Se per la vita umana i cinquant’anni rappresentano una soglia critica tra possibile debacle fisica, crisi esistenziali e bilanci, l’architettura non subisce – in teoria – così visibilmente gli strali del tempo, per lo meno se è stata concepita come manufatto con un ragionevole ciclo di vita utile e non come un fenomeno effimero.
In architettura, infatti, se l'approccio europeo e occidentale si è a lungo mostrato assetato di eternità, di diversa natura è stato l’approccio dell'Asia orientale, dove il naturale invecchiamento è spesso prevenuto da sostituzioni parziali o integrali del manufatto che lo rendono continuativamente funzionale e figurativamente stabile: per l’architettura, come per qualunque elemento dell’Universo, quello che continua a vivere è lo spirito più che la materia.
Su architetture figlie del moderno globale, invece, mezzo secolo può essere una soglia critica per una resa dei conti sulla qualità progettuale e tecnologica, e sul ruolo svolto dall’opera nei decenni.
Di seguito proponiamo una selezione di “splendide cinquantenni”: architetture che per la maggior parte dei casi, ad eccezione di alcune pesantemente alterate (Busiri Vici) o cancellate dalla storia (Yamasaki), nel tempo hanno mantenuto fede alle aspettative iniziali, diventando talvolta simboli iconici di una città o di un continente. Così, dagli Stati Uniti (Sert, Skidmore Owings & Merrill, Meier, Kahn), all’Europa (Saubot, Bofill, Schwanzer, Zanuso, Mollino), all’Australia (Utzon), le architetture nate nel 1973 festeggiano i loro primi cinquant’anni con disinvolto carisma, nonostante qualche possibile acciacco.

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