Se si intendono i container esclusivamente come scatole per il trasporto e lo stoccaggio delle merci, nonché come unità di misura modulare (“unità di carico”) per progettare e dimensionare i magazzini per la logistica, l’idea che si possa abitare in un oggetto simile farebbe automaticamente gettare anatemi contro la presunta mercificazione dei valori abitativi e lo svilimento della dignità della persona.
Se, invece, si pensa che l’impiego di container in edilizia già da tempo non solo ha consentito di arginare esigenze emergenziali di alloggi dovute a cataclismi o a imponenti flussi migratori ma ha anche dato luogo a interventi fortemente connotati da un punto di vista compositivo, offrendo spazi confortevoli e adeguati alle esigenze della vita quotidiana, allora ci si può anche ricredere dai consueti pregiudizi.
Lo dimostrano alcuni progetti che hanno saputo trasformare il simbolo più prosaico del trasporto intermodale in un “focolare” domestico: un casa intima dove rifugiarsi al riparo dalle tensioni cittadine e abbandonarsi ad un rapporto pacificante con la Natura (2 + weekend house di Jure Kotnic, Containers of Hope di Studio Saxe, Container House di Måns Tham, Escape Den di River and Rain, Squirrel Park di AHMM, Starburst House di Whitaker Studio, Floating Cubes di Younghan Chung Architects, Ventanilla Modules di TRS Studio); o una soluzione abitativa accogliente per esigenze temporanee di studio e lavoro, all’insegna della funzionalità e del dinamismo relazionale (Keetwonen di Tempohousing, Sea Container Housing di Travis Price Architects, Frankie & Johnnie di Holzer Kobler Architekturen).
Al di là di problematiche tecniche (soprattutto di coibentazione) che le ordinarie strutture metalliche in certi climi non risolvono, i vantaggi di un’abitazione in container sono diversi: dai costi ridotti rispetto alle abitazioni convenzionali, ai tempi rapidi di esecuzione, alla facilità di smontaggio e riallocazione, all’approccio sostenibile che prevede la riconversione di elementi non più utilizzati in logistica.
Per questo, in un’epoca di impoverimento generalizzato e di nomadismo globale, forse vale la pena interrogarsi sul ruolo di un’architettura “fluida” ed essenziale che, con un po’ di ruvido romanticismo e in barba al codice della permanenza nel costruire, abbraccia il valore universale dell’abitare come “nido protettivo”, qualunque e ovunque esso sia.