L’anti-design della club culture piemontese: le discoteche di Gianni Arnaudo

Con ironia e spirito iconoclasta Gianni Arnaudo ha progettato alcune tra le più iconiche discoteche radicali italiane, anticipando la critica del post-moderno tra politica e anti-design.

C’è stato un periodo storico – che partendo dagli anni ‘60 si è protratto, tra generi di culto e meteore, fino ai ‘90 – in cui, sull’entusiasmo del boom economico, in Italia si ballava. Anni in cui la controcultura giovanile trovava un punto di incontro con il design, dando così vita discoteche che trascendevano alla sola funzione di club, ergendosi a opere di anti-architettura.

Ciò accadeva, per quanto questo concetto possa oggi stupire, anche lungo strade statali tra campi e cascine ignare, attraverso le più decentrate province dello Stivale, come quella di Cuneo. È in questa zona che tra i Settanta e gli Ottanta l'architetto Gianni Arnaudo – prima con lo Studio65, poi in proprio – ha eretto alcune delle più iconiche discoteche della club culture italiana con un gusto per l’anti-design e una marcata ironia.

Lo abbiamo raggiunto nel suo studio, situato in Piazza Europa – la piazza modernista di Cuneo, che svetta in una città dai tratti d’un medioevo signorile che non riesce a celare la sua vera natura, quella montana, acerbamente generosa e contadina, perno della Resistenza che si snodò tra le sue valli – accoglie i visitatori con pezzi iconici quali l’attaccapanni Cactus di Drocco e Mello, il prototipo in ceramica del posacenere Colonna di Fumo e la Colonna di Piatti (nella collezione permanente del Centre Pompidou di Parigi), entrambi per Ceramiche Besio,  manifesti delle occupazioni studentesche del Sessantotto e, addirittura, uno dei due esemplari superstiti dell’Aliko, la poltroncina pensata per la discoteca Paolina B. 

Il costante equilibrio tra ironia e cultura dell’intrattenimento – oggi lo definiremmo clubbing – è una delle cifre più affascinanti del lavoro di Arnaudo, un architetto prestato al design o, forse, viceversa. L’opportunità per parlare del suo lavoro è duplice: da un lato la recente uscita dell’opera omnia Anti-Design (Skira) che raccoglie memorie, pensieri e raro materiale grafico e fotografico dagli archivi dell’architetto, dall’altra una nuova tappa – questa volta presso il Victoria & Albert Museum di Dundee, Scozia – di “Night Fever. Designing Club Culture, 1960 - Today”, la mostra sulla storia del design del clubbing che dal 2018 sta girando il mondo a cui Arnaudo ha collaborato.

Il cantiere della discoteca Flash Back di Borgo San Dalmazzo, Cuneo. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.
Il cantiere della discoteca Flash Back di Borgo San Dalmazzo, Cuneo. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

Forgiatosi più ‘controculturalmente’ che accademicamente nell’ambiente della facoltà di architettura del Politecnico di Torino nella seconda metà degli anni ‘60, nel capoluogo sabaudo Arnaudo trova terreno fertile per un approccio nuovo alla disciplina. Torino è, infatti, una città che pur essendo leggermente defilata rispetto al discorso artistico italiano può godere delle esperienze alternative del maestro capellone Gianni Milano, del contesto del Piper Club dove si esibiscono le Stelle di Mario Schifano, di una nutrita scena di artisti emergenti che oscillano tra arte Pop e Povera e dove nascono i primi esperimenti di quello che sarebbe stato definito come “design radicale”.

“Eravamo un gruppo di neolaureati e studenti che passavano in uno studio come continuazione dell’università e delle lotte studentesche. A partire dal Maggio 1967 ci fu la prima occupazione della facoltà di architettura presso il Politecnico di Torino. All’interno dell’Atelier Popolare allestito nei locali del Castello del Valentino, ho disegnato alcuni dei manifesti e delle grafiche delle contestazioni studentesche.”

Mentre gli studenti torinesi fanno irruzione negli uffici del Ministero della Pubblica Istruzione a Roma con una motocicletta, i muri della facoltà occupata di Torino si popolano di graffiti in cui molti docenti di quegli anni – tra cui il torinese Mollino – vengono caricaturizzati per sottolinearne con ironia il pensiero accademico e obsoleto. 

Eurodomus e la critica al capitale dell’anti-design

L’irriverenza e le idee di Arnaudo e compagni si concretizzano nel 1970 con la nascita dello Studio65 che presto cattura l’attenzione della stampa specializzata, come in un reportage di Casabella in cui, sotto i riflettori, è l’occupazione della facoltà torinese.    

