Ponti viventi per un’urbanistica interspecie

Ricercatori di Ca’ Foscari raccontano a Domus il loro viaggio in un remoto villaggio dell’India per studiare i ‘ponti viventi’ fatti con le radici degli alberi: un sapere antico della cultura Khasi e un punto di partenza per pensare a un’urbanistica interspecie.

Bnoh Buhphang, costruttore di ‘ponti viventi’

Foto Costanza Sartoris

Il villaggio di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang che osserva un albero di caucciù

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ponte di cemento nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang testa una radice aerea mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang su un ‘ponte vivente’ da lui costruito

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai, dettaglio

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Camminamento di un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ allo stato embrionale nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ allo stato embrionale nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Non ero nemmeno riuscita ad accendere la fotocamera che Bnoh si era già arrampicato sull’albero per iniziare la manutenzione di un ponte naturale che sta crescendo a circa venti minuti a piedi dal villaggio. Bnoh Buhphang è un uomo Khasi di quarantadue anni, che da venti vive a Nongblai, un villaggio nel nord-est dell’India. Lavora principalmente con il bambù, con il quale crea manufatti da vendere al mercato. Con il bambù non solo intreccia cestini e intaglia tradizionali flauti Khasi - di cui apparentemente è il più talentuoso produttore nel villaggio, ma col bambù Bnoh riesce anche a costruire ponti. Tuttavia, la sua specialità riguarda una delle tante meraviglie che caratterizzano i dintorni di Nongblai: i ponti di radici viventi.

In qualità di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, stiamo conducendo una ricerca sulla cultura Khasi per capire come vengono costruiti i ponti di radici viventi e come questi si intrecciano con l’habitus culturale locale. Costruire un ponte di radici viventi non è un compito facile, e la sua manutenzione è altrettanto impegnativa, soprattutto nelle fasi iniziali. Bnoh è uno dei pochi uomini a Nongblai in grado di farlo, ed è stato così gentile da permetterci di assistere a questa pratica, informandoci che a breve avrebbe svolto la manutenzione stagionale di un timido ponticello di pochi anni. E quindi eccoci lì, di fronte a un insieme confuso di radici aeree di un albero di caucciù. Proprio come un equilibrista, Bnoh si è arrampicato sulla radice aerea principale, fissata nel terreno, e ha iniziato a lanciare, tirare, sondare e annodare insieme altre radici aiutandosi con un lungo bastone di bambù, ispirato da una visione che apparentemente esiste ancora solo nella sua mente. Infatti, solo nei prossimi 20 anni, se continuerà questa pratica di manutenzione con la stessa dedizione e con l’aiuto degli altri uomini della comunità, questo garbuglio di radici crescerà e diventerà il diciannovesimo ponte vivente del villaggio.

Un tradizionale ponte di bambù nell’area di Nongblai. Foto Costanza Sartoris

Nongblai è un piccolo villaggio situato sul fondo di una valle circondata da ripide colline e foreste, nei Monti Khasi Orientali nello stato del Meghalaya (India) e vicino al confine con il Bangladesh, in una delle regioni più piovose del mondo. Raggiungibile unicamente a piedi dalla strada principale più vicina, scendendo per un pendio costituito da circa 8.000 gradini, Nongblai è abitato da circa duecentocinquanta persone, appartenenti alla tribù matrilineare dei War-Khasi. La vita degli abitanti del villaggio è strettamente legata alle foreste circostanti, poiché il sostentamento di molte famiglie dipende proprio da queste: dal cibo che vi cresce e dalle piante che vi vengono coltivate, raccolte e in seguito scambiate al mercato. Per portare avanti le loro attività, è fondamentale per loro poter camminare facilmente nei boschi e attraversare i crepacci e i fiumi. Tuttavia, mentre in primavera i fiumi sono tranquilli, durante la stagione dei monsoni le acque scorrono impetuose: questo spesso rende difficile agli abitanti del villaggio attraversare i tradizionali ponti di bambù o i moderni ponti in cemento, poiché rischiano di venire trascinati via dalla forza della corrente.

