Storia della volta, dall'antica Mesopotamia a oggi

Ripercorriamo l'evoluzione di un elemento architettonico antichissimo, che fu frequentissimo in epoca romana e gotica, e che ha avuto una nuova vita nel Novecento, grazie all'impiego massiccio di materiali come cemento e acciaio. 

La volta è una struttura di copertura dalla superficie curva e con la concavità rivolta verso l’interno dello spazio da coprire. È strettamente connessa con l’arco: la sua superficie si sviluppa nello spazio per estensione del profilo di un arco che, se ruotato, genera invece la cosiddetta cupola. Il termine volta deriva in effetti dal latino volgare volvitare, intensivo di volvere, e significa volgere, rotolare, far rotolare, far girare.

Le origini della volta sono lontane: appare in Mesopotamia e in Egitto, dove la ricchezza di argilla determina che sia il mattone il materiale più utilizzato per le costruzioni: la volta permette di realizzare coperture di ambienti molto ampi utilizzando materiali da costruzione molto piccoli. È infatti assente in Grecia, dove la lavorazione dei grandi blocchi di pietra favorisce i sistemi trilitici, mentre ha uno straordinario sviluppo con l’architettura romana e con quella gotica, durante le quali sono messe a punto molte varianti.

Nel corso del Novecento l’utilizzo del cemento armato e dell’acciaio ha dato un nuovo impulso alle volte e ha determinato che diventassero degli elementi dotati di un’espressione autonoma.

Chaitya, sale voltate dell’architettura buddista

“Nervate” sono le volte che contraddistinguono gli spazi delle architetture industriali che, denominate “parabolodidi”, solo in Italia superano i novanta esemplari. Alcune di esse, come ad esempio gli stabilimenti della Montecatini ad Assisi tradizionalmente attribuiti a Riccardo Morandi e Pier Luigi Morandi, sono state recentemente recuperate e restituite ai relativi territori per fini culturali, altre come lo stabilimento di Pier Luigi Nervi a Recanati attendono nuovi utilizzi.

“Sottili” con andamento parabolico sono le volte che caratterizzano la Chiesa a Pampulha di Oscar Niemeyer e che interpretano una poesia di Paul Claudel; “sottili” spesso con andamento sinusoidale sono le volte delle numerose architetture messe a punto da Felix Candela, tra cui il Ristorante Los Manantiales a Xochimilco o lo stabilimento Bacardi a Cuautitlán; in quest’ultimo edificio le volte sono segnate anche da tagli vetrati. Erede della tradizione costruttiva spagnola interessata a conferire significato estetico all’elemento costruttivo, Santiago Calatrava mette a punto volte in cui l’accento non è posto sulla continuità dei sottilissimi involucri in cemento che le definiscono, come nel lavoro di Candela, bensì sulle nervature che le compongono, siano esse emergenti dalla struttura cementizia, siano esse composte da nude travi in acciaio. 4,2 chilometri di travi di acciaio compongono le volte che contraddistinguono il Paul Klee Zentrum a Berna di Piano Building Workshop: qui le volte sono pensate in armonia con il paesaggio circostante.

Il termine volta deriva in effetti dal latino volgare volvitare, intensivo di volvere, e significa volgere, rotolare, far rotolare, far girare

La volta, talora, è impiegata dagli architetti come allusione a componenti sperimentate nel tempo e, in questi casi, la chimica di un linguaggio poetico forgia nuove unità pur partendo da elementi legati a vario titolo alla tradizione. Il Kimbell Art Museum di Louis Kahn, ad esempio, si basa sull’idea archetipica dello spazio voltato a botte e moltiplicato. Un’idea semplice, eppure risolta con intensità: il museo è caratterizzato da un sistema di volte nelle cui chiavi sono inseriti dei lucernari continui; luce, legno, travertino, cemento e verde i materiali utilizzati. Allusione delle architetture romane ed espressione aggiornata di un’istituzione umana, per Kahn “la volta sembra essere quanto di meglio abbiamo; la luce deve scendere da una sorgente in alto, preferibilmente ricavata allo zenith. La volta non si solleva a grande altezza: non ha modi maestosi, ma appropriati alla scala umana; evoca un senso di familiarità e di sicurezza”. Delle basse volte parallele caratterizzano anche lo studio di Balkrishna Doshi eppure, in questo caso, le volte sono un’allusione alle “chaitya”, le sale voltate dell’architettura buddista: ideate all’interno di planimetrie che alludono a quelle dei templi dell’India del Sud e composte in aderenza agli articolati ritmi delle musiche indiane, le volte si inscrivono, in questo caso, nella necessità di realizzare un’architettura che “riflette lo stile di vita sociale e le componenti spirituali locali”.

E se le volte a doppia curvatura e le volte autoportanti, sono al centro della pluriennale ricerca di Eladio Dieste, quando gli strumenti computazionali contemporanei sono applicati alle tradizionali tecniche artigianali, essi consentono di mettere a punto configurazioni inedite. La volta catalana cifra, ad esempio, degli interni della Maison Jaoul di Le Corbusier, ha oggi assunto un andamento articolato: la sinuosa volta di Bricktopia, una struttura messa a punto dal collettivo Map 13 a Barcellona, è realizzata tramite la tradizionale tecnica delle volte catalane.

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