Come nel caso dei gruppi radicali toscani, anche lo Studio65, pur nutrendo radici nell’architettura, si dedica a progetti in cui è la concettualità a dominare sulla pragmaticità, concedendo dunque per necessità uno spazio preponderante al design. Questo fil rouge che attraversa l’Italia viene messo in luce nel 1972 da due fondamentali eventi: la collettiva “Italy: The New Domestic Landscape” del Moma e dall’"Eurodomus 4" di Torino. Se Arnaudo manca l’appuntamento con la Grande Mela, a Eurodomus avviene il primo importante incontro con i colleghi toscani. 

“Ci siamo incontrati con gli esponenti di altri gruppi radicali italiani per la prima volta all’Eurodomus 4 di Torino nel 1972: c’erano quelli di UFO, di Superstudio, di Archizoom, di Strum. Mi ricordo di Lapo Binazzi e di tutti gli altri. Mi stupì constatare che sia loro che noi, seppur in luoghi diversi, avevamo una stessa base di pensiero. L’ironia ci legava tutti, c’era la volontà di sovvertire un certo mondo accademico. È il concetto di spirito del tempo.”

La Babilonia 72 dello Studio65 all'Eurodomus 4 di Torino dalle pagine di Domus n.512, Luglio 1972. Foto: archivio Domus.
La Babilonia 72 dello Studio65 all'Eurodomus 4 di Torino dalle pagine di Domus n.512, Luglio 1972. Foto: archivio Domus.

È all’Eurodomus che il manifesto dello Studio65 viene incarnato sia nel padiglione Gufram che espone pezzi destinati a diventare icone del design radicale italiano come il Cactus, Il Capitello, Il Pratone, ed il divano Bocca, che in Babilonia 72, lo stand dello studio. Qui trova spazio La Casa dell’Imperialista, un’installazione di antiarchitettura prodotta da Zanotta in cui i membri dello studio concepiscono una casa a forma di basamento di colonna e provvista di cinque bidet come esplicita derisione dell’opulenza dello stile di vita capitalista.

“Babilonia voleva simboleggiare la non interazione tra gli elementi architettonici e i periodi storici. Il concetto di Babilonia rappresentava l’antistoria, il gusto del non gusto,” spiega Arnaudo.

“La Gufram dei Fratelli Gugliermetto ci diede una fiducia quasi commovente: avevano coraggio e sensibilità per l’arte e per la musica. Giuseppe Gugliermetto, in una lettera, che mi indirizzò negli ultimi anni della sua vita, scrisse: ‘La passione c’era: poteva essere musica, è stato design.’”

Il padiglione Gufram realizzato dallo Studio65 è incarnazione di questa attitudine. “Il padiglione aveva un tirassegno perché noi affondavamo le nostre radici nella cultura popolare, nella sottocultura, nei parchi giochi, non nella cultura classica,” continua Arnaudo.

Barbarella, un’astronave radicale sulla strada del Sestriere

Per stessa ammissione di Arnaudo, concepire opere civili di antiarchitettura risultava come una sfida non semplice da affrontare per i committenti privati, di conseguenza ne derivò l’opportunità di confrontarsi con il mondo del clubbing, che all’epoca veniva visto – tanto in Piemonte che dal resto delle avanguardie radicali italiane (si pensi all’Altro Mondo di Rimini o allo Space Electronic di Firenze) – come un nuovo terreno di dialogo tra architettura, design, politica e cultura giovanile. 

È così che le irriverenti suggestioni antistoriche proposte in Babilonia 72 si incontrano con il gusto radicale trovando spazio nell'architettura delle discoteche.

La presentazione della discoteca Barbarella attraverso le parole dei membri dello Studio65 sulle pagine di Domus n.526, Gennaio 1973. Foto: archivio Domus.
La presentazione della discoteca Barbarella attraverso le parole dei membri dello Studio65 sulle pagine di Domus n.526, Settembre 1973. Foto: archivio Domus.

Tra queste si ricordano il Barbarella di Dubbione di Pinasca, Torino, progetto che vuole rappresentare un’astronave atterrata nella campagna piemontese ed il cui ingresso funge da varco per una dimensione extraterrestre da svilupparsi nel sottosuolo. Lo spazio interno, quadrato, è gradonato a mo’ di anfiteatro (un altro richiamo ironico all’opulenza neo-classica) e presenta l’innovativa concezione della cabina del DJ e del bar come due sfere sospese sul dancefloor. 

