30 Americans

A distanza di tre anni, riapre al North Carolina Museum of Art la mostra 30 Americans, una rilettura del lavoro di 30 artisti afro-americani della collezione Rubell.

La scelta dell'Onu, di decretare il 2011 quale Years for People of African Descent, ha riacceso il dibattito riguardo le culture meticce. Nel caso di quelle di ascendenza africana la riflessione ha assunto una dimensione fittamente articolata poiché i modelli legati alla diaspora si incrociano inevitabilmente con la loro modernità.

Il sociologo Paul Gilroy, nel suo lungo saggio Black Atlantic. L'identità nera tra modernità e doppia coscienza (Meltemi editore) ci ha fornito uno dei testi più esaustivi in materia. Gilroy stila un'analisi critica sul tema dell'identità di colore, con il fine di delineare i contorni storici della cultura nera transatlantica, letta anche attraverso la produzione letteraria e poetica, artistica e musicale. L'autore è molto attento a sottolinearne l'aspetto sincretico e al tempo stesso prende vigorosamente le distanze sia dal primitivismo, sia dai fiacchi modelli esotici. In ambito artistico, una delle rassegne più illuminanti sull'argomento l'ha prodotta lo scorso anno la Tate Liverpool, che sulle tracce del libro di Gilroy aveva realizzato Afro Modern: Journey through the Black Atlantic, una mostra basata su un percorso scientifico accurato, raccolta attorno a 140 opere, suddivisa in sezioni tematiche, in cui veniva messo in luce sia l'impatto e l'influenza delle diverse culture nere—africane, caraibiche e sud americane—nell'arte occidentale sia l'esatto opposto.

Mickalene Thomas, Baby I Am Ready Now, 2007. Acrilico, Acrylic, strass e smalto su pannello di legno. Dittico 182.9 x 335.3 cm. Rubell Family Collection, Miami

Afro Modern prendeva avvio dai lavori di artisti attivi nei primi decenni del secolo scorso quali Aaron Douglas, figura di spicco dell'Harlem Renaissance, pittore prolifico, nelle cui tele rivendicava con orgoglio l'eredita africana e aspirava legittimamente ad un modello di vita afroamericano moderno. Il sentimento di double consciuosness era sperimentato non solo da autori che vissero in prima persona la diaspora, ma anche da molti africani che abitavano in stati colonizzati dagli europei. Uche Okeke, artista nigeriano e figura emblematica dell'indipendenza della Nigeria, diede vita nel 1970 al Nsukka Group—al quale aderirono poi anche El Anatsui e il più giovane Olu Oguibe—che proponeva un modello culturale africano moderno, capace di prendere le distanze dall'aggressiva influenza occidentale e al tempo stesso indicava la strada della Natural Synthesis, intesa come confronto tra due realtà in divenire.

Rashid Johnson, The New Negro Escapist Social and Athletic Club (Thurgood), 2008. Stampa Lambda, Ed. 2/5 175.3 x 141 cm. Rubell Family Collection, Miami.

Tra quanti da decenni si occupa di arte afro americana contemporanea si possono citare Mera e Dan Rubell, eccezionali collezionisti che hanno iniziato a acquistare opere di autori afroamericani già nei primi anni '60 e oggi vantano con la Rubell Family Collection una tra le collezioni più ricche al mondo. Il suo quartiere generale si trova a Miami, a Wynwood, da qualche tempo rinomato fashion e art district, luogo dove le più potenti griffe internazionali si contendono a prezzi elevati storici spazi industriali. La Rubell Collection ha sede in un edificio nuovissimo in NW 29th Street e ha per vicina l'illustre Galerie Perotin (che rappresenta artisti come Paola Pivi e Maurizio Cattelan).

La Rubell si trova a ridosso del quartiere portoricano Little San Juan, noto anche come El Barrio, nato come abusivo, i cui abitanti non vedono di buon occhio tutti questi cambiamenti così glamour, che hanno provocato un incremento dei prezzi dei beni di prima necessità.

Carrie Mae Weems, Descending the Throne (from From Here I Saw What Happened and I Cried series), 1995-1996. Due c-print monocromi con testo sabbiato su vetro e cornici d'artista, Ed. 6/10. Dittico, 67.3 x 147.3 cm. Rubell Family Collection, Miami

Nel dicembre del 2008 Mera e Don Rubell presentavano al pubblico 30 Americans, una rassegna in cui veniva proposta la rilettura del lavoro di 30 artisti afro-americani scelti tra quelli conservati nella loro collezione. La mostra ha goduto di un'eccezionale accoglienza da parte del pubblico, tanto che nella sua edizione originale, il 19 marzo scorso ha riaperto al North Carolina Museum of Art (fino al 4 settembre 2011). 30 Americans è una sorta di display costruito sulle opere di autori ben piazzati sul mercato dell'arte e piuttosto noti negli Stati Uniti poiché già presenti in esposizioni curate da istituzioni quali Studio Museum in Harlem e Renaissance Society, molto specifiche riguardo il lavoro di artisti di colore.