Mentre gli animali basano la propria sopravvivenza grazie alla capacità di muoversi (proprio come per uomini), le piante, che sono esseri viventi sessili, basano la propria sopravvivenza grazie alla crescita. Quindi, se consideriamo le risorse come entità viventi, l’unico modo ottenere qualcosa in cambio da loro è quello di costruire un’impalcatura per permetterci di instaurare un “dialogo” con loro

Da secoli, la necessità di trovare una soluzione al problema dell’attraversamento dei fiumi ha portato i Khasi a sviluppare strategie alternative per la costruzione dei ponti, ideando quelli che oggi sono in gran parte conosciuti come “ponti viventi”. Notati per la prima volta alla fine del XIX secolo dal botanico britannico Sir Joseph Dalton Hooker che, incuriosito dal loro aspetto, li ritrasse nel suo taccuino, i ponti di radici viventi sono andati inosservati fino a un paio di decenni fa, anche dalla stessa popolazione locale. Infatti, prima del 2003 l’intera area dei War-Khasi era sostanzialmente sconosciuta al mondo, finché un piccolo borgo della regione non ha ottenuto il premio come “Villaggio più pulito in Asia” da parte della rivista Discover India. L’evento ha alimentato il turismo e accresciuto l’interesse per le amenità locali, anche i ponti di radice viventi hanno riscosso un’enorme popolarità, diventando un must per gli amanti della natura e per gli amanti del trekking più avventurosi. Costruiti con le radici aeree degli alberi di caucciù (Ficus elastica), i ponti si snodano principalmente su alte rupi o in fondo a ripide valli sugli argini dei fiumi, risultando estremamente variegati in termini di forma e dimensioni. È incredibile come, pur essendo parte integrante del paesaggio ed estremamente importanti per gli spostamenti dei Khasi, si sappia davvero poco sulle tradizioni, le credenze, le pratiche costruttive e soprattutto sulle conoscenze botaniche relative a questi incredibili artefatti. La nostra ricerca è iniziata proprio a Nongblai perché è un villaggio fuori dai principali itinerari turistici e perché, con i suoi diciotto ponti viventi, rappresenta il luogo ideale per studiare questo fenomeno.

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai. Foto Costanza Sartoris

Dal nostro lavoro sul campo è emerso che i War-Khasi si rapportano con la natura in un modo totalmente diverso dal nostro. I Khasi sono tradizionalmente una società animista: credono che ogni elemento della natura sia “vivo”, e quindi in grado di agire intenzionalmente, per parafrasare la definizione di animismo data da Philippe Descola nella sua opera fondamentale “Oltre natura e cultura”. Utilizzare le risorse della foresta implica quindi stabilire un equo scambio tra l’uomo e le risorse stesse. Questo accade anche quando si ha a che fare con gli alberi di caucciù. Molte delle storie sulle popolazioni dei Monti Khasi Orientali parlano del potere del Ficus elastica: si narra addirittura che questo albero sia in grado di rubare l’anima di chi lo pianta, nel caso in cui l’ombra di questa persona cadesse nel buco in cui si intende posizionare l’albero di caucciù. Questo ci porta a un’altra considerazione: se le risorse sono viventi, per capire l’interscambio che avviene tra l’uomo e le piante durante la costruzione dei ponti viventi è necessario rivedere le definizioni di base della nostra concezione occidentale delle risorse. Infatti, la nostra tradizione economica vede le risorse come entità scarse e passive, che vengono strategicamente utilizzate dall’uomo per i suoi scopi, come affermava Lionel Robbins già nel 1932. Tuttavia, i ponti viventi sono tutt’altro che passivi: sono esseri viventi che agiscono e si comportano in un modo tale che apparentemente solo la cultura dei War-Khasi è stata in grado di osservare, riuscendo a costruire strutture che diventano anno dopo anno sempre più solide e forti. Il Ficus elastica agisce e si comporta proprio come farebbe una pianta e, come hanno dimostrato alcuni recenti studi di botanica, le piante usano strategie di sopravvivenza molto diverse dalle nostre (una bella introduzione alla biologia vegetale è data da Francis Hallé nel suo libro “Eloge de la plante: Pour une nouvelle biologie”, mentre si può imparare molto sul botanica comportamentale leggendo le approfonditissime ricerche di Stefano Mancuso).

