Abitare ai margini: 11 luoghi simbolici della periferia italiana

Edifici situati in periferie spesso degradate e conflittuali, seppure originariamente ispirati ai valori di uguaglianza sociale e dignità abitativa, raccontano storie non sempre a lieto fine del nostro passato recente.

Ernesto Nathan Rogers diceva che “i cadaveri dell’architettura rimangono insepolti”. Ed è quello che è capitato a molti interventi residenziali nella periferia italiana che, nell’intento di offrire alle fasce sociali più disagiate un alloggio degno di essere chiamato “casa”, testimoniano una volontà di riscatto dalla povertà e dalla discriminazione. Già a partire dai tempi della rivoluzione industriale si sviluppano visioni di città ideale concepite per ottimizzare la qualità della vita dei lavoratori (Villaggio Crespi) ma è soprattutto nel dopoguerra che le periferie assumono un ruolo “pilota” nella genesi di nuove politiche urbane. 

Tra le rovine, l’Italia si risveglia dall’incubo per ricostruire non solo lo spazio fisico ma anche le coscienze, partendo da un radicale ripensamento del tema della casa popolare e sviluppando un processo di revisione dei linguaggi e dei modelli urbani precedenti: tra il 1949 e il 1963 lo Stato avvia il piano Ina-Casa, un ampio progetto di edilizia residenziale pubblica promosso dall’allora Ministro del Lavoro Amintore Fanfani, funzionale alla strategia di contrasto alla crisi abitativa e all’incremento dell’occupazione della classe operaia.In bilico tra Neorealismo e Razionalismo, tra reinterpretazioni vernacolari intrise di approcci socio-psicologici da un lato e funzionalismo spinto dall’altro, diversi sono gli interventi che ridestano territori esanimi conferendo loro una nuova linfa vitale (Quartiere Tiburtino, Quartiere Mangiagalli II, Borgo La Martella).

A seguire negli anni, con il sempre più marcato perseverare della biforcazione tra i “sommersi” e i “salvati” della società (per parafrasare Primo Levi), l’esigenza mai sopita di offrire una opportunità di rinascita ai più bisognosi ha dato forma a interventi spesso ciclopici concepiti come un micro-cosmo urbano autosufficiente dove quello residenziale è solo uno degli aspetti della progettazione, paritetico al tema della valorizzazione dello spazio pubblico e della vita comunitaria (Vele di Scampia, Complesso Monte Amiata, Zen2, Complesso R-Nord, Quartiere Matteotti, Corviale, Quartiere Sant’Elia).

Giancarlo De Carlo, Quartiere Matteotti, Terni, 1969 – 1975
Vittorio Gregotti, Zen 2, Palermo 1969 – 1990

Purtroppo, molto spesso, i sogni riportati sulla carta nel corso del tempo si sono infranti sotto i colpi di composite dinamiche ambientali e socio-economiche che hanno esacerbato proprio la segregazione e l’ingiustizia sociale che le opere volevano contrastare: restano spesso le tracce di un’Utopia agonizzante, tra rigurgiti di cambiamento e sventolamenti di bandiera bianca, a farci riflettere ancora oggi sul ruolo dell’architettura nell’influenzare positivamente – o negativamente – i processi complessi di trasformazione del territorio e della società.

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