Ispirato, ça va sans dire, dall’omonimo film con Jane Fonda, il Barbarella viene descritto dallo Studio come “un’astronave visitata nel weekend dai Flash Gordon nostrani”. Insomma, tanto Pop anche nelle parole ritmate d’uno psichedelico onirismo felliniano e assurdamente dissacratorie con cui i membri dello studio torinese presentano il progetto su Domus n.526 del Settembre 1973. “Entrate, messieurs et mesdames, nel baraccone musicatissimo, a vedere un’autentica flotta siderale, reduce di viaggi millenari, ad ascoltare melodie d’altri cosmi, d’altri pianeti e sistemi stellari che volano a suon di mazurka, di meteore che ondeggiano col fox-trot.”

Se il Barbarella già recuperava elementi estetici e riferimenti simbolici impiegati nell’allestimento del negozio di articoli in pelle Skin Up, i futuri progetti per discoteche pensati da Arnaudo faranno virtù dell’attitudine al campionare e al riciclare, quasi a rispecchiare la tendenza al continuo cut-out di informazioni e prodotti della società capitalista. Si pensi, analogamente, agli ‘strappati’ di Rotella, alla poesia Borroughsiana o alla lirica Dylaniana che permeano la cultura Beat del tempo. 

Il manifesto del Flash Back disegnato da Gianni Arnaudo. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.
Il manifesto del Flash Back disegnato da Gianni Arnaudo. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

Flash Back: provocazione post-moderna e paradosso neoclassico

“Il mio è un design critico che si fonda su elementi quali l’ironia, l’irriverenza, la provocazione, la trasgressione, il paradosso, la decontestualizzazione, la decostruzione del linguaggio, l’assemblaggio di simboli, la sovversione.” 

Così Arnaudo illustra il suo manifesto che è tradotto anche nella progettazione insieme a Studio65 della discoteca Flash Back di Borgo San Dalmazzo, Cuneo. 

Il Flash Back mi fu commissionato da Gianni Marengo, che era un commerciante di piastrelle e un conoscente di mio padre. Si era presentato con un disegno fatto da lui: era una discoteca a forma di balena con la bocca aperta sulla statale che collegava Cuneo alla Francia. Mi sono subito detto ‘questo è il mio uomo!’”. 

Gli interni della discoteca Flash Back di Borgo San Dalmazzo presentavano un sistema di scale ispirato dalle Prigioni Immaginarie di Piranesi. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.
Gli interni della discoteca Flash Back di Borgo San Dalmazzo presentavano un sistema di scale ispirato dalle Prigioni Immaginarie di Piranesi. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

Inizialmente concepita come una discoteca da inglobare ad un estremo dello showroom di piastrelle di Marengo, il Flash Back fu progettato da Arnaudo combinando un insieme di forme geometriche (piramide, cubo, parallelepipedo, semisfera) che mischiavano il neoclassico all’orientale. Lo spazio si organizzava su più piani collegati attraverso un sistema di scale ispirate dalle Prigioni Immaginarie di Piranesi e dalle architetture impossibili di Escher. È il “progetto critico” – caratterizzato dalla ricerca di “Esasperazione, macroscopicizzazione, contaminazione, assemblaggio, bricolage”. Il risultato è un'opera che anticipa in maniera critica e ironica quello che sarà il movimento post-moderno.

Come nel caso del Barbarella, la discoteca è calata in un contesto extra-urbano e remoto, una scelta ricercata sia per aumentare l’attitudine situazionista e lo shock generato dal contrasto tra le architetture radicali e il paesaggio agreste, sia per motivi più ‘pratici’. Il costume di accompagnare in auto la ragazza corteggiata verso il club, era più che influente nell'edificazione di discoteche lungo strade provinciali.

Paolina B: definizione della poetica delle discoteche

Il successo della discoteca, porta in breve tempo Marengo a commissionare al solo Arnaudo – che nel frattempo aveva fondato il proprio studio professionale – la trasformazione del locale in un altro club, il Paolina B.  Il nome è un riferimento dissacratorio al più noto Jackie O di Roma, in quegli anni epicentro di una rinnovata Dolce Vita capitolina.

Allestito tra il 1980 e il 1983, il Paolina B esprime il pensiero di Arnaudo sulle discoteche. Citando Gian Battista Marino, “Dell’architetto è il fin la maraviglia, parlo dell’eccellente, non del goffo / chi non sa far stupir vada alla striglia".