John Bankston, Rehearsal, 2004 Olio su lino, 198.1 x 243.8 cm. Rubell Family Collection, Miami.

Se il medium più presente è la tela tradizionale, fatto di per sé abbastanza diffuso trattandosi di pezzi di una collezione privata, quello che più colpisce riguardo l'aspetto contenutistico dell'esposizione è la loro base concettuale assolutamente condivisa: risulta evidente come il timone della ricerca degli artisti sia sempre rivolto alle politiche identitarie e anche come la maggior parte delle opere non nasconda il conflitto coi i temi della doppia coscienza. Nei quadri di Mark Bradford, Iona, R. Brown, di Renée Green, John Bankstone la tensione che emerge dalle immagini si trasforma non solo in un j'accuse, ma in una serie di pressanti domande, le cui risposte stentano ad arrivare. Freedom without Love di Bradford è un grido, un lavoro interiore, l'immagine consueta di una realtà che si scontra sempre con il vuoto. Le fotografie di Xaviera Simmon hanno sempre un'ambientazione che rimanda ai paesaggi africani, sia quando essa ritrae una donna seduta in una foresta arida e stepposa, sia quando riprende una bambina vestita di stracci che cammina in una natura verde lussureggiante con un sacco appeso a un bastone sulle spalle. Carrie Mae Weems impegnatissima nel contrastare il pensiero unico globale riguardo i modelli afrocentrici e diasporici, nei sui lavori propone un'analisi storica e iconografica vigorosa partendo da una riflessione sulla schiavitù negli Usa.

Renée Green, Between and Including, Set A (Akerman to Bogeyman), 1998. Fotografie in bianco e nero incorniciate, con testi e parete dipinta, 14 pannelli di dimensioni variabili; 10 pannelli, 16.5 x 22.5 cm ognuno; 4 panels, 822.5 x 16.5 cm ognuno. Rubell Family Collection, Miami.

30 Americans è forse un po' piena di luoghi comuni, forse un po' ripetitiva, ma mette in luce con chiarezza come il rapporto culturale—e le sue complesse dinamiche—di moltissimi artisti afroamericani, con il luogo di appartenenza non riesce a lasciare spazio ad un modo diverso di fare arte che non sia quello intrinseco alla loro storia. In una conversazione di qualche anno fa, l'artista Kori Newkirk, uno degli autori più incisivi riguardo il tema dell' identità, propose una serie di installazione scultoree di successo, che chiamava sbrigativamente Curteins, in cui rappresentava scarni paesaggi usando le beads, le perline di plastica con cui gli africani si decorano i capelli. Gli chiesi se era ancora molto diffuso questa moda negli Usa. La risposta fu che di fatto non era più così in voga, ma si legava ad un immagine e a un ecologia di appartenenza tipicamente africana. Carl Pope, autentico outsider, che ha scelto di non legarsi ad alcuna galleria privata e di lavorare solo con spazi pubblici, per evitare ogni possibile mediazione con il mercato e non limitare la sua libertà di espressione, nel progetto a Celebration of Blackness, promosso da Mobile Museum Of Art, ha scritto su diversi grandi billbord, frasi semplici e incisive quali: 'Black is the distance between dusk and dawn' o 'The absence of colour is still a colour'. Lo scorso autunno l'artista del Benin Meschac Gaba - che da più di vent'anni vive in Olanda, dove era arrivato con una borsa di studio nel '90 e come primo progetto aveva realizzato Le Musée d'Art Africain, fatto di oggetti comuni usati nella vita di ogni giorni dagli abitanti della capitale Cotonou – in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Liverpool, gli venne notare come il suo lavoro restava ancora fortemente legato all'Africa, la sua fu: "bien sure je suis un artiste africain". Riccarda Mandrini

Iona Rozeal Brown, Untitled (after Kikugawa Eizan's "Furyu nana komachi" [The Modern Seven Komashi]), 2007 acrilico e carta su pannello di legno, 30.5 x 37.1 cm. Rubell Family Collection, Miami.
Carl Pope
Carl Pope