Bnoh Buhphang mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’. Foto Costanza Sartoris

Ad esempio, mentre gli animali basano la propria sopravvivenza grazie alla capacità di muoversi (proprio come per uomini), le piante, che sono esseri viventi sessili, basano la propria sopravvivenza grazie alla crescita. Quindi, se consideriamo le risorse come entità viventi, l’unico modo ottenere qualcosa in cambio da loro è quello di costruire un’impalcatura per permetterci di instaurare un “dialogo” con loro. A questo punto, la domanda che sorge spontanea è: come hanno fatto i Khasi a sviluppare tali conoscenze sulle piante? Sfortunatamente non conosciamo ancora la risposta, poiché la nostra ricerca, che si cerca proprio di rispondere a questa domanda, si trova ancora in uno stadio iniziale. Ciò che è sappiamo per certo, però, è che la comprensione dell’interazione uomo-pianta nella costruzione dei ponti viventi potrebbe fornirci uno strumento utilissimo per immaginare il futuro dell’ambiente. Questa “urbanistica interspecie” è possibile anche al di fuori di Nongblai? Se tradizionalmente il nostro ambiente urbano ci ha portato a una sorta di “cecità” nei confronti delle piante, al contrario il folklore, le credenze e le tradizioni dei Khasi gli hanno permesso di vedere e conoscere veramente le piante presenti nel loro ambiente. Questo è particolarmente vero osservando il fruttuoso interscambio che i Khasi hanno con il Ficus elastica, grazie al quale sono in grado di far crescere meravigliose strutture che durano nel tempo e che si inseriscono armoniosamente nel loro ambiente naturale. È possibile sviluppare paradigmi costruttivi alternativi simili? Osservare Bnoh mentre svolgeva la manutenzione del ponte è stato un momento chiave che ci ha permesso di vedere questi straordinari esseri viventi proprio come li vede un Khasi: un insieme germogliante di radici aeree, sospese nel vuoto, da coltivare con le proprie mani e quelle dei propri compagni, un dialogo collettivo con la pianta che solo le generazioni future potranno apprezzare davvero, e che si spera perduri nel tempo.

Ringraziamenti:

Queste riflessioni sono un estratto della mia tesi di dottorato di ricerca in Management presso l’Università Ca’ Foscari, dove sto facendo ricerca insieme al professor Massimo Warglien. Poiché molte persone sono coinvolte in questo progetto, vorrei ringraziare in ordine sparso chi ha reso possibile il mio lavoro sul campo a Nongblai, ovvero il professor Desmond L. Kharmawphlang e tutta la sua famiglia, la signorina Manhakani Nongrum e tutta la sua famiglia, il capo villaggio Wan Shai e tutti i membri della Nongblai Eco Development Tourism Society, nonché tutte le persone che ho avuto la fortuna di incontrare a Nongblai, con un ringraziamento speciale a Ban e Biang, le nostre guide. Per concludere, un sincero ringraziamento va alla signora Anna Gerotto, le cui osservazioni e idee sono essenziali per lo sviluppo del progetto.

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang, costruttore di ‘ponti viventi’

Foto Costanza Sartoris

Il villaggio di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang che osserva un albero di caucciù

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ponte di cemento nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang testa una radice aerea mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang mentre fa manutenzione su un ‘ponte vivente’

Foto Costanza Sartoris

Bnoh Buhphang su un ‘ponte vivente’ da lui costruito

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai, dettaglio

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Camminamento di un ‘ponte vivente’ nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ allo stato embrionale nell’area di Nongblai

Foto Costanza Sartoris

Un ‘ponte vivente’ allo stato embrionale nell’area di Nongblai