Eva Kot’átková a Milano: fuori dalle gabbie della realtà

Le opere all’HangarBicocca avvolgono i visitatori in un percorso onirico, che si conclude in un grande letto, cullati dalle voci dei bambini che raccontano i loro sogni.

“Quando entro in un ambiente chiuso – che sia una chiesa, un centro commerciale o un semplice appartamento – sono emozionalmente toccato dalla sua qualità estetica (in senso lato), da un’atmosfera per quanto indeterminata e diffusa, ancor prima [...] di percepirne distintamente gli oggetti contenuti”, così scrive il filosofo Tonino Griffero dissertando di estetica. Ed è esattamente questa la sensazione che si prova una volta usciti dal tunnel che ci accompagna dentro alla mostra di Eva Kot’átková, curata da Roberta Tenconi all’HangarBicocca di Milano.

Varcare la soglia tra il dentro e il fuori qui non è un’esperienza traumatica: veniamo invitati a percorrere il tunnel-esofago blu, sostare nello stomaco in qualità di spettatori di una prima opera video (in cui un gruppo di bambini si sottopone a una serie di esercizi già velati da un alone d’inquietudine), per poi re-infilarci nel tunnel-intestino fino a sbucare nel sovraffollato mondo messo in scena dall’artista.

Durante questo percorso iniziatico, lasciamo indietro le immagini del fuori e ci predisponiamo alla ricezione del dentro. Una volta fuori dal tunnel, superato un primo brevissimo istante di disorientamento – dato forse anche da un allestimento che non sembra indicarci una via da seguire – quello che percepiamo è proprio questa “semi-cosa” che è l’atmosfera che sta tra noi e le opere e che, come spiega Griffero, viene irradiata dall’insieme inizialmente indefinito di ambiente e oggetti. Quella che aleggia in questa mostra è un’atmosfera cupa in cui la sensazione di angoscia viene confermata e amplificata ogni volta che si mette a fuoco una singola opera, avvicinandosi e scoprendo, per esempio, che le figure di bambini ritagliate e inserite nei Diary (libri dal formato ingigantito in cui vengono affastellate immagini ritagliate) hanno quasi sempre occhi o bocca chiusi da un filo di spago. Nel Diary no.1 (I-Animal) si trovano le interviste immaginarie fatte dall’artista ad animali costretti a vivere contro la loro natura, secondo dettami imposti dall’uomo.

Il dubbio che la costrizione per sua stessa azione si estenda anche all’essere umano, propagandosi attraverso l’organizzazione sociale, istituzionale e pedagogica, s’insinua fin da subito, per poi diventare dato certo e continuamente confermato ad esempio dal Diary no.2 (I-Machine) in cui sono raccolti una serie di verbi insoliti, ripresi da un lessico istituzionale o dalle bizzarre e a modo loro eleganti teste/gabbie disseminate all’interno della stanza (queste opere sono dette “Head” e rimandano a concetti come isteria, allucinazione, insonnia, schizofrenia ecc.) e dalle quali potremmo uscire semplicemente volendo perché sono tutte aperte.

Superato il primo impatto con l’atmosfera generale e l’impressione emotiva, uno sguardo storico-artistico rivela inoltre che questa ingigantita rappresentazione di noi stessi e del sistema occidentale di autocontrollo ha, sia sul piano formale, sia su quello concettuale, evidenti legami con le avanguardie storiche d’inizio Novecento, come il Dadaismo e il Surrealismo. Una rappresentazione che, come in un gioco di scatole cinesi, contiene a sua volta un teatrino di marionette, un altro mezzo per mettere in scena la vita attraverso la narrazione.

Eva Kot’átková, “The Dream Machine is Asleep”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2018. Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Eva Kot’átková, “The Dream Machine is Asleep”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2018. Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Passando poi da una riflessione storiografica a una dimensione più strettamente esperienziale, incontriamo (in realtà a fine percorso) un lavoro che in alcuni momenti viene attivato da un attore che invita il visitatore a salire sulla pedana per farsi tagliare i capelli e che tenendo tra le mani lunghe forbici racconta storie di cronaca, tra una spuntata e l’altra, risvegliando nell’avventore (in modo molto controllato) anche una latente preoccupazione per la propria incolumità. L’opera centrale, realizzata per questa occasione e che dà il titolo alla mostra però è The Dream Machine is Asleep, un sovradimensionato letto con cassettone che pare essere l’unica isola di libertà all’interno di questo marasma di coercizioni e controllo. Solo qui tutte le gabbie che ci siamo costruiti attorno sembrano svanire.

Una volta tolte le scarpe e infilati nel letto, è possibile sfuggire agli incubi della realtà per abbandonarsi ai sogni, ma non ai nostri, di adulti ormai irrigiditi e atrofizzati, indossate le cuffie, con la testa sul cuscino, possiamo ascoltare le voci dei bambini che raccontano i loro sogni. Chissà che non ci si riesca ad abbandonare a tal punto da addormentarsi e sognare a nostra volta, per rifuggire finalmente da tutte le gabbie fisiche e psichiche che ci siamo costruiti attorno, cominciando dal comportamento composto e vigile che ci autoimponiamo visitando una mostra.

Titolo mostra:
Eva Kot’átková The Dream Machine is Asleep
Curatrice:
Roberta Tenconi
Date di apertura:
15 febbraio – 22 luglio 2018
Sede:
HangarBicocca
Indirizzo:
via Chiese 2, Milano

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