Il nome di Paul Rudolph è quello che più di tutti è diventato sinonimo di brutalismo, con opere come l’Art and Architecture Building per l’Università di Yale (dove diresse anche la facoltà di architettura) o la stessa sua casa newyorkese di Beekman place. Ma proprio questo sinonimo ci spiega molto del brutalismo, della sua varietà e dei diversi luoghi comuni che impediscono di vederne la profondità. Come i supporter di questa tendenza non si stancano mai di ripetere, c’è qualcosa di più rispetto al solo cemento a vista, ai gesti audaci e monumentali, ad architetture controverse fin dal giorno dell’inaugurazione, se non da prima.
Il brutalismo originario è una onestà – brutale, appunto – dei materiali e del loro funzionamento in architettura, dichiarato e, nei limiti del reale, enfatizzato.
E c’è un’opera del primo Rudolph, un Rudolph che potremmo definire persino pre-brutalista, che fa da crocevia a questi temi, senza un singolo metro cubo di calcestruzzo a vista.
Questa casa ti arriva per posta! In vendita il capolavoro smontabile di Paul Rudolph
La Walker Guest House era nata nel 1953 sulle spiagge di Sanibel, in Florida. Smontabile e modulare, si è già spostata in California ed è pronta per una nuova location, raccontandoci una storia onesta e “leggera” del brutalismo.

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- La redazione di Domus
- 08 luglio 2025
Per capire la Walker Guest House del 1953 come opera brutalista, al di là delle risonanze abbastanza fisiologiche col modernismo statunitense dei suoi anni, è molto utile partire dalla condizione in cui sta andando in vendita proprio ora: costruita infatti la prima volta a Sanibel, Florida, venduta all’asta e inviata in California, in questo momento si trova nuovamente pronta all’acquisto, smontata e impacchettata, collocabile dove meglio riterrà il nuovo acquirente. Assieme a lei, ugualmente spedibili, si possono avere alcuni dei suoi arredi mid-century. È una casa casa-oggetto, leggera, in un certo senso industrializzata, che estetizza il proprio funzionamento senza barocchismi, tranne uno che le vale un soprannome: la struttura è basata su una matrice modulare di circa 2,5 m in ogni dimensione, e il suo spazio interno è definito da pannelli scorrevoli, che ne fanno a seconda delle scelte di chi abita un piccolo guscio oppure uno spazio ibrido, in continuità visuale, e non solo, con il paesaggio tutto intorno. Lo scorrimento dei pannelli è collegato a carrucole azionate da contrappesi sferici, sospesi e ben visibili a metà di ciascuna campata del telaio, quelli da cui proviene il secondo nome della casa, che è “Cannonball House”.
Questa “casa senza casa”, quindi, è interessante perché dice molto del brutalismo, e della storia che di esso e di figure come Paul Rudolph facciamo oggi, ex post. Ma di tutti e tre – casa, architetto, e movimento – la storia si stava già facendo in tempo reale, nel loro “qui e ora” degli anni ‘50: Rudolph ha sempre parlato della Walker Guest House come della sua architettura preferita tra quelle che aveva progettato, e la fortuna critica della casa nei media era stata subito grande, tra diverse pubblicazioni su Progressive Architecture, Architectural Forum e Architectural Record. Anche la grande mostra retrospettiva che il Metropolitan Museum di New York ha dedicato al maestro americano nel 2024 le ha riconosciuto questo ruolo, aggiungendo così a un ritratto monolitico una nota non allineata di leggerezza, più appropriata alla comprensione dell’anima di un’architettura moderna che era già brutalista.
Immagine di apertura: Paul Rudolph, Walker Guest House. Foto courtesy Brown Harris Stevens.