Sorprese e conferme alla 23ma edizione di miart

La fiera d’arte italiana punta sulla qualità e su una comunicazione smagliante. Oltre a importanti mostre e opening in tutta la città.

miart 2018. Photo Paolo Valentini

Arrivata alla 23ma edizione, miart si offre al pubblico come un caleidoscopio di racconti per mostrare il mercato dell’arte contemporanea. È forse così ormai per ogni evento dedicato a questa particolarissima produzione merceologica che sta perfettamente in bilico tra cultura e mercato ma, va notato, lo è in particolar modo per lo spirito che da qualche anno anima la fiera milanese. Alessandro Rabottini, alla sua seconda prova in qualità di direttore, definisce sempre meglio il suo ruolo: curatore artistico più che impresario e organizzatore di quel grande organismo che è sempre una fiera. Lo si evince da molte iniziative, che a vari livelli hanno portato dalla precedente direzione di Vincenzo DeBellis (di cui Rabottini fu collaboratore) a quella odierna. Gli sforzi sempre maggiori per coinvolgere istituzioni pubbliche e private e spazi no-profit e la scaletta di talk sempre più fitta palesano la volontà di fornire a miart uno sfondo adeguato per una manifestazione che, se da un lato per collocazione geografica e dimensioni, non può rivaleggiare con il flusso di capitali concorrenti, in altri contesti, può decisamente imporre una sua identità netta e culturalmente vivace che non ha nulla da invidiare a molte altre kermesse.

Se di arti visive stiamo parlando, negli ultimi anni chiunque abbia attraversato la città sa che miart si è regalata, dopo molti anni di sostanziale anonimato, un look convincente e anzi unico a livello mondiale; attraverso una delle più sofisticate e innovative immagini coordinate attualmente in circolazione. Quest’anno poi, è stato proprio il taglio curatoriale di Rabottini a concepire il progetto PRISMA, che sostanzialmente chiama l’arte a comunicare l’arte con una campagna concepita tra il coreografo Alessandro Sciarroni (che ha aperto le danze di miart con lo spettacolo diretto da Umberto Angelini lo scorso mercoledì Teatro dell’Arte della Triennale) e i videoartisti Masbedo, che nelle immagini di Alice Schillaci e Mousse Agency hanno lavorato egregiamente nello spazio espanso, reale e virtuale della fiera.

A scorrere gli stand di questa edizione non si direbbe a prima vista che il numero dei partecipanti sia incrementato. Invece, il numero delle gallerie straniere è salito a 75, con 19 Paesi rappresentati: il che è un bene perché uno dei fattori che più si apprezzano è la dimensione ancora contenuta della fiera (184 gallerie) che mira a un format dove la selezione assicura, nel 99% dei casi, scelte di qualità e rilevanza. La progettualità, alla quale accennavamo sopra, è gradita sia dagli espositori sia dal pubblico e ritorna strutturalmente nelle diverse sezioni come On Demand, Decades e Generations che probabilmente anche quest’anno esprime il meglio di Miart e dove più si apprezza il taglio curatoriale.

È proprio in Generations che quest’anno fa il suo debutto a miart la potentissima galleria Gagosian che porta propone il dialogo “generazioanale” tra il suo artista-star tedesco Sterling Ruby, a confronto con Alberto Burri, portato da Mazzoleni. Va detto che a dispetto dell’enorme hype attorno alla partecipazione di Gagosian (da 10 anni a Roma, ma mai vista a una fiera italiana) il risultato non è dei più entusiasmanti viste le modeste opere di Ruby che svaniscono totalmente al cospetto di Burri. Assai più vivace e riuscito è l’accoppiamento suggerito dalle pitture di Birgit Megerle (Emanuel Layr) in dialogo con gli straordinari ritratti della fotografa 94enne Lisetta Carmi (Martini & Ronchetti), così come il duetto Mapplethorpe-Rondinone, entrambi proposti da Barbara Gladstone.

Le gallerie migliori hanno imparato ad allinearsi a una tendenza, quella della formula di una mostra personale che senza dubbio aiuta i visitatori a concentrarsi su un solo autore e il suo linguaggio. È una scelta che rafforza la sensazione di non trovarsi all’interno di booth affastellati di segni, ma focalizzati su un autore forte: ne sono esempi gli assoli di Carsten Höller (Galleria Massimo De Carlo), la bella prova dell’artista filippino David Medalla (Astuni) o di Matt Mullican (Mai 36) che giganteggia contemporaneamente nella grande mostra da poco inaugurata all’HangarBicocca. Ottimo anche l’italiano Alessandro Pessoli (Zero…) e la potente personale di Stephen G. Rhodes (Isabella Bortolozzi).

Se il contemporaneo, come è giusto che sia in una fiera con questo profilo, rimane centrale, anche l’area del moderno è solidamente presente con molte gallerie che coprono soprattutto le avanguardie italiane e il concettuale: va detto però che qui si respira a differenza del resto della fiera un’aria di déjà-vu poiché molti, troppi lavori, si ricordano esattamente riproposti dall’anno precedente. Piuttosto debole la sezione Object dedicata al design (forse l’imminente Design Week gioca a sfavore), eccezion fatta per la Galleria Luisa Delle Piane che presenta pezzi di design sofisticati e selezionatissimi.

Tra le sorprese e le opere più peculiari da osservare ricordiamo i lavori dell’architetto radicale Gianni Pettena (Bonelli) l’opera del maestro del New American Cinema Jonas Mekas (APalazzo), la novità dell’artista cinese Sun Xun in questi giorni anche presente nella collettiva “The Szechwan Tale”, che apre in contemporanea con la fiera presso FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano qui rappresentato dalla galleria di Hong Kong Edouard Malingue alla sua prima partecipazione a miart. Meritano poi un approfondimento le opere delle artiste Sarah Charlesworth e Liz Deschenes proposte da Campoli Presti e della messicana Teresa Margolles  (Peter Klichman); anche lei in mostra a Milano nell’importante personale al PAC. Gli autori italiani sono ben rappresentati: alcuni esempi sono la coppia di sculture di Patrick Tuttofuoco (Federica Schiavo Gallery), il lavoro fotografico di Marcello Maloberti (Raffaella Cortese) e i lavori storici di Ketty La Rocca.

Questa 23ma edizione conferma insomma il format riuscito e ben calibrato negli ultimi anni, favorita da una città come Milano che sta ancora godendo i frutti di una contingenza politica ed economica che la vede sempre più al centro di molti transiti e linguaggi, dal design alla moda, che contribuiscono vicendevolmente a rendere il capoluogo lombardo una meta accattivante e contemporanea. Se la fiera di Bologna ha perso progressivamente terreno e Torino dialoga con una nicchia molto precisa, miart gode di quel prisma sfaccettato che la stessa immagine suggerisce, ora la fantasia che certamente non manca al team di Rabottini dovrà già pensare alla prossima forma, per rendere la fiera milanese un evento sempre più centrale nell’agenda dell’artworld.  

Titolo fiera:
miart 2018
Date di apertura:
13 – 15 aprile 2018
Sede:
fieramilanocity, gate 5, padiglione 3

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