Storia e successo delle costruzioni prefabbricazione

Rik Nys analizza la storia delle costruzioni prefabbricate, tracciando una mappa delle implicazioni culturali e politiche di questo approccio. Da Domus 1047.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1047, giugno 2020.

Il primo riferimento scritto a un edificio prefabbricato risale al XII secolo e si trova nel poema epico sulla storia dei duchi di Normandia che parte dal vichingo Rollone. Robert Wace vi descrive un castello assemblato con un sistema di componenti trasportati via nave. È facile osservare come la competenza dei vichinghi nelle costruzioni navali venisse applicata alla costruzione di castelli cintati in posizione sopraelevata (a “motta castrale”), che potevano essere realizzati rapidamente in territorio nemico.

Dopo diversi secoli e spostandoci nella sfera domestica, vediamo come la maggior parte delle case della Londra elisabettiana comprendesse elementi prefabbricati di legno. Il rovere, duro e resistente alle intemperie, era l’essenza preferita da utilizzare a due anni dal taglio, ma ci sarebbero voluti anni prima di poterlo usare in edilizia. La prefabbricazione di elementi strutturali da effettuare fuori dal cantiere si dimostrò una strategia efficiente per le aree urbane a maggiore densità. Il tetto di Westminster Hall, costruito con una campata di poco più di 20 m alla fine del Trecento, venne prefabbricato a Farnham, 67 km a sud-est di Londra.

La più antica struttura interamente prefabbricata documentata è la Nonsuch House (la “Casa senza eguali”), completata nel 1579 ed eretta in mezzo al London Bridge. Alta quattro piani, venne prima costruita in Olanda e poi trasportata a Londra via mare in varie sezioni. Venne montata sul ponte usando esclusivamente pioli di legno. Gli storici tendono a interpretare il nome Nonsuch come un riferimento a un palazzo di Enrico VIII nel Surrey, ora scomparso, così chiamato perché non c’era in nessun luogo un palazzo che ne eguagliasse la magnificenza. Ma quel nome può anche indicare il carattere unico della tecnica costruttiva della casa, senza precedenti nel settore. L’edificio venne demolito nel 1757 per consentire l’ampliamento del passaggio sul ponte.

La Nonsuch House, completata nel 1579 ed eretta al centro del London Bridge. Dettaglio di Long View of London di Wenceslaus Hollar, 1670 circa. Foto © Heritage Image Partnership Ltd / Alamy Foto Stock

Dal XVIII secolo, nell’America settentrionale, montare e poi sollevare da terra grandi fienili di legno diventò un’occasione da celebrare, emblematica dello spirito dei pionieri. Ai primi del Novecento, diversi venditori iniziarono a consegnare case da montare ordinate per posta, accalappiando i potenziali clienti con cataloghi dalle immagini fiabesche. Sears, Roebuck and Co. dichiarò di avere venduto, nell’arco di 34 anni, 70.000 abitazioni: dalle residenze coloniali su due livelli ai bungalow a un solo piano. Molte venivano montate dai neoproprietari con l’aiuto di amici e vicini, in un’eco della tradizionale costruzione del fienile delle comunità contadine. Ma questo clima idilliaco cambiò radicalmente quando l’avanguardia dell’epoca moderna passò al calcestruzzo che, abbinato all’acciaio, divenne il materiale da costruzione più utilizzato.

Dal XVIII secolo, nell’America settentrionale, montare e poi sollevare da terra grandi fienili di legno diventa un’occasione da celebrare

Influenzato dai principi del movimento della Città giardino, l’architetto tedesco Ernst May – allievo in Gran Bretagna di Raymond Unwin – dal 1925 al 1930 fu architetto e urbanista della città di Francoforte. May realizzò in via sperimentale alloggi popolari accuratamente concepiti con ampi servizi comunitari, spazi all’aperto e infrastrutture generali. Adottò forme prefabbricate semplificate, attrezzate con la celebre cucina di Francoforte progettata da Margarete Schütte-Lihotzky. Ne vennero costruite 10.000 unità e l’idea si consolidò in un progetto veloce ed efficiente, fabbricato a basso costo secondo i parametri dell’Existenzminum per la vita domestica. Elogiato al CIAM del 1929, si dimostrò un successo per la critica e per la società, e furono in molti, in diversi Paesi, a seguirne le orme, elaborando idee analoghe.

