Dopo Londra apre a Milano l’ICA institute for Contemporary Art

A pochi passi dalla Fondazione Prada, apre in un’ex palazzina per uffici degli anni ’30 il nuovo centro non profit per l’arte contemporanea.

Ha aperto in zona Ripamonti l’ICA Milano Institute for Contemporary Art il nuovo centro non profit ispirato allo storico ICA di Londra e alla sua vocazione di ricerca in ambito culturale, artistico, storico e sociologico.

La sede è un’ex palazzina per uffici degli anni Trenta in via Orobia, a pochi passi dalla Fondazione Prada e da piazza Adriano Olivetti da poco inaugurata nell’ambito del nuovo Technological District Symbiosis, un’area che fa parte del progetto di sviluppo europeo Horizon 2020, uno dei volani del quartiere intorno allo scalo di Porta Romana.

I fondatori sono quattro collezionisti – Bruno Bolfo, Giancarlo Bonollo, Enea Righi e Lorenzo Sassoli de Bianchi –, che con Alberto Salvadori, curatore e direttore del progetto, hanno messo in campo una serie di iniziative all’insegna della partecipazione e della condivisione.

Mostre d’arte contemporanea ma non solo: l’arte è il punto di partenza per sviluppare attività didattiche e sociali, scambi internazionali con altre istituzioni, e soprattutto un dialogo con la cittadinanza.

Fra le promesse più interessanti la Scuola di Filosofia ICA Milano, guidata da Riccardo Venturi, che attraverso workshop e seminari cercherà di tracciare relazioni fra arte e filosofia contemporanea.

L’ICA Cinema offrirà proiezioni pubbliche e gratuite, e un programma di mostre tematiche e personali come la prossima dedicata a Hans Josephsohn.

Una speciale project room sarà invece dedicata a gallerie storiche come L’Ariete di Beatrice Monti della Corte che nei primi anni Sessanta ha portato a Milano artisti del calibro di Bob Rauschenberg e Francis Bacon.

Ryan Gander, 2000 year collaboration (The Prophet), 2018
Ryan Gander, 2000 year collaboration (The Prophet), 2018

A inaugurare il progetto la mostra “Apologia della Storia | The Historian’s Craft” che prende a prestito titolo e concetto di uno degli studi fondamentali dello storico Marc Bloch.

Curata da Salvadori con Luigi Fassi, la mostra distilla un’idea di storia fatta dagli uomini per gli uomini, una storia di eventi quotidiani e non solo di fatti epocali. Una storia che rintraccia nel quotidiano gli effetti delle grandi narrazioni, e che dal quotidiano riparte per costruire memoria collettiva e coscienza storica alla luce del passato.

Così in maniera quotidiana ma potente Ryan Gander fa declamare a un topolino robot che si vede appena sbucare dalla sua tana la scena finale de Il Grande Dittatore, caustica satira del Nazismo di Charly Chaplin. La voce del topo, che rimbomba nel grande spazio vuoto del piano terreno, è quella delicata e morbida di una bambina, la figlia dell’artista, che scandisce parole mostruose con gran naturalezza, come se tutto fosse normale.

James Lee Byars, The Conscience, 1985
James Lee Byars, The Conscience, 1985

Contro l’autorità costituita e le categorie rigide della visione e della comprensione il venezuelano Javier Tèllez proietta un film ispirato a Diderot in cui mostra sei persone non vedenti che a turno accarezzano un elefante e descrivono l’esperienza proponendo ulteriori possibilità di linguaggio e immaginazione.

La storia è fatta anche di questo. Piccoli dettagli che possono sembrare pittoreschi come una colonia di asini alle Isole Vergini (Looking for Donkeys della danese Nanna Debois Buhl) parlano invece di un violento passato colonialista che intacca persino natura e morfologia del luogo.

Intricati sistemi di tubi e rubinetti allestiti in una piazza di Tangeri dichiarano, nelle fotografie di Yto Barrada, la disponibilità di idraulici inoperanti e denuncia la grave carenza di lavoro che flagella il paese.

Haroon Gunn-Salie nell’opera History After Apartheid ci riporta alla dura realtà politica che semina terrore nel quotidiano. Le sue immagini di dispersione della folla con idranti di acqua colorata per marcare i manifestanti e poterli identificare e perseguitare riportano la brutalità di sistemi autoritari dal Sud Africa a ritroso nella storia.

Yto Barrada
Yto Barrada, Plumber Assemblage, 2014 e Untitled (felt circus flooring, Tangieri), 2013-2015

La mostra traccia una mappa geopolitica contemporanea fatta di eventi macroscopici e microscopici, scandisce luoghi, identità, guerre e dittature, e trova sempre un filo conduttore di resistenza e resilienze, e l’arte, come esperienza estetica e coscienza collettiva, è qui a raccontarlo, sottolineando punti di vista laterali, letture antagoniste, progetti e desideri che covano sotto la cenere.

In questo senso, nell’idea di una narrazione storica che non teme le differenze ma che, anzi, le considera un’opportunità, va letto anche il progetto AAA Art and Access for All dedicato a persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura per alimentare un processo urbano inclusivo basato sul dialogo.

Immagine di apertura: Javier Téllez, Letter on the Blind, For the Use of Those Who See, 2007

Titolo:
Apologia della storia – The historian’s craft
A cura di:
Alberto Salvadori
Museo:
ICA Milano
Date di apertura:
fino al 17 marzo 2019
Indirizzo:
via Orobia 26, Milano

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