Nascondersi, cammuffarsi nella natura è una pratica adottata fino dall’antichità alle più diverse latitudini, scaturita da ragioni difensive, rituali o di controllo climatico: dagli insediamenti rupestri del paleolitico alle case ipogee berbere del Maghreb, dalle pit houses nordamericane ai villaggi yaodong cinesi, le architetture “mimetiche” (sotterranee o integrate nel territorio) seguono il fil rouge della “compenetrazione” tra naturale e artificiale e della minima riconoscibilità dall’esterno. In epoca recente, il pensiero architettonico ha fatto del “camouflage” un campo di ricerca compositiva, esprimendo una dicotomia tra “natura” come habitat vegetale e organico e “città” come prodotto antropico e inorganico, gradualmente consolidando una sensibilità ambientale: a partire dagli anni ’70, la bioarchitettura ha diffusamente indagato il tema delle costruzioni ipogee, con la loro ridotta impronta ecologica, la loro capacità di “svanire” nel paesaggio e le ottime prestazioni di risparmio energetico, isolamento termoacustico e stabilizzazione microclimatica (per via dell’inerzia termica del terreno).
Progettare edifici che non si vedono: 15 architetture mimetiche
Da Tadao Ando a Big, da Mvrdv a Zaha Hadid, abbiamo esplorato alcune possibili espressioni dell’architettura mimetica, tra “sparizioni” ipogee, topografiche o concettuali.
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Foto Hwang Wooseop
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Foto Kecko da Flickr
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Foto Tim Van de Velde
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Foto Sandra Pereznieto
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Foto Nic Lehoux
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Renderings courtesy of Mvrdv
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Foto Wang Ziling
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- Chiara Testoni
- 20 ottobre 2025
Al camouflage ipogeo si aggiungono però anche altre modalità di “sparizione”, dettate non solo da urgenze ecologiche ma anche (e talvolta soprattutto) da aspirazioni scenografiche: dalla mimesi “topografico-materica”, per cui l’architettura si intreccia con la struttura naturale del sito adattandosi ad esso e reinterpretandola nei materiali e textures, a quella specchiante, l’annullamento visivo attraverso giochi di riflessi che trasforma l’edificio in un miraggio.
Dalla Svezia all’Arabia Saudita, dalla Spagna al Giappone, abbiamo esplorato alcune possibili espressioni dell’architettura mimetica: un approccio radicale al costruire che, al di là di ogni fascinazione letteraria (a partire dalle Città Invisibili di Calvino), apre a possibili riflessioni: se da un lato, infatti, costruire per “scomparire” può intendersi come una negoziazione tra cultura e natura, soprattutto in determinati contesti climatici e paesaggistici, dall’altro può dare adito a una retorica ambigua, dello stigma, che intende l’architettura come qualcosa da nascondere, senza tuttavia affrancarla dall’inevitabile impatto ambientale correlato a qualsiasi gesto umano.
E apre al dubbio che, proprio perché non si vede, l’architettura finisca per essere (paradossalmente) legittimata ad espandersi ovunque, purché stia sottoterra, dietro alle foglie o a uno specchio.
Immagine di apertura: Henning Larsen, Eysturkommuna Town Hall, Norðragøta, Isole Fær Øer 2018
L’intervento, tra i più iconici dell’artista César Manrique, si colloca nel tunnel di lava formatosi dall’eruzione del Volcán de la Corona e rappresenta la totale compenetrazione tra natura e arte. Nel suggestivo paesaggio sotterraneo, l’opera ospita la Casa de los Volcanes, un centro di divulgazione scientifica sui vulcani.
Nell’ambito del masterplan “Benesse Art Site Naoshima” che ha trasformato l’isola di Naoshima in una Mecca per gli amanti dell’arte contemporanea, rientra il Chichu Art Museum. L'opera è quasi interamente sotterranea, articolata in geometrie scavate nella collina e soltanto a tratti visibili all’esterno attraverso setti in calcestruzzo emergenti dalla terra. Gli ambienti sono illuminati tramite cortili e squarci zenitali, che enfatizzano il carattere spirituale ed immersivo dello spazio. A questo e agli altri edifici culturali della zona, dal maggio 2025 si è aggiunto il Naoshima New Museum of Art: edificio sempre a firma di Tadao Ando su tre livelli (di cui due interrati) e dall’impianto irregolare che segue la topografia del sito, con un focus sull’arte contemporanea asiatica.
La casa, progettata in onore del poeta coreano Yoon Dong-joo, si ispira al rapporto primordiale tra la natura e l’uomo e alla dialettica biunivoca tra terra e cielo. L’edificio è costituito da una scatola di cemento di 14 x 17 metri interamente interrato. Gli spazi interni (cucina, uno studio, due camere, servizi), collocati nel centro dello scavo, si affacciano su due spazi aperti: una sottile feritoia da cui filtra la luce, da un lato, e un cortile su cui si dilata la vita domestica e da cui lo sguardo si proietta verso il cielo, dall’altro.
