La possibilità di pensare oggetti, città e soprattutto architetture per moduli è stata un concetto fondamentale nella cultura progettuale, a partire dal secolo scorso: la sua forza principale, che ha creato edifici leggendari e definito intere correnti nella storia contemporanea, sta nella possibilità di estendere, ampliare, ma soprattutto ricombinare e comporre nei suoi elementi fondamentali un’architettura, adattandola ai contesti più differenti.
Spesso legata allo sviluppo dell’industrializzazione, a questioni di economicità e facilità tecnica di montaggio e smontaggio, l’architettura modulare ha presto caratterizzato un modo di far progetto, pur declinandosi in approcci molto distanti tra loro: quello olistico ed egualitario dello strutturalismo olandese, come quello sperimentale con tratti utopici del metabolismo nipponico, o quello contemporaneo di interventi umanitari ed espressioni più scultoree.
Se oggi la modularità è a volte osservata come una semplificazione e impoverimento del progetto, nella storia passata e recente è possibile individuare una serie di progetti che invece han fatto del modulo un elemento alla base dello spazio vivo e vissuto. Ne abbiamo raccolti 15 che ripercorrono, alla scala urbana e dell’edificio, altrettante sperimentazioni sul tema, dai cluster di Moshe Safdie a Montréal e Herman Hertzberger in Olanda, alle capsule di Kurokawa a Kyoto, ai paesaggi di De Carlo e Aires Mateus, fino ai monumenti di BIG e di OMA, e che disegnando ritmi, composizioni e sistemi spaziali rivelano la forza espressiva e generativa del modulo.
