Sydney School, la parentesi felice del modernismo australiano

Nata come un movimento spontaneo, tra gli anni ’50 e ’80 produsse una particolare tipologia architettonica a metà fra vernacolare, brutalista e modernista, nella splendida cornice del bush australiano.

Nell’architettura moderna australiana, il periodo tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta vide l’emergere di una corrente architettonica chiamata “The Sydney School”.

Questa comune definizione determina un gruppo di architetti e di edifici, principalmente circoscritti nella regione di Sydney, le cui scelte progettuali sono legate all’ambiente naturale di quel territorio con l’impiego di materiali semplici, economici, elaborati al minimo possibile. Si distingue, quindi, per il suo carattere vernacolare e nasce non tanto da schemi teorici preimpostati, quanto dalle esperienze spontanee di vari architetti con approcci affini.

La Sydney School si sviluppò nella zona boschiva e collinare che si estende tra Port Jackson (Sydney Harbour) verso nord fino a Pittwater, un’area che la gente del luogo chiama “bush”.

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, un piccolo numero di architetti anticonformisti tentarono di esprimere valori compositivi semplici e naturali, spesso a partire dai progetti per le loro case, immerse in un territorio ondulato e ricco di vegetazione. Fu proprio questo rigoglioso e difficile ambiente naturale che probabilmente li portò a scelte progettuali radicali e innovative con la volontà di distinguersi dai canoni architettonici europei, per lo più di matrice britannica.

Potrebbe essere affiancata, come suggerito da una lettera firmata scritta a macchina dall’architetto Glenn Marcus Murcutt nel 2016, ad altre scuole affermatesi negli Stati Uniti come la “Druids School” o la “Bowels School”. Tutte queste correnti architettoniche locali rispondevano a bisogni ambientali e sociali del territorio in un modo molto simile.

Peter Muller, Bynya House, Palm Beach.

Il processo di conoscenza e analisi del territorio della regione di Sydney da parte di questi architetti post-bellici porta a scelte progettuali originali, con edifici che “abbracciano” il contesto così da includere l’ambiente naturale – severo ma fascinosamente articolato – grazie all’uso di finestre grandi, ampie terrazze, livelli di calpestio differenziati sia all’interno che all’esterno, consentendo una vera e propria penetrazione della natura nell’architettura. Vengono inoltre utilizzati materiali semplici come mattoni riciclati, legno locale trattato semplicemente e la bellissima arenaria regionale. Neanche gli elementi strutturali vengono rifiniti ed elaborati, anzi, spesso utilizzati così come reperiti in natura.

Questa comune definizione determina un gruppo di architetti e di edifici, principalmente circoscritti nella regione di Sydney, caratterizzati da scelte progettuali particolari, inspirate dall’ambiente naturale di quel territorio.

Gli architetti più noti della Sydney School sono Bill Lucas, Bruce Rickard, Ian McKay, Peter Muller, Russell Jack, Tony Moore, Neville Gruzman, Peter Johnson, Ken Woolley, Bryce Mortlock, Michael Dysart e John James. Questa corrente è considerata una sorta di rinascimento romantico (a volte denominata Port Jackson Romantics, o Bush School) del periodo post-bellico che per l’Australia fu prospero economicamente. In una fase avanzata, i canoni delineati dalla Sydney School vennero applicati anche a edifici di maggiore complessità come il capolavoro di Philip Cox e Ian McKay, il Tocal Agricultural College a Paterson (Nuovo Galles del Sud) del 1964.

John James House, Mosman.

Come già menzionato, negli anni Cinquanta l’Australia era ancora fortemente dominata dalla cultura britannica, da qui l’ambizione di creare qualcosa di specificamente australiano, che non fosse  basato su standard architettonici nati da condizioni sociali, culturali e climatiche radicalmente diverse, cioè quelle dell’Europa continentale. I giovani architetti della Sydney School erano perciò alla ricerca di modelli diversi da quelli dello Stile Internazionale, adattabili al contesto ambientale australiano.

Tra le prime case di Bruce Rickard due erano per la sua famiglia: la prima a Warrawee del 1959 e la seconda a Wahroonga del 1961 (due sobborghi di Sydney). Rickard non solo introdusse i colori morbidi e le linee basse e protettive delle case di Wright negli ambienti delle foreste australiane, ma la disposizione compositiva di queste dimore presentava anche particolarissime qualità spaziali, allora inedite per l’Australia. Le sue case hanno una forte qualità tridimensionale: in entrambe le dimensioni orizzontale e verticale lo spazio viene gestito in modo fluido; le altezze del soffitto sono opportunamente proporzionate e variate nelle zone di transizione, come i balconi mezzanini che servono a separare gli spazi principali e allo stesso tempo unirli.

Anche la Sydney School si colloca in quell’universo di episodi sporadici che in epoca Moderna e con diverse influenze ma visioni simili che oggi diremmo sostenibili, fiorirono in alcune parti del mondo occidentale.

Pur volendosi distinguere dall’architettura britannica, proprio dal Regno Unito arrivò un’altra influenza determinante che più tardi contribuirà allo sviluppo del lessico della Sydney School, ossia l’architettura brutalista di Alison e Peter Smithson, che avevano progettato la scuola di Hunstanton utilizzando deliberatamente i principi moderni, ma senza lo stesso grado di raffinatezza e di finitura che si trova ad esempio nell’opera Mies. Questa concettualizzazione trova terreno fertile in Australia dove già posizioni simili erano state messe a punto proprio dagli architetti della Sydney School.

Nel 1959 il “New Brutalism” ebbe un impatto notevole, tanto da indurre l’architetto Tony Moore a costruire la propria casa nel nord di Sydney ispirandosi alla Sugden House degli Smithsons a Watford vicino a Londra. Qui infatti Moore usa, per la prima volta in Australia, quasi esclusivamente mattoni a vista.

Bruce Rickards, Curry House 2, Bayview.

L’eccellenza di questa circoscritta esperienza australiana è costituita dal suo valore ecologico, come diremmo oggi, grazie al controllo del clima naturale tramite gli elementi costruttivi; e per il suo fondersi con l’ambiente, al punto che si parlò di “case invisibili” immerse nel bush.

Anche la Sydney School si colloca in quell’universo di episodi sporadici che in epoca moderna – con diverse influenze ma visioni simili che oggi diremmo sostenibili –  fiorirono in alcune parti del mondo occidentale e che Manfredo Tafuri usava chiamare “microstorie”. Tale corrente determinò un seguito, ben identificabile nell’area suburbana di Sydney. Gli elementi architettonici della Sydney School si ritrovano qua e là, a volte utilizzati manieristicamente, attirando su di sé l’attenzione quando si vaga in quel magnifico bush intelligentemente antropizzato intorno ai vari grandi nuclei urbanizzati di questa regione. Purtroppo questi elementi (e canoni) australiani a bassissimo impatto per l’ambiente, non sono stati praticamente mai esportati nel vecchio continente. Da qui l’assoluta necessità di riscoprire una perduta “microstoria” e arricchire il quadro storiografico del Movimento Moderno globale.

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