I pannelli di calcestruzzo prefabbricato rinforzato in acciaio offrivano nuove possibilità con cui la costruzione di legno massello non poteva competere. Nei Paesi europei, la produzione di queste case modulari prefabbricate ebbe un incremento straordinario perché rispondevano alla comune e grave carenza di alloggi conseguente alla Seconda guerra mondiale.

Costruzione collettiva di un fienile a Lansing (ora North York City Center), Toronto, Canada, 1900 circa. Foto © Historic Collection / Alamy Foto Stock

La prefabbricazione di repertori modulari che permettevano una rapida costruzione dalle linee semplici venne promossa da Nikita Chruščëv, che criticava il gusto staliniano del pastiche neoclassico. Dopo la morte di Stalin, nel 1953, venne rilasciato dai campi di lavoro un numero incalcolabile di detenuti e Chruščëv, in meno di 10 anni, realizzò edilizia residenziale in serie per 54 milioni di persone. Proclamò un cambiamento radicale dell’urbanistica e dell’edilizia, aggiungendo che, da allora in poi, la prefabbricazione sarebbe stata l’unico sistema di costruzione dell’Unione Sovietica.

La cultura meccanica richiesta da questa modalità produttiva aveva fatto i suoi esordi negli anni Trenta con un pioniere francese di nome Raymond Camus. Ispirandosi alla produzione automobilistica in serie statunitense del modello T di Henry Ford, Camus cercò di sviluppare una casa a basso prezzo prodotta in catena di montaggio, suddividendola in componenti distinti, dando all’impresario edile solo il compito di preparare il sito e di montare in loco pareti, pavimenti e soffitti già completi di tutti gl’impianti. Dopo la Seconda guerra mondiale, Camus ottenne parecchi incarichi in Francia per la fornitura di migliaia di alloggi, continuando a elaborare modelli differenti. Il successo del suo prodotto fu notato dal Governo sovietico, che ne acquistò il brevetto. Facendone un uso politico, Chruščëv fu ben lieto di regalare pannelli prefabbricati e perfino intere fabbriche alle nazioni amiche di tutto il mondo.

L’idea della cucina di Francoforte si consolidò in un progetto veloce, efficiente e a basso costo secondo i parametri dell’Existenzminimum per la vita domestica

Chiunque abbia visitato Cuba avrà notato l’onnipresenza di edifici a pannelli donati dall’Unione Sovietica. Non si può fare a meno di chiedersi se questi sottilissimi pannelli siano adatti a condizioni climatiche estreme, tenendo conto che gli stessi componenti si possono trovare in Siberia e nella Germania orientale (dove vengono chiamati Plattenbauten). I cubani rimediarono all’inconveniente semplicemente cercando di sigillare ermeticamente g’interni e affidandosi completamente all’aria condizionata. Peraltro, oggi che gli uragani devastano l’isola con frequenza sempre maggiore, i Plattenbauten si dimostrano di gran lunga più resilienti di qualunque altro sistema edilizio del Paese.

Negli ultimi 20 anni, tuttavia, questi sistemi di pannelli di calcestruzzo hanno risentito di connotazioni politiche negative e sono stati giudicati fisicamente tossici per i materiali comunemente impiegati: cemento e amianto. Allo stesso tempo, è curioso notare come i pezzi d’arredo contemporanei della prima modernità, prodotti in serie e a basso costo, nel frattempo siano diventati molto ricercati.

