L’immaginazione geologica

L’ultima edizione di “Sonic Acts” parla dell’antropocene, quella stagione nella vita del pianeta caratterizzata da un illustre parassita – l’umanità – e dal suo impatto su scala, appunto, planetaria.

Sonic Acts
C’è un aspetto paradossale nel titolo di questa edizione di “Sonic Acts” che ne fa intuire gli obiettivi ambiziosi – e immediatamente ne raggiunge uno: affascinarci.
Il festival che da poco più di vent’anni si fa spazio nella scena culturale di Amsterdam si basa su convergenze ormai sdoganate – arte e musica, ma anche arte e scienza – ma con un tocco di calore e sottigliezza non scontati. E, aggiungerei, necessari a trasmettere il mistero dovuto al caso. Si parla dell’antropocene, dopo tutto: quella stagione nella vita del pianeta caratterizzata da un illustre parassita – l’umanità – e dal suo impatto su scala, appunto, planetaria. Cose difficili da concepire, quindi, e non solo per vastità geografica.
Sonic Acts, manifesto del festival
Sonic Acts, manifesto del festival
I quattro giorni di programma di Sonic Acts (26 febbraio – 1 marzo) sono stati intensi, ma per capire bene il tema centrale è meglio cominciare dalle conferenze, ospitate nello spazio principale dello storico Paradiso (una chiesa del XIX secolo che adesso è uno dei club più apprezzati in città). Innanzitutto, non si può parlare di immaginazione geologica senza due figure fondamentali: il geologo e l’artista. E infatti ci sono state prevedibilmente tante slide affollate di bullet point e un sacco di mappe (alcune non proprio leggibilissime), ma anche estratti da videoinstallazioni e documentazioni fotografiche di performance. Sorprendentemente (o forse no), spesso gli scienziati hanno dimostrato una capacità comunicativa maggiore degli artisti.
Sonic Acts
Sonic Acts al Paradiso, Sonic Acts Festival 2015, The Geologic Imagination. John Foxx & Steve D'Agostino feat. Karborn, sabato 28 febbraio 2015. Photo Pieter Kers
Il discorso ambientalista – anche con risvolti geopolitici – è stato ovviamente un aspetto importante. Venerdì il geologo Michael Welland ha parlato di come l’antropocene abbia influito parecchio sul naturale flusso di sedimenti verso il mare, soprattutto per la costruzione di dighe e per il “sand mining”, pratica poco sostenibile e molto spesso illegale che è aumentata drammaticamente in seguito al boom edilizio in Cina e a costosissimi progetti come le Dubai Palms negli Emirati. Sabato Benjamin H. Bratton ha tracciato i contorni di uno scenario ancora più sinistro: il professore della University of California di San Diego ha descritto vividamente l’accavallarsi delle infrastrutture di raccolta, monitoraggio e analisi di dati fornite da compagnie private con i processi decisionali dei governi. In questo “stack” tecnologia e geopolitica diventano inestricabili: l’importanza decisamente materiale dei minerali estratti in Congo è fondamentale per la realizzazione degli schermi dei nostri smartphone, che poi vengono scaricati non lontano una volta diventati spazzatura.
Sonic Acts Festival 2015
Opening del Sonic Acts Festival 2015, The Geologic Imagination, giovedì 26 febbraio 2015. Skype lecture di Reza Negarestani. Photo Pieter Kers
Come ci si può aspettare da un festival che fa dell’interdisciplinarietà la propria conditio sine qua non, alcuni esempi degni di nota erano proprio quelli al confine tra economia e design, arte e sicurezza ambientale. Rob Holmes, fondatore del blog mammut e del Dredge Research Collaborative, ha raccontato alcuni esempi di “litorale prostetico”: casi in cui interventi come il dragaggio, invece di distruggere, diventano un’opportunità per ricreare profili costieri erosi da condizioni sfavorevoli. Nel caso di Jamaica Bay, a New York, la ricostituzione di un arcipelago diventato ormai semi-paludoso è stata resa possibile grazie alla sabbia dragata durante l’espansione del porto cittadino (dovuta a sua volta all’espansione del Canale di Panama e al conseguente aumento delle misure delle navi da container).
Sonic Acts
Sonic Acts Fieldtrip, Sonic Acts Festival 2015, The Geologic Imagination. Raviv Ganchrow, Long Wave Synthesis. Photo Pieter Kers
Un’altra presentazione interessante è stata quella della curatrice e ricercatrice Ele Carpenter, che si è concentrata sulla cultura nucleare, mostrando tra le altre cose delle foto di curiosi field trip di artisti su siti di raccolta scorie in Francia e in Giappone, al fine di riflettere poi esteticamente sul loro significato e sul loro rapporto con la comunità. Questa curiosità creativa nei confronti di fenomeni controversi ma tutto sommato banali (la gestione di rifiuti tossici è uno di quei processi sui quali il nostro stile di vita si appoggia da tempo, e a lungo termine) è un po’ la cifra di quest’edizione del festival: se non c’è necessariamente soluzione alla sua alterazione, che perlomeno ci sia un’immaginazione del geologico.
Sonic Acts Fieldtrip, Sonic Acts Festival 2015, The Geologic Imagination. Raviv Ganchrow, Long Wave Synthesis. Photo Pieter Kers
Esteticamente, suono e paesaggio sono stati i due punti cardine. Il primo astratto e dissonante, il secondo quasi sempre visto dall’alto (prospettiva che in questo caso sembra l’unica possibile, data anche l’ubiquità di Google Earth e droni nell’immaginario contemporaneo). Oltre alle installazioni ospitate dallo Stedelijk, gli immancabili “atti sonici” si sono consumati tra l’architettura metafisica del Muziekgebouw Ann Het Ij e lo spazio già citato del Paradiso. Accompagnate da visuals ipnotici a base sia di film che di effetti prettamente digitali, le performance di artisti come BJ Nielsen & Karl Lemieux, Herman Kolgen e poi Murcof con Rod Maclachlan hanno trasformato la sala principale del Muziekgebouw in una finestra su un paesaggio roccioso e vagamente alieno, che il pubblico ha visto sfilare contemplativamente dal punto di vista privilegiato di una moltitudine di bean bag. La sera dopo al Paradiso il mood è stato più psichedelico, in particolare nell’apprezzata performance dal vivo di Jaki Liebezeit e Burnt Friedman, seguita dai paesaggi australiani desertici filmati (e campionati) da Robert Curgenven.
Sonic Acts Festival 2015
Espen Sommer Eide al Sonic Acts Festival 2015, giovedì 26 febbraio 2015. Photo Pieter Kers
Ma la sintesi più rappresentativa di The Geologic Imagination è stata forse l’installazione di land art di Raviv Ganchrow. Situata nel porto di Amsterdam, in una location isolata e umida nei pressi di Sloterdijk, l’opera era raggiungibile solo tramite bus. Long Wave Synthesis (2015) consiste in alcuni container rossi all’interno dei quali l’artista ha inserito dei generatori di suoni a onda lunga (in gran parte con frequenze al di sotto della capacità uditiva umana, tra i 4 e i 30hz) allo scopo di creare una topografia sonora che si sovrapponga a quello del sito in cui si trova. Il risultato è una monumentale scultura tra l’industriale e il minimalista che vibra energicamente; un paesaggio che si fa fonte di suono mentre il suono diventa esso stesso una forma di paesaggio. È proprio l’equilibrio apparentemente contradditorio tra questi elementi, visibili e invisibili/inudibili, a tenere in piedi il tutto. Una folla che si aggrega affascinata attorno a dei container che vibrano in un prato fangoso: questa è immaginazione geologica.
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