Museion: dieci anni da tempio delle muse

Letizia Ragaglia, direttore del museo bolzanino, fa il punto sui suoi primi 10 anni a Museion, raccontando come è diventato un riferimento fra i musei italiani dedicati al contemporaneo.

Museion 10 anni: intervista a Letizia Ragaglia

A Bolzano, il 24 maggio 2008 inaugura la nuova sede di Museion. Un’enorme teca, un edificio progettato dallo studio d’architettura berlinese KSV Krüger Schuberth Vandreike. A qualche mese dall’apertura, Letizia Ragaglia ne diventa guida, rimanendo, a oggi, uno fra i direttori di musei più longevi. Dal centro di Bolzano, in 10 anni, il monumentale volume trasparente si è trasformato in un faro, un riferimento fra i musei italiani dedicati al contemporaneo. Com’è successo?

Dieci anni di continuità, tra “Sguardo periferico e corpo collettivo” e “Somatechnichs”. Com’è cambiato il corpus rappresentativo di Museion? 
Letizia Ragaglia: Più che di cambiamento parlerei di sviluppo di una prospettiva, di una visione comune a chi si è succeduto negli anni alla direzione di Museion. Pur nelle visioni soggettive, Museion si è contraddistinto per un programma sperimentale, mai blockbuster. Ciò che ha caratterizzato Museion è espresso bene in Somatechnics, che incrementa un percorso già tracciato nella storia espositiva dell’istituzione. Tematiche affini sono infatti già state affrontate in maniera molto peculiare da artisti come, per esempio, Danh Vo, Lili Reynaud Dewar e Invernomuto e nella mostra sulle opere fotografiche della collezione Museion. In questo senso, sono particolarmente felice che i dieci anni si “festeggino” con Somatechnics.

Museion ha sempre messo in luce artiste donne centrali, per l’arte contemporanea europea. Perché? 
L’elemento femminile va letto all’interno di un percorso tracciato in questi anni ovvero il filone della scultura in senso allargato: un linguaggio con un approccio più complesso rispetto alla superficie bidimensionale, al quadro, e che si è modificato in maniera radicale come nessun altro media del XX secolo. All’interno di questo percorso ho privilegiato, a pari merito, figure femminili. Penso a personalità che hanno scritto la storia dell’arte recente, e di cui abbiamo presentato mostre personali, spesso come primo museo italiano: Isa Genzken e Rosemarie Trockel, o artiste di generazioni successive, come Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Ceal Floyer Tatiana Trouvé, insieme alle altre da te citate. Detto ciò, alcune figure rientrano invece in un discorso più strettamente femminista, penso quindi alle personali di VALIE EXPORT e di Lili Reynaud Dewar. 

Quali caratteristiche hanno segnato il tuo pensiero, il tuo lavoro in questi 10 anni? 
Prendendo spunto dal progetto di Simone Frangi: uno dei riferimenti è il pensiero non-sistemico arcipelagico proposto da Édouard Glissant in contrapposizione al pensiero sistemico “continentale”. Guardando ai progetti di Museion, tutto ciò trova un’eco negli straniamenti e slittamenti percettivi e sensoriali creati da Cerith Wyn Evans e Tatiana Trouvé, nei corto circuiti mentali innescati da Ceal Floyer, nei tentativi di Pawel Althamer di farci uscire dalla prospettiva limitata di un io individuale e viaggiare metaforicamente nel tempo e nello spazio, o nelle riappropriazioni paradossali di spazi e oggetti da parte di Klara Lidén: sono solo alcuni degli esempi che fanno di Museion un luogo deputato a un pensiero più intuitivo che razionale, che apre a visioni poetiche e immaginarie.

Fra trasparenza e impressionabilità, quali sono le caratteristiche della vostra sede che ogni volta ti impressionano e ti sorprendono?
Non è un’architettura in cui è semplice lavorare, ma conoscendola si impara a far leva sui suoi punti di forza. Non nascondo che la scelta di esporre arti plastiche sia legata in piccola parte anche alle caratteristiche architettoniche della sede, che si presta all’esposizione di opere di scultura. La trasparenza dell’edificio permette di stimolare il dialogo con il contesto urbano e paesaggistico: molti artisti si sono confrontati con questo elemento. Penso a Cerith Wyn Evans, che con la grande installazione luminosa “E=C=L=I=P=S=E” si è relazionato, in maniera imponente e poetica, alla facciata trasparente del museo e quindi al paesaggio cittadino. O a Ceal Floyer, che ha “incorniciato” lo sguardo su quel paesaggio con l’opera Blick, 2014, (sguardo) incollando minuscoli talloncini autoadesivi, come quelli dei comuni album di fotografie, sugli angoli di ogni pannello della grande vetrata di Museion. Gli esempi potrebbero continuare con Judith Hopf, Korakrit Arunanondchai e molti altri. 

Potresti esprimere un augurio che, al di là dell'esperienza maturata, accompagni Museion nei prossimi 10 anni?
Negli ultimi anni abbiamo lavorato in particolare su un gruppo di giovani, con diversi progetti e con la membership– proprio da questo mese di maggio sono aperte le iscrizioni alla sezione giovani degli amici di Museion “Young Friends”. Lo stesso spirito anima lo slogan dei 10 anni: un Museion “ON”: attivo, pulsante, fluido, che si alimenta e rivitalizza di nuove energie. Inoltre, spero continui l’attenzione ai diversi pubblici e linguaggi anche attraverso la comunicazione. Abbiamo investito molte energie nella presenza online, sviluppando un livello di professionalità e coinvolgimento degli utenti molto alto. 

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