Frieze Talks 2012

Incentrato sul tema dell'atlante, un programma di quattro giorni fitto di conversazioni con artisti, studiosi e critici, ha sostenuto con ironia la necessità di perdersi per ritrovarsi.

Dove vuoi andare oggi? Digita la destinazione che desideri (per esempio quella di un grande ponte sospeso decorato d'oro, ma con intarsi di topazio, onice e tormalina, situato in un regno himalayano. O magari l'indirizzo di un'amante che finora hai tenuto nascosta al popolo e al paese, tra le cui braccia ti sei adoperato a mentire…), Purtroppo, l'Undependable Global Positioning System non ti porterà a nessuna di queste destinazioni, perché l'unico indirizzo possibile, nel caso dell'UGPS, è un luogo che non esiste su nessuna delle normali carte. La destinazione è Minnahanonck.

Il sabato dell'inaugurazione della Frieze Art Fair di New York lo scrittore Rick Moody se ne stava su un palco sotto i riflettori, a sfogliare carte e a leggere brani da The Undependable Global Positioning System ("Il Sistema di Posizionamento Globale Inaffidabile"), saggio e opera sonora commissionata dalla fiera che descrive un GPS paradossale. In occasione dei Frieze Talks 2012 (quattro giornate di incontri con artisti, studiosi e critici della cultura), Moody si presentava nelle vesti di un product manager intento a pubblicizzare un navigatore immaginario che, come spiegava, voleva dare "consigli a chi ne ha bisogno per perdersi, specialmente in questo particolare momento storico in cui perdersi sta diventando sempre più difficile". Come ci si poteva aspettare dall'autore di libri sul malessere urbano come Cercasi batterista, chiamare Alice e Tempesta di ghiaccio, il suo UGPS risponde alla depressione del nostro mondo eccessivamente curato nei particolari affermando, sia pure in modo ironico, che perdere le normali coordinate può essere l'unico modo per ritrovare la strada.
In apertura e qui sopra: il tendone di Frieze New York progettato da SO-IL a Randall's Island. Photo Iwan Baan
In apertura e qui sopra: il tendone di Frieze New York progettato da SO-IL a Randall's Island. Photo Iwan Baan
Tra l'altro, per tutta la Frieze Art Fair di New York spirava un senso d'imminente trasloco. La manifestazione ha riunito improbabili visitatori sulla lontana Randall's Island (cioè la Minnahanonck dei newyorchesi prima del Seicento) in un gigantesco tendone destinato a essere smontato. Solo una parte della struttura ha adottato pienamente la bizzarria dello scenario: mentre galleristi di tutto il mondo hanno montato le loro botteghe dentro i sinuosi ambienti del tendone (il lavoro di tutti i giorni) il piccolo auditorium anonimo che ospitava i Frieze Talks era uno spazio sacro alla riflessione su se stessi. Il ciclo di incontri – a cura di Cecilia Alemani, curatrice di High Line Art – era imperniato sul tema dell'atlante: in particolare sui modi in cui gli artisti hanno abitato, riconfigurato e ripensato il loro ambiente, dai confini geopolitici alla psicologia.
Rick Moody legge <i>The Undependable Global Positioning System</i> durante i Frieze Talks 2012. Photo Linda Nylind
Rick Moody legge The Undependable Global Positioning System durante i Frieze Talks 2012. Photo Linda Nylind
Mentre l'intervento di Moody adottava un taglio sperimentale, altri – come Collection Cartographies ("Cartografie da collezione"), che riuniva direttori di collezioni d'arte internazionali in un dibattito sulle loro collezioni private dell'America Latina, dell'Europa e del Medio Oriente; oppure Mapping the World of Art: André Malraux and his Musée Imaginaire ("Per una mappa del mondo dell'arte: André Malraux e il suo 'musée imaginaire'"), intervento biografico del filosofo Georges Didi-Huberman – erano esplicitamente accademici.
Expanding Museums, uno degli interventi di Frieze Talks New York 2012. Photo Linda Nylind
Expanding Museums, uno degli interventi di Frieze Talks New York 2012. Photo Linda Nylind
Altri ancora, episodicamente, hanno messo insieme artisti e studiosi, come nella tavola rotonda domenicale On Land Occupation ("L'occupazione del territorio"), condotta dal direttore di Domus Joseph Grima, con interventi di artisti come Mitch Cope, di Detroit, Andrea Geyer, di New York, e della docente di sociologia della Columbia University Saskia Sassen. Partendo da Occupy Wall Street, la tavola rotonda si è chiesta coma vada interpretata l'"occupazione del territorio". Per i progetti di Cope (realizzati tramite la sua organizzazione Power House Production di Detroit) può significare trasformare fisicamente una città riproponendo costruzioni abbandonate (come un campo di squash o una pista di pattinaggio), spazzando con le pale meccaniche i viali del crimine (per agevolare il passaggio delle prostitute e della polizia) oppure piazzare bizzarre sculture nelle finestre di edifici abbandonati (per dissuadere efficacemente i vandali dall'entrare). Oppure, come per Geyer, si potrebbe trattare di qualcosa di più teorico: nel suo progetto Spiral Ends del 2007, consistente in un testo che l'artista ha letto in questa occasione in parallelo con la proiezione di fotografi in bianco e nero, Geyer suggerisce di prendere atto della politica del passato coloniale per imprimere una svolta razionale al nostro modo di abitare (ovvero decolonizzare) i territori attuali. Concludendo l'incontro con una nota accademica Sassen ha illustrato il suo punto di vista sul territorio considerato non esclusivamente come un fenomeno geografico, ma come qualcosa di più spazialmente complesso, grazie al carattere sempre più interconnesso della società.
Il tendone di Frieze New York progettato da SO-IL a Randall's Island. Photo Iwan Baan
Il tendone di Frieze New York progettato da SO-IL a Randall's Island. Photo Iwan Baan
Coerentemente, l'epico Atlas di Gerhard Richter (l'archivio in continua crescita di foto e schizzi dell'artista) è stato debitamente riconosciuto come l'antesignano dei progetti dell'arte come cartografia: nel suo intervento il preside della Yale School of Art, Robert Storr, ha presentato un panorama analitico dell'album di immagini di Richter, che è contemporaneamente un catalogo delle ampie fonti di materiali dell'artista a partire dal 1962 e un'opera concettuale in progress che classifica tanto le esperienze personali dell'artista quanto quelle della cultura su scala più vasta. Nelle quasi mille pagine di immagini che raccoglie (dalle foto di famiglia a quelle degli orrori della seconda guerra mondiale, ai lampadari e alle pinup) "l'atlante di Richter è un'esercitazione della memoria", spiega Storr. "Ma evita, nei confronti di ciò che va ricordato, l'atteggiamento del 'lo so io e voi statemi a sentire'". Chiede invece: "Che cosa succede se mi pongo di fronte a questo pezzo, a quest'altro e a quest'altro ancora? E che cosa succede se la relazione tra questi pezzi viene analizzata collettivamente, in modo da poter proseguire questa storia tutti insieme?" E si comprende che Richter, come ogni bravo artista, ci dà modo di navigare nel nostro tempo senza una rotta precisa.

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