Rompendo gli schemi tipici dell’architettura vernacolare alpina, la casa di vacanze nei pressi delle terme di Vals di Peter Zumthor è incastonata dentro al fianco della montagna, da cui si affaccia verso la valle attraverso un’ampia apertura ellittica vetrata. Materiali e tecniche costruttive locali, tra cui la facciata realizzata con quarzite locale, radicano profondamente l’edificio nella terra e nello spirito del luogo. La villa è isolata termicamente e dispone di pompa di calore geotermica, pavimenti radianti, scambiatore di calore e utilizza solo energia idroelettrica generata dal vicino bacino idrico.
Un bunker sotterraneo viene ristrutturato per sfruttare al meglio lo spazio interno minimo (9 mq di superficie in pianta per due metri di altezza) e trasformato in una casa per vacanze. L’ingombro planimetrico viene riproposto in superficie attraverso una piattaforma che funge da terrazza.
L’intervento di Big amplia e trasforma un ermetico bunker in cemento armato della Seconda guerra mondiale in un complesso culturale perfettamente integrato con il paesaggio tutelato di Blåvand, nella Danimarca occidentale. L’edificio, totalmente nascosto nel paesaggio, è composto da una singola struttura di 2.800 mq con quattro spazi espositivi scavata nella terra e segnalata in superficie da una serie di tagli nella collina che conducono nel cuore del museo.
La casa parzialmente ipogea si addossa alla collina, da cui è sovrastata in una copertura a verde con alberi di avocado: soluzione paesaggisticamente e tecnologicamente efficace che offre condizioni interne ottimali in una zona interessata da notevoli escursioni termiche. All'interno, il volume si dispiega come un grande contenitore in cemento a vista con una layout funzionale e flessibile. La zona giorno dà accesso ad una terrazza panoramica e collega i vari ambienti adiacenti; sul fronte opposto, un patio scavato nel terreno fornisce un ulteriore accesso e garantisce una seconda fonte di luce e ventilazione naturale.
Il complesso fa parte del Messner Mountain Museum, un circuito di 6 musei (Firmiano, Juval, Ortles, Dolomites, Ripa e Corones) diffusi nel territorio alpino e dedicati al rapporto tra l’uomo e la montagna: la costruzione, incastonata nella vetta montuosa a 2.275 m s.l.m. e quasi totalmente ipogea, emerge all’esterno con volumi fluidi e scultorei in cemento e vetro che sembrano una prosecuzione delle rocce granitiche e offrono spettacolari punti di osservazione sulle Dolomiti.
L’edificio che ospita il municipio della cittadina funge da infrastruttura civica e territoriale: la costruzione è un ponte sul fiume nel villaggio di Norðragøta, unendo in un unico comune due comuni prima separati. L’edificio nasce dall’intento di offrire uno spazio che possa ravvivare la comunità locale: terrazze e copertura a verde sono aperti al pubblico, per un picnic o una nuotata nel fiume.
Il volume monolitico in ceIl volume monolitico in cemento armato, inclinato e incastrato tra scogliera e fondale marino come un frammento di roccia scivolato in mare, ospita un ristorante parzialmente sommerso. Il materiale grezzo si patina con l’acqua salmastra e si integra cromaticamente con le rocce.mento armato, inclinato e incastrato tra scogliera e fondale marino come un frammento di roccia scivolato in mare, ospita un ristorante parzialmente sommerso. Il materiale grezzo si patina con l’acqua salmastra e si integra cromaticamente con le rocce.
L’infrastruttura turistica è composta da due volumi monolitici scolpiti come geodi e in osmosi con il paesaggio, che evocano le millenarie formazioni rocciose modellate dal vento e dal mare della zona.
In un albergo “ecosostenibile” nell’estremo nord della Svezia il piccolo volume cubico (4x4x4m) sospeso nella foresta e accessibile tramite passerella evoca l’archetipo della casa sull’albero rivisitata in chiave concettuale: l’edificio appeso a un pino è composto da una struttura a telaio ln alluminio, rivestita da una superficie a specchio che moltiplica i profili della foresta, dissolvendo la costruzione nel contesto.
Il volume cubico per eventi e concerti, incastonato nel paesaggio desertico di un wadi, è caratterizzato da una struttura leggera che supporta un involucro continuo in vetro riflettente. Le superfici esterne omogenee riflettono cielo, sabbia e pareti rocciose, trasformando l’edificio in un esercizio di mimetismo: da lontano appare come miraggio, da vicino come una scultura riflettente che sfuma i confini tra interno ed esterno.
Un’antica cava abbandonata viene trasformata in uno spazio culturale con una biblioteca e ambienti per lo studio della lingua cinese, con l’obiettivo di valorizzare il ricco patrimonio estrattivo della zona e imprimervi nuove forme di socialità. Il progetto modella gli elementi ex novo sulla base della topografia originale, conducendo i visitatori lungo i percorsi e i terrazzamenti storicamente scavati dai lavoratori della cava, ora riqualificati come piattaforme di lettura e per attività culturali.