Kenneth Frampton: “Una facciata verso il cielo”

Della collaborazione, pur sostanziale, fra Louis I. Kahn e Luis Barragán per la corte del Salk Institute rimangono poche tracce. Fu infatti il maestro messicano a suggerire di mantenere una materialità minerale.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1053, gennaio 2020.

Nell’industria cinematografica è difficile rendere giustizia alla lunga serie di figure, responsabili di ogni dettaglio che compare in un’opera, elencate nell’infinita lista di crediti con cui termina ogni pellicola. Seppure in misura minore, questo è anche il caso dei riconoscimenti che accompagnano un’architettura. A parte il merito accordato da Kahn a Barragán nel ricordo aneddotico che segue, l’architetto messicano, per quanto ne so, non è mai stato formalmente accreditato come collaboratore.

“Avevo chiesto a Barragán di venire a La Jolla e di aiutarmi nella scelta delle piante per il giardino (...) Quando è entrato nella corte, si è avvicinato ai muri di cemento, li ha toccati e ha espresso la sua ammirazione aggiungendo, mentre il suo sguardo si spingeva verso il mare, ‘non metterei un albero o un solo filo d’erba in questo spazio. Questo luogo dovrebbe essere di pietra, non un giardino’. Io e il dottor Salk ci siamo guardati ed entrambi abbiamo ritenuto che avesse perfettamente ragione. Sentendo la nostra approvazione, Barragán aggiunse con gioia: ‘Se trasformi questo spazio in un luogo, otterrai una facciata, una facciata verso il cielo’”. L’importanza della corte deriva dal fatto che Kahn aveva collocato su entrambi i lati gli eleganti uffici degli scienziati, che contrastano con il carattere industriale dei laboratori situati dietro alla corte e al livello sottostante. Nel progetto strutturale iniziale dell’ingegner August Komendant, i laboratori erano coperti con piastre curve di cemento armato ad ampia campata, la cui monumentalità tettonica avrebbe conferito loro un carattere altrettanto distinto. Questa sezione espressiva è stata infine abbandonata a favore di una soluzione più semplice ed economica.

La gargolla monumentale che incanala l’acqua verso l’Oceano in uno scatto recente. Foto © Darren Bradley

In retrospettiva, sia Kahn sia Barragán possono essere visti come architetti proto-postmoderni: alla fine degli anni Cinquanta, entrambi
si erano allontanati dal Movimento Moderno, non solo per come si era evoluto in Europa tra le due Guerre mondiali, ma anche per via di quanto era emerso dopo il 1945, nel Neo-Miesianesimo apparso a Chicago, New York e Città del Messico durante il primo decennio del Dopoguerra. Nonostante il suo breve legame con Max Cetto, architetto tedesco emigrato in Messico, nel suo costante ruolo di architetto-imprenditore Barragán sarebbe stato influenzato dal suo viaggio attraverso il Nord Africa e in Francia durante la prima metà degli anni Trenta, in particolare in Marocco, dove fece il suo primo incontro con l’architettura islamica,
e dal sud della Francia, dove ebbe modo di visitare i giardini Art Deco di Ferdinand Bac. L’influenza di queste esperienze divenne evidente nel suo lavoro dopo l’acquisto del vasto terreno di Pedregal, teoricamente non edificabile, che Barragán aprì al pubblico per la prima volta con le fontane del giardino e le scenografie scultoree disegnate dallo scultore tedesco Mathias Goeritz.

Kahn, col suo passato molto pragmatico di architetto durante
il New Deal negli anni Trenta, avrebbe finalmente superato l’influenza
di Mies nella sua Yale Art Gallery a New Haven, in costruzione
dal 1952, anno della sua residenza all’Accademia americana di Roma.
Il soggiorno romano gli avrebbe consentito di visitare le rovine della Grecia e dell’Egitto, che ebbero l’effetto di riportarlo all’assonometria spazialmente didattica dell’Histoire de l’Architecture di
Auguste Choisy (1899) da lui letta per la prima volta come studente
di Paul Philippe Cret a Filadelfia negli anni Venti.

Il contributo di Barragán al Salk Institute derivava non solo dal suo apprezzamento per l’architettura islamica, ma anche dalla
sua passione per le fontane, evidente nei giardini che progettati per
le residenze di Los Árboledas e Los Clubes nella seconda metà anni Cinquanta. La leggenda narra che Barragán, dopo aver consigliato Salk e Kahn a La Jolla, nel suo tipico modo da sedicente aristocratico, andò a San Diego a cavallo con un amico e tornò particolarmente soddisfatto, essendo riuscito a raccogliere altri fondi per completare il progetto. Tutte queste circostanze hanno portato a far sì che il Salk Institute sia l’unico lavoro di Kahn a impiegare una fontana centrale e un canale assiale, caratteristica che testimonia l’influenza della tradizione islamica. L’acqua sgorga da una fonte cubica di cemento rivestito in travertino e viene scaricata nell’Oceano Pacifico alla fine del canale attraverso una monumentale gargolla. Ciò, a sua volta, può essere letto come l’alfa e l’omega della tradizione ebraica.

L’altra figura fondamentale per il Salk Institute, come in quasi tutto il lavoro istituzionale di Kahn, fu August Komendant, a cui va attribuito
il progetto dei piani di servizio interstiziali inseriti tra ogni livello
del laboratorio open space, strutture cave in lamiera piegata che fungevano anche da corridoi dai quali i laboratori soprastanti e sottostanti potevano agevolmente essere riforniti di quanto necessario. Tale struttura ondulata conferiva ai laboratori un carattere vagamente monumentale. In realtà, questa forma espressivamente tettonica fu abbandonata perché costosa, mentre i piani di servizio furono realizzati in forma di lastre piatte stese sulle travi Vierendeel di cemento.

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