLab (Rossana Ciocca e Gianni Romano, Matteo Bergamini
Date di apertura:
17-26 maggio 2019
Sede:
Ex laboratorio panettoni Cova, via Popoli Uniti 11, Milano

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