Il club estende il discorso del Flash Back estremizzandone il gusto per l’opulenza neoclassica, allestendo tutti gli elementi del gusto barocco.

“Le forme geometriche erano simboli del potere utilizzate ironicamente. La musica era stata capace di azzerare tutte le differenze di classe. L’uso di elementi ripetuti, come richiami alla Paolina del Canova nel manifesto del Paolina B, erano un voler ridicolizzare i sistemi del capitale, come l’opulenza e l’uso dell’oro.. Recentemente ho visto le foto della villa di Trump. C’è chi come lui credeva e tutt’ora crede in questi elementi,” commenta Arnaudo.

Il manifesto del Paolina B utilizzava richiami all'estetica neoclassica e alla sua opulenza con fare dissacratorio.  Foto: Archivio Gianni Arnaudo.
Il manifesto del Paolina B utilizzava richiami all'estetica neoclassica e alla sua opulenza con fare dissacratorio. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

Attraverso specchi e luci dalle palette blu e fucsia – parzialmente in linea con il gusto dei club della costa di Miami – Arnaudo si fa anticipatore dell’estetica vaporwave che verrà, una sintetica e ironica opulenza al neon rispecchiata dal poster del Paolina B che cala Palladio nell’Italo Disco.

“Stupire significa utilizzare materiali, impianti, luci, suoni e musiche per disorientare lo spettatore verso un nuovo sogno,” spiega Arnaudo. 

Edificato in contemporanea con il saggio Kitsch: Antologia del Cattivo Gusto in cui Gillo Dorfles condanna apertamente lo stile, il progetto di Arnaudo vuole invece smarcarsi da questa visione del cattivo gusto forse eccessivamente severa.

“Nel kitsch va colta l’allegoria, l’ironia, l’assurdità, la carica eversiva rispetto all’oggetto ‘sacrale’ prodotto dal freddo e asettico razionalismo,” commenta Arnaudo.

Già a partire dal 1976, quando alcuni membri dello Studio65 optarono per una carriera in Arabia Saudita, Arnaudo è rimasto fedele al cuneese per quella che a sua detta fu “una scelta militante. Consideravo la mia decisione di rimanere a operare in zona come il frutto delle lotte politiche a cui avevo preso parte negli anni precedenti.” 

I giochi di parole, ficcanti e brillanti, sono rimasti nelle corde di Arnaudo che negli anni non ha mai smesso di concepire oggetti di design come i tavoli Dejeneur sur l'Arbre e Tea Time per Slide. Nelle discoteche vengono definiti i tratti della poetica di Arnaudo presenti in opere successive quali la cantina L’Astemia Pentita di Barolo o lo stabilimento industriale Maina di Fossano, Cuneo. 

Il futuro del clubbing passa per i giovani

Oggi Arnaudo è refrattario a tornare sui luoghi delle sue discoteche. C'è amarezza per le mancate tutele e rigenerazioni di luoghi culto della cultura pop occidentale. Gli interni distrutti, le sedute perdute, le strutture fatiscenti in mano a contenziosi burocratici che mettono in luce lo stato comatoso in cui verte la club culture in Italia. 

L'architetto Gianni Arnaudo, terzo da sinistra, al vernissage della mostra "Night Fever. Designing Club Culture, 1960s - Today" presso il Vitra Design Museum di Vienna, 2018. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.
L'architetto Gianni Arnaudo, terzo da sinistra, al vernissage della mostra "Night Fever. Designing Club Culture, 1960 - Today" presso il Vitra Design Museum, 2018. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

“Questo ero io, più giovane, con i capelli lunghi, i pantaloni a zampa d'elefante e la sigaretta accesa. La foto è stata scelta da Jochen Eisenbrand, curatore del Vitra Design Museum e co-curatore della mostra [“Night Fever”], perché, secondo lui, rappresentavo i giovani di quel periodo,” racconta con un pizzico di malinconia Arnaudo mostrando una sua foto sul cantiere del Flash Back.

Alla luce di un decennio in cui anche le storiche discoteche figlie dei ‘70 hanno ceduto il passo a un pattern di aggregazione giovanile prepotentemente orientato verso il modello urbano della movida, Arnaudo vede il futuro del clubbing come un onere delle nuove generazioni.  

Immagine di apertura: L’architetto Gianni Arnaudo sul cantiere della discoteca Flash Back, Borgo San Dalmazzo, Cuneo. Foto: Archivio Gianni Arnaudo.

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