Vista della Smallhouse progettata dallo studio svizzero Bauart Architekten und Planer. Realizzata in legno, è interamente prefabbricata e ha una superficie di circa 75 mq. Foto courtesy Bauart Architekten und Planer

Il colpo di grazia glielo ha dato Wolfgang Becker nel suo film Good Bye Lenin! del 2003, quando la protagonosta madre di famiglia, guardando fuori della finestra, osserva una grande insegna pubblicitaria della Coca-Cola che si srotola sopra la facciata di un Plattenbau. Il capitalismo avrà anche superato il comunismo, ma il vento potrebbe ancora cambiare. Molti berlinesi hanno cominciato a provare un po’ di nostalgia per i Plattenbauten di Berlino Est e investitori di tutto il mondo hanno iniziato a rivalutare alcune delle idee alla base della prefabbricazione modulare.

Molte delle connotazioni negative del grigiore della prefabbricazione oggi vengono aggirate con un nuovo nome: il DFMA, Design for Manufacture and Assembly, che oggi si presenta come un metodo produttivo all’avanguardia e, come ci si può aspettare, offre credenziali di sostenibilità, produce meno sprechi, riduce i trasporti, offre più sicurezza e più affidabilità, è completamente testato, propone una gamma di varianti per interni ed esterni, viene realizzato a costi di montaggio più bassi: la lista è lunga. Anche se lo si considera un nuovo vestito per le vecchie idee, si tratta di un settore importante e andrebbe preso sul serio, se si pensa che un quarto della popolazione mondiale attualmente vive in alloggi prefabbricati: il che significa oltre 1,9 miliardi di persone, e la domanda non è in calo.

In Svezia, IKEA ha intrapreso una collaborazione con il gigante delle costruzioni Skandia per produrre BoKloks, unità modulare destinata a un sistema di villaggi cui i potenziali costruttori devono aderire. In Gran Bretagna, una nota società d’assicurazioni ha costituito una nuova divisione che costruisce abitazioni modulari, mentre un’iniziativa analoga è stata varata da una grande impresa edile. Entrambe puntano a rendere più tempestiva la loro capacità di affrontare la crescente carenza di abitazioni nel Paese.

Vista della cucina di Francoforte, pensata per rendere più efficiente il lavoro. Negli anni Venti del secolo scorso ne sono state costruite 10.000 unità. Foto © MAK – Museum of Applied Arts, Vienna

È interessante notare come il DFMA faccia alcuni passi indietro e torni al legno come materiale principale. Invece di usare alberi ultracentenari, fa ricorso al legno lamellare incrociato. Per ogni fautore di questo materiale c’è anche un detrattore, e forse si avverte da tempo il bisogno di una valutazione adeguata e non partigiana di tutti i materiali industriali e del loro effetto sull’ambiente, dal punto di vista locale e da quello mondiale. È comprensibile che adottare lo strumento della valutazione del ciclo di vita (LCA, Life-Cycle Assessment) ponga dei problemi alla prefabbricazione in serie dei componenti, dato che non è possibile prevedere come i materiali saranno smaltiti dopo la produzione.

Anche il ruolo dell’architetto, d’altra parte, ha bisogno di una prospettiva nuova. Alcuni progettisti, come Bauart Architekten und Planer in Svizzera e Studio Bark in Gran Bretagna, si sono seriamente impegnati in questo settore puntando sui sistemi ingegnerizzati, in alcuni casi da montare a cura degli stessi utenti finali. In Estonia, lo studio Kodasema OÜ ha messo in commercio unità abitative che si possono trasportare sul sito già montate.

Tutte queste iniziative progettuali provano che la casa prefabbricata è ben lontana dall’estinzione. Anzi, in un modo o nell’altro, sta tornando ai pacchetti di autocostruzione ordinati per posta degli inizi del XX secolo, accessibili esclusivamente a chi è (relativamente) benestante. Occorre affrontare (o affrontare di nuovo) una sfida di maggiore respiro: come ampliare un sistema minimo dotandolo del massimo delle qualità per quelle comunità che, in ogni parte del mondo, ne hanno urgente bisogno.

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram